Di Vladimir Rozanskij da asianews.it del 11/12/2020
Gruppi di attivisti contrari al primo ministro Nikol Pašinyan hanno tentato ieri di invadere il palazzo presidenziale, isolando il traffico nelle vie centrali della capitale. La polizia ha reagito compiendo almeno 30 arresti. Il motivo della protesta è il rifiuto di Pašinyan a rassegnare le sue dimissioni, come chiedono i suoi oppositori. Le proteste infatti continuano dalla fine del conflitto in Nagorno Karabakh, quando lo scorso 10 novembre Pašinyan ha accettato l’accordo con l’Azerbaigian. Per l’opinione pubblica armena si è trattato di una vera e propria resa, e il primo ministro è stato accusato di tradimento della patria.
Il 2 dicembre scorso i rappresentanti dell’opposizione avevano dichiarato di essersi accordati per un candidato da contrapporre al premier. Essi sono convenuti sul nome del popolare ex-ministro della difesa Vazken Manukyan, sconfitto nel 1996 alle elezioni presidenziali da Levon Ter-Petrosyan, per molti grazie ai brogli. Pašinyan ha ricevuto un ultimatum: dimettersi entro il 5 dicembre, poi spostato all’8 dicembre, altrimenti sarebbero cominciate le azioni di disobbedienza civile. Manukyan ha avvisato che se il premier non si fosse tolto di mezzo volontariamente, lo avrebbero costretto a farlo: “Pašinyan deve capire che questa è l’unica via d’uscita accettabile e pacifica; se non succederà, il popolo infuriato lo farà a pezzi”. Lo stesso Manukyan ha spiegato di essere disponibile a guidare il Paese ad interim fino a nuove elezioni parlamentari, alle quali egli stesso non ha intenzione di presentarsi.
Il primo ministro in carica ha ignorato queste pretese, e Ishkhan Sagatelyan, capo del partito di opposizione Dashnaktsutiun, ha invitato i cittadini dell’Armenia a scendere in piazza “con azioni pacifiche”, per costringerlo ad accettare l’ultimatum. I manifestanti hanno così chiesto alla polizia di entrare nel palazzo dove si stava tenendo il consiglio dei ministri, per incontrare Pašinyan. Anche il presidente dell’Armenia, Armen Sarkisyan, si è espresso a favore delle dimissioni del primo ministro. Fino al luglio scorso egli godeva di un consenso superiore all’80% della popolazione, ora è sceso al 38%. Oltre la metà della popolazione è d’accordo con le sue dimissioni, considerandolo il responsabile della sconfitta in Nagorno Karabakh.
Il katholikos (patriarca) della Chiesa apostolica armena, Karekin II, ha invitato a sua volta il primo ministro alle dimissioni. Come comunica il testo ufficiale della Sede del “Santo Echmiadzin”, il “Vaticano” armeno, “in seguito alla crescente tensione nella società, alle sfide interne ed esterne, e anche al basso livello di fiducia sociale verso il primo ministro, noi lo invitiamo paternamente a rimettere il suo mandato per evitare sconvolgimenti, con possibili scontri dalle tragiche conseguenze”. Il katholikos si rivolge anche al parlamento, invitando tutti ad agire con grande senso di responsabilità e di ascoltare le richieste dei cittadini, formando un governo provvisorio di concordia nazionale. L’appello di Karekin II, sostenuto anche dall’altro katholikos della Grande Casa di Cilicia Aram I, capo degli armeni all’estero residente a Beirut, può essere decisivo per spingere Pašinyan a farsi da parte, visto il grande prestigio dei patriarchi agli occhi dell’opinione pubblica, anche se non mancano reazioni infastidite per “l’ingerenza della Chiesa nella politica” in vari settori della società.
Nikol Pašinyan ha denunciato i capi delle proteste, dichiarando che “sono gli stessi che volevano farmi fuori durante la rivoluzione di velluto del 2018”, e la loro proposta “porterebbe l’Armenia all’anarchia, mettendo in piedi un governo-marionetta”. Il premier si chiede perché non si propongano semplicemente le elezioni anticipate, e si vuole un governo provvisorio senza alcuna base parlamentare, che di fatto sarebbe agli ordini di Mosca.
Ad acuire il senso di sconfitta e la rabbia degli armeni, a un mese dalla fine del conflitto, ha contribuito anche la parata trionfale organizzata il 10 dicembre a Baku dal presidente Ilham Aliev, alla presenza del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, davanti a tremila soldati e con la sfilata di 150 unità di mezzi bellici di ultima generazione. Alla folla è stata mostrata anche l’attrezzatura militare conquistata all’Armenia durante le azioni di guerra.
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