MARCO INVERNIZZI, Cristianità n. 306 (2001)
1. Alle origini di Comunione e Liberazione
L’opera di don Massimo Camisasca sulle origini di Comunione e Liberazione, con un’introduzione del card. Joseph Ratzinger (1), è uno strumento prezioso non soltanto per conoscere l’inizio della storia di questo movimento ecclesiale, ma anche per riflettere su un periodo del movimento cattolico italiano, nel corso del quale sono state prese decisioni che continuano a condizionare il tempo presente.
L’autore, nato a Milano nel 1946, ordinato sacerdote nel 1975, ha conosciuto don Luigi Giussani a quattordici anni, ed è stato responsabile di Gioventù Studentesca e di Comunione e Liberazione nonché presidente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica a Milano. Insegnante di filosofia nei licei, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, alla Pontificia Università Lateranense, a Roma; dal 1993 al 1996 è stato vice preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi sul Matrimonio e la Famiglia. Ha fondato la Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, di cui è superiore generale.
L’opera descrive l’inizio della storia di CL attraverso la biografia del suo fondatore, don Giussani: dalla vita familiare a Desio, in Brianza, dove nasce nel 1922, al curriculum scolastico concluso a Venegono Inferiore — nel seminario dell’arcidiocesi ambrosiana, dove viene ordinato sacerdote dal beato card. Ildefonso Schuster (1880-1954) il 26 maggio 1945 — con la licenza in teologia, ottenuta alcuni mesi dopo l’ordinazione, e con il dottorato, conseguito nel 1954, prima di lasciare il seminario nel quale aveva cominciato a insegnare, per dedicarsi all’apostolato fra i giovani. Infatti, costretto dai responsabili del seminario a scegliere fra l’attività scientifica, con l’insegnamento in seminario, e il lavoro con i giovani, don Giussani sceglie senza esitazioni quest’ultimo e diventa insegnante di religione al liceo classico Giovanni Berchet, a Milano.
In questo istituto comincia la storia di CL, anche se fino al 1968 non assumerà la sua attuale denominazione, perché don Giussani comincia a operare all’interno di Gioventù Studentesca, una branca della GIAC, fondata nel 1945 allo scopo di “[…] elaborare una propria proposta culturale per la crescita dall’interno e dal basso nel mondo giovanile e studentesco” (2). Il sacerdote di Desio è indotto a cercare un metodo d’apostolato per offrire, anche agli studenti cattolici, un ambiente e una presenza visibile nelle scuole dal fatto che incontrava studenti comunisti o “fascisti” organizzati e attivi, mentre quelli cattolici non riuscivano ad avere visibilità e non realizzavano una presenza centrata sul mistero di Cristo e sul giudizio sulla realtà che nasce dall’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa.
L’opera di don Camisasca mette in luce il distacco fra la proposta educativa di don Giussani — che riprende l’insegnamento ricevuto dalla cosiddetta scuola teologica di Venegono, alla quale sono stati educati, fra gli altri, il card. Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, e l’arcivescovo di Milano, card. Giovanni Colombo (1902-1992) — e il dualismo fra naturale e soprannaturale, che lo stesso don Giussani riscontrava nella proposta educativa, fatta negli stessi anni e negli stessi ambienti, dal futuro rettore dell’Università Cattolica, Giuseppe Lazzati (1909-1986), imperniata quest’ultima su una certa interpretazione del filosofo francese Jacques Maritain (1882-1973).
Invitato dall’allora arcivescovo di Milano, card. Giovanni Battista Montini (1892-1978), a occuparsi dei giovani studenti, don Giussani comincia, convinto che il punto di partenza doveva essere “[…] l’annuncio di Cristo: questo è il centro di tutta la vita dell’uomo e della storia. E questo si vive mettendosi insieme, vivendo una vita di comunità perché Cristo nella storia prosegue dentro il segno della grande comunità che è la Chiesa” (3).
