Marco Invernizzi, Cristianità n. 270 (1997)
Articolo ampiamente anticipato, senza note e con il titolo redazionale Pericolosità del fenomeno leghista, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLVI, n. 214, 12-9-1997, pp. 1 e 14.
Aspetti del fenomeno leghista
Il 14 settembre 1997 la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania ha celebrato la Festa della Padania nel primo anniversario di quella Marcia sul Po che appunto segnò, nel mese di settembre dello scorso anno, l’auto-proclamazione della nuova entità territoriale che ormai costituisce la meta dell’azione politica leghista.
Praticamente tutte le forze politiche italiane si oppongono all’obbiettivo della Lega, ma pochi uomini di partito si rendono conto della complessità e della pericolosità di un fenomeno che si sta radicando nel tessuto sociale dell’Italia Settentrionale: ricordo, fra le eccezioni, l’on. Ignazio La Russa che, durante un convegno di Alleanza Nazionale svoltosi a Milano nel mese di luglio, esprimeva la propria difficoltà nel far comprendere agli ambienti politici romani la portata del fenomeno leghista e lanciava come provocazione la proposta di tenere «subito» il referendum sulla Padania, perché forse fra dieci anni sarebbe troppo tardi per impedire la secessione. La proposta, avanzata nella stessa direzione dal presidente della Regione Lombardia, on. Roberto Formigoni, è però stata poi rifiutata da AN sulla base di un corretto argomento di diritto positivo, quello per cui non si può sottoporre a referendum un’alternativa contrastante con la legge vigente della Repubblica Italiana; in proposito credo comunque di dover notare che, siccome l’ipotesi secessionistica è per certo «illegittima» ma non in sé immorale, cioè «illecita» nell’ottica della morale sociale, la scelta in un certo senso «garantista» potrebbe purtroppo rivelarsi, sul lungo periodo, non la più felice.
Ogni anniversario è un’occasione per riflettere, soprattutto da parte di chi vuole opporsi al progetto disgregatore della Lega Nord senza portare acqua al mulino del sistema di potere attualmente vigente nella Repubblica Italiana, contro il quale essa sembra volersi schierare.
Nelle elezioni politiche del 21 aprile 1996 la Lega Nord ha ottenuto 4.038.511 voti e circa altrettanti sarebbero stati coloro che hanno sottoscritto la nascita della Padania nei gazebo organizzati dalla Lega stessa nella primavera scorsa. Ammettiamo che i dirigenti leghisti abbiano esagerato: anche se fossero stati due milioni soltanto sarebbe un risultato da non sottovalutare, tenendo conto della natura «volontaria» della consultazione. Questi risultati sono stati ottenuti dopo che la Lega Nord ha imboccato decisamente una via politica secessionista, abbandonando la prospettiva federalista, e quindi mettendosi radicalmente contro tutte le altre forze politiche, ma anche contro la stampa, contro gli intellettuali, contro i sindacati e contro la Chiesa cattolica. Cito espressamente tutti i nemici che la Lega Nord ritiene tali, perché effettivamente il movimento dell’on. Umberto Bossi si trova obbligato a scagliarsi contro ciascuno di essi per scioglierne i legami nel Nord del paese, legami sindacali, legami intellettuali, legami religiosi, legami che impediscono la ramificazione delle articolazioni nordiste che la Lega Nord vuole sostituire a quelle italiane, e cioè il Sindacato Padano al posto della Triplice, la Chiesa Cattolica Padana finalmente liberata dall’obbedienza romana, fino alla nazionale di calcio della Padania. Se questa è la politica leghista, non si può pensare che il voto alla Lega Nord sia soltanto un voto di protesta, ma mi sembra corretto almeno sospettare che una buona percentuale di questo voto esprima una posizione ideologica tesa a costruire qualcosa di radicalmente alternativo, anche se certamente confuso, rispetto al sistema attuale.
Del resto all’on. Bossi va riconosciuta una certa coerenza nell’errore. Già negli anni 1970, quando l’allora Lega Lombarda cominciava a raccogliere qualche consigliere comunale nei comuni del Varesotto, a una domanda precisa sullo scopo della Lega Nord rispondeva, allora come oggi, che lo scopo della Lega Nord è quello di raggiungere l’indipendenza della Lombardia, a quel tempo, e della Padania oggi, dopo di che, nei territori liberati dal «dominio romano», si ricostituirebbero i partiti precedenti, i comunisti padani, i liberali padani, i laburisti padani, i cattolici padani, proprio come sta avvenendo in vista delle «elezioni padane» del 26 ottobre 1997, che vedono già impegnate nella campagna elettorale tutte queste forze, tutte appunto rigorosamente «padane».
