Lorenzo Cantoni, Cristianità n. 218-219 (1993)
Arthur Conan Doyle, Il ritorno delle fate, a cura di Massimo Introvigne
e Michael W. Homer, trad. it., SugarCo, Carnago (Varese) 1992, pp. 224, L. 22.000
«1917: la Madonna appare a Fatima, in Portogallo. Non viene fotografata. La stampa laica e positivista si chiede con gravità come sia possibile credere, in pieno secolo ventesimo, a questo genere di “superstizioni medievali” e denuncia il rischio di un ritorno ai “secoli bui”. 1917: le fate appaiono a Cottingley, in Inghilterra. Vengono fotografate. La stampa laica e positivista — a partire dal noto “Strand Magazine” — le prende assolutamente sul serio»: con questo accostamento polemico si apre lo studio Cottingley, o il trionfo del positivismo, di Massimo Introvigne e di Michael W. Homer, introduzione all’opera Il ritorno delle fate (pp. 7-45), prima edizione italiana di The Coming of the Fairies, di Sir Arthur Conan Doyle, vissuto dal 1859 al 1930, creatore di Sherlock Holmes e campione indiscusso del positivismo a cavallo fra i secoli XIX e XX.
Il testo costituisce un’occasione preziosa per riflettere sul senso e sul percorso della modernità e del positivismo al di fuori di un accostamento spesso tanto oleografico quanto falsificante.
È anzitutto utile riassumere gli avvenimenti. Nel 1917 Frances Griffiths (1907-1986) e la cugina Elsie Wright (1901-1988) scattano due fotografie, nei pressi di Cottingley, in cui compaiono alcune fate e uno gnomo. Edward L. Gardner, membro del comitato esecutivo della Società Teosofica, viene in possesso di tali fotografie e, nel 1920, ne porta a conoscenza Arthur Conan Doyle, già da anni convinto assertore dello spiritismo — cui era giunto dopo aver abbandonato all’età di diciassette anni la Chiesa cattolica e la fede cristiana, ed essersi messo alla ricerca di una «religione positiva» — e suo zelante apostolo e missionario dal 1916. Inizia così una serie di ricerche e d’interventi, che conducono alla pubblicazione del volume The Coming of the Fairies, uscito il 1° settembre 1922 per i tipi di Hodder and Stoughton; ne segue, a poco più di due mesi di distanza, un’edizione americana, e una seconda edizione, integrata, nel 1928, questa volta per i tipi della Psychic Press di Londra, la casa editrice dello stesso Arthur Conan Doyle.
Il ritorno delle fate è articolato in una Prefazione (pp. 47-48) e in otto capitoli (pp. 49-198), cui l’edizione italiana ha aggiunto, a mo’ di appendici, un’intervista rilasciata da Arthur Conan Doyle nel 1929 per la diffusione cinematografica (pp. 199-203); un articolo dello stesso autore con nuovi elementi a favore della veridicità delle fate, pubblicato su The Strand Magazine nel febbraio del 1923 (pp. 204-205); la prefazione alla seconda edizione dell’opera (pp. 206-208) e l’appendice alla medesima edizione (pp. 209-219).
Attraverso un minuzioso resoconto degli avvenimenti e delle ricerche condotte su di essi soprattutto da Edward L. Gardner, Arthur Conan Doyle intende condurre il lettore — come in un’indagine poliziesca — a riconoscere la fondatezza degli argomenti a favore delle fotografie di Cottingley in particolare — alle due prime se ne erano aggiunte altre tre — e dell’esistenza di fate, gnomi, elfi e altri esseri simili in generale. Ne emerge l’immagine di una natura popolata da numerosissimi esseri, visibili solo a chi abbia particolari facoltà medianiche — talora le pellicole fotografiche… — e in condizioni atmosferiche favorevoli, una realtà che solo l’interpretazione teosofica — cui è dedicato l’ultimo capitolo (pp. 178-198) — è in grado di penetrare. Ecco — per esempio — parte della descrizione di una foto proposta da Edward L. Gardner in una lettera riportata da Arthur Conan Doyle: «Accovacciata sul margine superiore di sinistra, con l’ala ben distesa, v’è una fata nuda, che evidentemente sta considerando se sia ora d’alzarsi. Sulla destra è visibile un’altra fata più mattiniera e di età più matura, con fluente capigliatura e ali meravigliose: attraverso l’abito da fata è possibile intravederne il corpo, leggermente più robusto. Appena dietro, ma sempre sulla destra, appare con estrema nitidezza la testa di un elfo birichino e sorridente, con in capo un berretto aderente» (pp. 122-123).