La sua proposta educativa era diversa da quelle correnti nella Chiesa ed era in contrasto con quelle delle associazioni studentesche che facevano riferimento a diverse ideologie, soprattutto al marxismo. Da qui il conflitto, all’interno della scuola pubblica, con le associazioni ufficiali, organizzate nei cosiddetti “parlamentini”, dai quali GS decide di uscire nel 1961, dopo una presenza di quattro anni.
Ma il conflitto più rilevante avviene all’interno del mondo cattolico. La proposta educativa di don Giussani viene accolta con benevolenza da alcuni sacerdoti all’interno dell’Azione Cattolica Italiana, ma incontra diverse resistenze, sia per la novità del metodo educativo “misto”, che cioè si rivolge contemporaneamente a ragazzi di ambo i sessi, sia soprattutto per la netta opposizione alla cultura dualistica che era penetrata nel mondo cattolico italiano e che — secondo don Giussani —, partendo da un’esasperata distinzione fra il naturale e il soprannaturale, giungeva a separare i due ambiti, provocando un grave danno all’identità dei cattolici. Attraverso la valorizzazione di tutti gli aspetti della vita del giovane, dalla liturgia al canto, alla recita comunitaria delle “ore”, l’educazione portava i giovani di GS a essere presenti, attraverso la comunità, nella vita delle scuole, organizzati per mezzo del “raggio”, l’incontro settimanale al quale venivano invitati gli aderenti al movimento. E il movimento si sarebbe progressivamente esteso, nel corso degli anni 1960, alla vita universitaria e al mondo del lavoro, proprio quando nell’ambiente giovanile italiano andava dilagando quel fenomeno ideologico dalle caratteristiche antitradizionali e anticristiane che avrebbe preso il nome dall’anno in cui si manifesterà in tutta la sua portata: il Sessantotto.
Questa rivoluzione culturale d’ispirazione marxista e libertaria investirà anche i gruppi di GS, che da Milano si erano impiantati in numerose altre città e paesi d’Italia, riducendone — secondo la testimonianza dello stesso don Giussani — gli effettivi di circa la metà, da duemila e mille nelle scuole superiori, più quasi tutti i gruppi universitari, che passeranno nelle file del Movimento Studentesco. Gli avvenimenti relativi a questa crisi sono oggetto dell’ultimo capitolo dell’opera di don Camisasca (4), dove appunto vengono narrate le vicende successive all’allontanamento da GS di don Giussani, ordinato dall’autorità ecclesiastica, nel 1965, e la nomina ad assistente dell’associazione di don Vanni Padovani, il sacerdote che don Giussani aveva voluto come alter ego alla guida del movimento. Quest’ultimo così veniva inserito dal card. Colombo, l’arcivescovo di Milano succeduto al card. Montini — divenuto Papa Paolo VI (1963-1978) — nella struttura ufficiale diocesana come movimento d’ambiente dell’ACI, e i suoi dirigenti, oltre a don Padovani, venivano scelti fra quelli formati da quest’ultimo e quelli che aveva formato don Giussani, come Luigi Negri, che sarà presidente di GS.
Il sacerdote di Desio, allontanato dagli studenti, va a insegnare Introduzione alla Teologia nell’Università Cattolica e comincia a dedicarsi ai giovani ormai diventati adulti. Sorge così il Centro Culturale Charles Peguy, embrione di quella che sarebbe stata CL.
2. Luigi Gedda, un “credente” “solo” nell’organizzazione?
Negli anni descritti nell’opera di don Camisasca il mondo cattolico militante è segnato dalla parabola di Luigi Gedda (1902-2000), artefice nel 1948, per volontà di Papa Pio XII (1939-1958), della costituzione dei Comitati Civici per contrastare il fronte socialcomunista alle elezioni politiche previste per quell’anno, quindi presidente generale dell’ACI fino alla sua sostituzione nel 1959. Nello studio di don Camisasca, e soprattutto nell’introduzione del card. Joseph Ratzinger, la sua figura appare un poco sbrigativamente ridotta alla frase “Oggi la fede si difende con l’organizzazione”, fra l’altro riportata dal testo di un noto “critico” di Gedda, il vaticanista radicale Carlo Falconi (1915-1998) (5).