All’origine, il movimento di Umberto Bossi si presentava come teso alla riforma dello Stato, sorto in opposizione alla scelta centralista del Risorgimento nazionale, in nome del federalismo e dell’autonomismo. Ma poi la Lega Nord ha dovuto scegliere se rappresentare l’anima federalista di un’alleanza più ampia di forze politiche, come è avvenuto nell’accordo con le forze politiche di centrodestra, che hanno dato vita all’esperienza del Governo Berlusconi, oppure se imboccare la strada solitaria della secessione.
Nel primo caso, dal momento che il federalismo in senso stretto, cioè in senso più politico che sociale, non è una dottrina tale da poter orientare completamente chi deve governare, perché non ha nulla da dire, per esempio, su temi morali come il diritto alla vita, come la legalizzazione della droga, oppure su temi di politica estera, la Lega Nord avrebbe dovuto «limitarsi» a lottare per una riforma in senso federale della Costituzione italiana e dell’assetto dello Stato.
Come si sa, non è andata così, e l’on. Bossi ha scelto la soluzione secessionista. Perciò, in mancanza di elementi identitari storici significativi — quale storia comune fra la parte continentale del Regno di Sardegna, il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia? — diventa necessario ricostruire i partiti politici «padani» all’interno del territorio «liberato» dallo Stato nazionale, la Padania appunto. E affinché questo sia possibile è necessario sostituire artificialmente tutti i punti di riferimento del cittadino della Padania, recidendo ogni legame con altri uomini che vivono all’esterno del territorio da «liberare», cioè è necessario portare il «territorio» al massimo livello di differenziazione ideologico-politica, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti economici — «La Padania, senza il Sud d’Italia diventerebbe ancora più ricca» — ed etnici: «I terroni e gli immigrati devono stare a casa loro». Soltanto subordinatamente, e all’interno del territorio «liberato», le tradizionali distinzioni di religione, di classe, o fra destra e sinistra, possono tornare a svolgere un ruolo di proposta politica-sociale e culturale.
Per quanto riguarda gli attacchi lanciati dall’on. Bossi alla Chiesa cattolica nel mese di agosto (1), in un’intervista rilasciata al quotidiano Avvenire l’on. Antonio Marano, ex consigliere dello stesso leader leghista per l’Informazione ed ex sottosegretario alle Poste nel Governo Berlusconi, uscito dalla Lega Nord in seguito alla scelta secessionista, ha segnalato la non occasionalità degl’interventi dell’on. Bossi in tema di religione:
1. «Quando io partecipavo ancora alle riunioni già se ne parlava e Bossi sapeva perfettamente qual era il tracciato. E, si badi bene, dal suo punto di vista non sta affatto sbagliando il bersaglio. Questo Paese faccio fatica a vederlo unito soltanto da un simbolo di bandiera. Al limite può conservare un senso l’unità della lingua. Ma alla fine l’unico vero valore che ancora può accomunare un bergamasco a un calabrese è, volenti o nolenti, quello cattolico» (2);
2. «Lui [Bossi] cerca di spezzare o almeno di incrinare questo baluardo, spera che una piccola crepa nella muraglia possa diventare una falla …» (3);
3. «[…] non compete a me difendere o meno il Papa dagli attacchi. Ci sono voci più autorevoli per farlo. Però all’Umberto dico la cosa che ho sempre detto: stai attento, perché portare continuamente in avanti l’intolleranza e la logica della diversità è pericoloso. I tre cardini che, se attaccati, hanno sempre provocato nella storia grandi squilibri e distruzioni sociali sono il colore della pelle, il territorio di origine e la religione. E lui li sta toccando tutti e tre» (4).
Marco Invernizzi
Note:
(1) Cfr. FABIO CAVALERA, Bossi: questo Papa fa politica per Roma, in Corriere della Sera, 17-8-1997; LORENZO FUCCARO, Leoni, l’ambasciatore del Carroccio in Vaticano «Umberto ce l’ha con chi porta anelli da un chilo», ibid., 18-8-1997; PDC, Bossi frena: non accuso Woityla ma la Chiesa, ibidem.
(2) ANTONIO MARANO, «Bossi attacca la Chiesa perché unisce», intervista a cura di Fabio Finazzi, in Avvenire. Quotidiano d’ispirazione cattolica, 22-8-1997.
(3) Ibidem.
(4) Ibidem.