Lorenzo Simonetti, Cristianità n. 402 (2020)
Vi sono persone il cui nome sembra definirne perfettamente il profilo e il carattere, a conferma dell’antico adagio latino «nomen omen»,«un nome, un destino». Penso che Boezio (Anicius Manlius Torquatus Severinus Boethius, 480 ca.-526 o, secondo la tradizione, 524) sia una di queste.
Come testimonia il suo nome gentilizio, Boezio apparteneva all’antica gens Anicia, parte della nobiltà romana fin dal II secolo a.C.: alla sua epoca la linea maschile della gens era ormai estinta, ma continuava a sussistere per discendenza femminile. Questa famiglia vantava esponenti illustri, da Lucio Anicio Gallo, console nel 160 a.C., a Papa san Gregorio Magno (540 ca.-604). Quando il cristianesimo diventò la religione prevalente dell’impero, i capi delle principali famiglie della gens Anicia si distinsero particolarmente: convertitisi al nuovo culto, combatterono in Senato la vecchia nobiltà legata alla tradizione pagana ed ebbero così in premio dall’imperatore le più alte cariche pubbliche.
Il nome «Boezio» deriva invece dal padre Flavio Narsete Manlio Boezio, console, prefetto del pretorio e prefetto dell’Urbe: si tratta di un appellativo di origine greca, da βοήθεια (boḗtheia, «soccorso»), un composto di βοή (boḗ, «clamore») e θείω (theíō, «correre»), e il suo significato può essere interpretato come «colui che accorre [in soccorso] nel clamore [della battaglia]».
Boezio visse in un tormentato periodo di transizione, quando l’Occidente europeo assisteva al tramonto dell’impero romano e al formarsi dei regni romano-barbarici da cui nacque il successivo assetto politico medioevale: potremmo dire, citando Papa Francesco a proposito del momento presente, che egli visse non tanto «un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca» (1). Educato a Roma secondo il modello retorico-filosofico della classicità, completò gli studi ad Atene e pur ricoprendo impegnative cariche pubbliche — questore e patrizio, nel 510 console e nel 522 magister officiorum — divenne esperto traduttore e commentatore latino di alcune opere di logica aristotelica, fra cui le Categorie e gli Analitici primi. Assai versato nelle arti liberali del quadrivio, scrisse opere di musica, aritmetica e geometria, e s’interessò anche di teologia cattolica, benché da semplice laico cristiano, redigendo piccoli trattati in questa materia. Durante la sua prigionia a Pavia, dovuta alla falsa accusa di tradimento nei confronti del re goto Teodorico (454-526) — che sfociò poi nella sua condanna a morte, legata anche a motivi religiosi — compose la sua opera più nota, la De consolatione philosophiae, una raffinatissima meditazione filosofica sui più importanti temi esistenziali: la natura della vera felicità, il rapporto fra Dio e le cose create, il problema del male, la distinzione fra la Provvidenza e il destino, la conciliabilità fra la prescienza divina e la libertà umana.
Ho sostato più volte in preghiera davanti all’urna che conserva le sue spoglie mortali, nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro (in Cieldauro) a Pavia proprio al di sotto dell’altare ove giacciono anche le spoglie di sant’Agostino di Ippona (354-430). In questo luogo sacro mi sono interrogato su quale sia la lezione più importante consegnata a noi da quest’uomo, purtroppo ignorato da molti cattolici. Approfondendo uno degli aspetti forse meno noti, quello delle sue opere teologiche, mi sono reso conto di quanto Boezio abbia corrisposto pienamente al significato del suo nome: con pieno senso di responsabilità ecclesiale egli andò in soccorso della dottrina cattolica nel bel mezzo di una battaglia religiosa, fornendole il metodo di cui necessitava per consolidare le proprie asserzioni.