La frase venne realmente pronunciata da Gedda il 12 ottobre 1952 davanti ai centocinquantamila uomini dell’ACI giunti a Roma in occasione del trentennale dell’associazione. Per cogliere il pensiero del presidente dell’ACI e quindi intenderla nel suo significato autentico sarebbe stato necessario — e bastato — leggerla come riportata da L’Osservatore Romano, del 13-14 ottobre 1952 : “Siamo in una società assediata dalla tecnica, dove ogni uomo imprigionato nella maglia dei numeri smarrisce il significato della sua vita umana, perde la carità, la fede, e perfino la speranza. Nel mondo economico si agitano problemi che hanno dimensioni nazionali, e spesso mondiali, di fronte ai quali l’uomo singolo è un grano di pulviscolo che non pesa e non conta. Anche nella politica il numero è forza. Perciò ai cattolici deve essere chiaro che oggi la fede si difende con la organizzazione. Il senso della persona umana, che noi possediamo in modo spiccato, non deve condurci all’isolamento, ma all’unione volontaria delle forze, perché il mondo moderno non si trasformi in un campo di concentramento o di lavori forzati. Se tutti i cattolici fossero uniti, organizzativamente uniti, non vi sarebbe problema insolubile dinanzi ad essi religioso, sociale, culturale e perfino economico” (6).
L’immagine di un uomo che riponesse la sua fiducia solo nell’organizzazione appare stridente, per esempio, con il fatto che la Società Operaia, l’associazione di diritto pontificio per la santificazione dei suoi membri attraverso la pratica e la diffusione della spiritualità del Getsemani, viene fondata da Gedda nel 1942, all’inizio della parte più intensa della sua vita pubblica e non quando, dopo il 1959, è costretto a ritirarsi dai principali impegni apostolici (7). Certamente Papa Pio XII gli affida il compito di organizzare i Comitati Civici in vista delle elezioni del 1948 e poi l’ACI, di cui diventa presidente generale nel 1952, che come si sa appartiene all’apostolato gerarchico e che allora era un’associazione di massa, arrivando ad avere quasi tre milioni di iscritti: è evidente che il suo impegno sarebbe dovuto essere anche organizzativo. Ha scritto in proposito Guido Gaudenzi, che è stato dirigente della GIAC nelle Marche, in una lettera pubblicata da Avvenire il 3 aprile 2001: “Non posso tuttavia tacere la mia perplessità di fronte alla contrapposizione di mons. Giussani a Luigi Gedda, soprattutto per le motivazioni esposte che fanno pensare o ad una “semplificazione” esasperata e quindi inesatta o ad una non conoscenza della persona e del pensiero di Gedda” (8). Inoltre, lo stesso Gaudenzi sottolinea come “[…] chi conosce Cl sa benissimo che parlarne come di un movimento spontaneista, alieno da vincoli organizzativi, significa essere ben lontani dalla realtà” (9).
Ma il problema va anche oltre la persona di Gedda. Il mondo cattolico degli anni 1950 viene turbato da due gravi crisi che portano alle dimissioni di Carlo Carretto (1910-1988), nel 1952, e di Mario Vittorio Rossi (1925-1976), due anni dopo, dalla presidenza nazionale della GIAC, in polemica entrambi con l’impostazione di Gedda e del Papa, il primo anticipando in qualche modo e in estrema sintesi la “scelta religiosa” degli anni 1960 e 1970, cioè l’abbandono della speranza di poter costruire un “mondo migliore” e, quindi, una sostanziale rinuncia a operare secondo le direttive della dottrina sociale della Chiesa, mentre il secondo, Rossi, sembra anticipare con la sua contestazione temi che saranno ripresi da alcune correnti della “teologia della liberazione”.