L’autore è consapevole dell’immensa portata e importanza che ha svelare questa nuova dimensione del reale, e così ne scrive: «La nostra questione non riguarda direttamente il problema ben più fondamentale del destino riservato a noi e a quelli che abbiamo perduto, ragione che mi ha condotto qui in Australia [per la causa dello spiritismo]. Tuttavia, qualsiasi cosa in grado di ampliare l’apertura mentale dell’uomo e di dimostrargli che la materia, così come ci è stato dato di conoscerla, non è in realtà l’unico confine del nostro universo, può servire efficacemente a combattere il materialismo, elevando il pensiero umano verso più grandi e spirituali orizzonti.
«Ho quasi l’impressione che quei saggi esseri che stanno conducendo questa campagna dall’altro mondo, usando alcuni di noi quali umili intermediari, siano indietreggiati di fronte a quella cupa ottusità contro cui Goethe affermò che gli stessi dèi lottano invano, e abbiano aperto una linea di comunicazione del tutto nuova, la quale travolgerà quella presa di posizione cosiddetta “religiosa” — ma in sostanza irreligiosa — che ha contribuito a ostacolare il nostro cammino. […].
«[…] Per qualche tempo abbiamo avuto, nel corso di sedute spiritiche, continui messaggi che annunciavano come stesse per giungere un segno visibile, e forse tutto questo è ciò a cui essi alludevano. La stirpe umana non merita nuove testimonianze, dal momento che, in genere, non si è preoccupata di esaminare quelle già esistenti. Tuttavia, i nostri amici del mondo di là sono molto indulgenti e sicuramente più caritatevoli di quanto sia io, perché devo confessare che la mia anima è ricolma di un freddo disprezzo nei confronti della stolta indifferenza e della codardia morale che vedo attorno a me» (pp. 118-119).
Arthur Conan Doyle muore nel 1930, Edward L. Gardner nel 1970: troppo presto per leggere — il 1° aprile 1983 — la nona parte di un articolo di Geoffrey Crawley, pubblicato dal British Journal of Photography, in cui si riportava una lettera di Elsie, che fra l’altro scriveva: «Papà ci disse che dovevamo spiegare subito come avevamo ottenuto le fotografie, così presi Frances da parte e le parlai seriamente, giacché avevo inventato io lo scherzo. Ma mi supplicò di non dir nulla perché lo “Strand Magazine” le aveva già causato parecchi problemi a scuola, e io stessa mi preoccupavo per Conan Doyle che era già criticato dai giornali per la sua fede nello spiritismo e anche nelle nostre fate. […] Conan Doyle aveva appena perso il figlio in guerra, e probabilmente cercava di consolarsi con realtà al di fuori di questo mondo» (pp. 30-31). Nello stesso numero della rivista anche Frances ammetteva che le prime quattro fotografie erano truccate, ma continuava ad affermare che la quinta era vera, e che da bambina aveva visto le fate. La posizione delle due veggenti divergerà poi fino alla loro morte: Frances continuerà ad affermare l’esistenza delle fate e la veridicità della quinta fotografia, mentre Elsie sosterrà di non credere alle fate e di aver scattato lei stessa tale fotografia. A proposito di quest’ultima così ne scrivono Michael W. Homer e Massimo Introvigne: «Alcuni esperti ritengono che si tratti di una doppia esposizione in cui sia stata fotografata prima l’erba e poi una figurina ritagliata, il che spiegherebbe perché entrambe le ragazze ricordino di avere scattato questa fotografia. Naturalmente l’opinione degli esperti non coincide con quella di Frances, i cui ricordi si inquadrano comunque in una fede nell’esistenza delle fate» (p. 33).
Positivisti, ancora uno sforzo: questo è il titolo del terzo paragrafo dell’Introduzione, in cui viene indicato un quadro ermeneutico globale per comportamenti all’apparenza contraddittori: la contemporanea professione di positivismo e di spiritismo, professioni che Arthur Conan Doyle condivide con numerosi altri positivisti del suo tempo — in Italia si può ricordare Cesare Lombroso. Vi emerge il carattere radicalmente ambiguo della modernità, «[…] insieme scettica e magica, razionalista e superstiziosa. Soprattutto chi è convinto che sia possibile tracciare una chiara linea di demarcazione fra la modernità “scientifica” e positivista e le credenze mitiche del passato farà bene a leggere fino in fondo Il ritorno delle fate. Scoprirà che l’immagine comune della cultura positivista è largamente imprecisa. E forse concluderà — parafrasando quanto il marchese de Sade […] consigliava ai rivoluzionari di Francia —: “Positivisti, ancora uno sforzo se volete esistere”» (pp. 38-39).
Lorenzo Cantoni