Dall’opera di don Camisasca si capisce l’estraneità di GS rispetto a entrambe queste prospettive, ma non si capisce qual’era la posizione rispetto all’ACI di Gedda. Quest’ultima infatti veniva criticata perché di massa e, quindi, incapace di un’educazione personalizzata, che preparasse in profondità. Ma questo compito avrebbe potuto essere assolto dai movimenti specializzati come i laureati cattolici, la FUCI, la Federazione Universitaria Cattolici Italiani, e le Congregazioni Mariane, senza contrapposizione ideale con l’ACI e con Gedda in particolare, come avviene invece da parte di Carretto e di Rossi e come avverrà con Vittorio Bachelet (1926-1980) negli anni 1960, quando l’ACI perderà centinaia di migliaia di iscritti. Per la verità, la “scelta religiosa” nascondeva una subalternità nei confronti delle ideologie dominanti in seguito alla rivoluzione culturale del Sessantotto, come si comprenderà successivamente.
3. Problemi aperti
Rimangono così le numerose domande sollevate dalla lettura dell’opera e che — spero — possano trovare una risposta nella prevista continuazione. Il quesito maggiore riguarda la penetrazione nella Chiesa dello spirito di cedimento all’ideologia allora dominante e che, secondo don Giussani, mise in discussione non tanto modelli organizzativi diversi, ma la stessa identità cristiana. Come potè accadere che l’ACI di Gedda e di Pio XII venisse messa radicalmente in discussione fino alla demonizzazione, cioè non venisse corretta nelle sue eventuali limitazioni e deficienze, ma venisse osteggiata dall’ACI che venne dopo, senza rendersi conto che questa forma di autodemolizione avrebbe soltanto favorito l’aggressività e l’ostilità del mondo anticristiano? Quale fu il rapporto di GS e poi di CL con queste due diverse espressioni dell’ACI, quella di Gedda e quella della “scelta religiosa”? E in che cosa si differenzierà da entrambe?
Di fronte a questo nodo della storia del movimento cattolico italiano, mi sono fatto l’opinione che l’ACI del tempo di Gedda avesse un deficit formativo, probabilmente inevitabile. Era infatti l’epoca dei movimenti di massa e l’ACI era la struttura di base con cui combattere la battaglia per la libertà della Chiesa contro il socialcomunismo, allora la punta di lancia della Rivoluzione; da essa nacquero i Comitati Civici, che peraltro verranno “silenziati” dalla Democrazia Cristiana e non riusciranno, dopo il 1948, ad avere il ruolo che forse Papa Pio XII e Gedda avrebbero desiderato per loro, forse anche togliendo all’ACI impegni di carattere civico e politico che non le spettavano. Ma non è andata così e l’ACI dovette sostenere per tutti gli anni 1950 una battaglia dura e difficile, tenendo anche conto che la DC, fino alla segreteria dell’on. Amintore Fanfani (1908-1999), cominciata nel 1954, era un partito di notabili senza base, completamente dipendente dal mondo cattolico.
Dovendo assolvere queste diverse funzioni, l’ACI era un movimento di massa che curava molto l’organizzazione, a scapito del momento formativo ed educativo, che necessita di piccoli gruppi, di rapporti personali, di preghiera e di studio. Ma avrebbe potuto essere diversa? Secondo don Marco Barbetta, un parroco ambrosiano allora nell’ACI e poi diventato uno dei principali collaboratori di don Giussani nella costruzione di CL, questa carenza dell’ACI di allora sarebbe stata attenuata, nell’arcidiocesi ambrosiana, dalla tradizione degli oratori della Chiesa milanese, con la sua vicinanza educativa ai giovani, mentre nulla del genere vi era nel resto d’Italia. Ma la via d’uscita non era nella direzione scelta da Carretto o da Rossi o nella “scelta religiosa”, che contribuirà all’esodo di milioni di cattolici militanti senza migliorare la qualità dei sopravvissuti. A proposito della “scelta religiosa”, Gedda scriverà: “È una scelta religiosa “sui generis” nel senso che lascia mano libera ai politici; in realtà è una scelta politica! E da questa scelta politica ne [sic] viene fuori questo disastro del divorzio, dell’aborto, degli anticoncezionali, del terrorismo e della situazione nella quale ci troviamo” (10). Probabilmente si riferiva all’esito “politico”, nella DC, e poi nel centrosinistra, dei suoi successori alla guida dell’ACI, Alberto Monticone e Raffaele Cananzi, mentre nel suo testamento, a proposito di sé stesso, scriverà: “Ringrazio la Provvidenza di non essermi disorientato, quando decaddero i tempi delle mie cariche in Azione Cattolica e di non essermi dedicato alla politica, ma alla Genetica Medica e alla Gemellologia” (11).
Paradossi della storia: l’ACI di Gedda verrà accusata di scelte politiche, fatte in obbedienza alle indicazioni del Pontefice, a opera di un uomo che diffiderà sempre della politica fino a rinunciare alla politica attiva e diretta e che parallelamente all’ACI continuerà sempre a occuparsi della sua Società Operaia, anche per curare la formazione spirituale degli “operai”, difficile in un’organizzazione di massa. Dopo Gedda, sarà realizzata una “scelta religiosa” per l’ACI, che condurrà quest’ultima alla subalternità verso le sinistre e porterà all’impegno politico diretto molti suoi dirigenti.
Marco Invernizzi
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(1) Cfr. don Massimo Camisasca, Comunione e Liberazione. Le origini (1954-1968), con introduzione del card. Joseph Ratzinger, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2001.
(2) Ibid., p. 95.
(3) Ibid., p. 99, nota 37.
(4) Cfr. ibid., pp. 279-288.
(5) Carlo Falconi, Gedda e l’Azione Cattolica, Parenti, Roma 1958, p. 190; nel testo di don Camisasca la citazione si trova a p. 103, e nell’introduzione del card. Ratzinger a p. 10.
(6) Il discorso del prof. Gedda, in L’Osservatore Romano, Città del Vaticano 13/14- 10-1952.
(7) Cfr. Manuale operaio, Ed. operaie, Roma 1973, una storia dell’associazione, della sua ragion d’essere e della sua spiritualità; su quest’ultima, cfr. Luigi Gedda, Getsemani. Meditazioni per l’uomo d’oggi, Massimo, Milano 1987; e Idem, Spiritualità getsemanica, Massimo, Milano 1992; sulla storia cfr. anche Idem, Società operaia. Istruzioni ai capi rod negli esercizi spirituali dal 28 al 30 giugno 1980 nel Getsemani di Casale Corte Cerro, Edizioni operaie, pro manuscripto, Roma 1980, pp. 5-27, dove viene ripercorsa a grandi linee la storia del movimento cattolico italiano e, all’interno di questa, viene tracciato il cammino della Società Operaia fino alla sua erezione canonica nel 1980; e Idem, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Mondadori, Milano 1998. Di Gedda cfr. il testamento spirituale autografo del 23 ottobre 1996, in Agostino Maltarello (a cura di), Immagine di Luigi Gedda, Orizzonte medico, Roma 2001, pp. 7-10. A commento, cfr. anche i miei Democrazia Cristiana e mondo cattolico nell’epoca del centrismo (1947-1953), in Cristianità, anno XXVI, n. 277, maggio 1998, pp. 19-23 e “18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare”, ibid., n. 281, settembre 1998, pp. 13-16; cfr. pure una recensione delle memorie che riassume tutti i motivi della polemica “antigeddiana”, anche in un’ottica d’attualità politico-culturale, in Giuseppe Alberigo, Gedda ieri … e anche oggi?, in cristianesimo nella storia. Ricerche storiche esegetiche teologiche, vol. XXI/3, Bologna settembre-dicembre 2000, pp. 687-694.
(8) Giussani e Gedda, in Avvenire, 3-4-2001.
(9) Ibidem.
(10) L. Gedda, Società operaia. Istruzioni ai capi rod negli esercizi spirituali dal 28 al 30 giugno 1980 nel Getsemani di Casale Corte Cerro, cit., pp. 23-24.
(11) Cit. in A. Maltarello (a cura di), op. cit., p. 8.