All’epoca di Boezio, pur essendo già stati definiti i principali dogmi trinitari e cristologici, non si erano del tutto sopite le controversie teologiche sorte dopo il Concilio di Calcedonia (451) sulla questione delle due nature di Cristo in rapporto alla seconda persona trinitaria. Da tale questione si scatenò uno scisma che divise la Chiesa occidentale da quella orientale, lo scisma detto «acaciano» (484-519). Anche dopo la sua ricomposizione, tuttavia, la Santa Sede fu nuovamente oggetto di pressione da parte dei monaci sciti, provenienti dalla Scizia minore, l’odierna Dobrugia, che chiedevano l’approvazione di una formula cristologica «teopaschita» — dottrina cristologica secondo la quale Gesù avrebbe sofferto sulla croce come Dio —, adducendo una tradizione teologica preconciliare riconducibile a san Cirillo di Alessandria (370 ca.-444). Boezio era consapevole della rilevanza non solo dottrinale, ma anche socio-politica delle sottili questioni teologiche in discussione in quegli anni, generate da ambiguità concettuali e linguistiche che rendevano difficile la comprensione fra il mondo latino-occidentale, quello greco-orientale e le nuove popolazioni barbare, in gran parte legate all’eresia ariana. Decise, quindi, di intervenire scrivendo i già citati opuscoli teologici: nel 512 il De fide catholica e il Liber contra Eutychen et Nestorium; nel 518 il De hebdomadibus e, fra il 521 e il 522, De Trinitate; Utrum Pater et Filius et Spiritus Sanctus de divinitate substantialiter praedicentur; Quomodo substantiae in eo quod sint, bonae sint (2).
Partendo dalla fede cattolica, a cui aderiva con ferma e umile obbedienza nei confronti dell’autorità ecclesiastica, alla quale lasciava sempre l’ultima parola e al cui giudizio sottometteva i propri scritti, Boezio si avvalse del rigore delle leggi logiche per dimostrare la perfetta e coerente razionalità delle definizioni dogmatiche, chiarendone i termini concettuali in modo da risolvere le questioni interpretative poste dai cristiani d’Oriente e dimostrare l’insostenibilità delle eresie già condannate dai concili. Diventeranno classiche nel pensiero medioevale le spiegazioni da lui date ai concetti di «essenza», «sostanza», «persona» e «natura» in rapporto alla Trinità e a Cristo: esse saranno il fondamento su cui nascerà la filosofia scolastica, a partire dai commenti alle opere boeziane elaborati da san Tommaso d’Aquino (1226-1274) (3). Mettendo a frutto i suoi studi sulla metafisica platonica e sulla logica aristotelica, che tenterà altresì di conciliare e tradurre interamente in latino, Boezio fornirà infatti un metodo teologico che, senza prescindere dall’autorità della Sacra Scrittura, faceva della ragione un forte e autonomo strumento dialettico per esporre le verità di fede con precisione e sistematicità «matematica». Per dare un saggio delle nobili intenzioni con cui si dedicò a questa delicata impresa, è utile citare la conclusione del De Trinitate, indirizzata al padre adottivo e suocero Quinto Aurelio Memmio Simmaco (metà del secolo V-525/526): «Se abbiamo fornito, con il soccorso della grazia divina, idonei strumenti argomentativi ai fondamenti di una sentenza di fede già fermissima, la letizia dell’opera completata ritornerà lì da dove ne venne l’esito. E se l’umanità non poté salire oltre sé stessa, le preghiere suppliranno a quanto la debolezza ci toglie» (4).
Il suo atteggiamento di equilibrio di fronte alle crisi dottrinali della Chiesa è esemplare: senza pretendere di sostituirsi al Magistero, Boezio suggerì al clero le soluzioni teologiche che gli parvero più adeguate per uscire dalle controversie che minavano l’unità del popolo di Dio. Da semplice fedele della Chiesa «discente», offrì la propria perizia intellettuale alla Chiesa «docente» per renderla più consapevole della solida dottrina di cui è unica e indiscutibile custode. E indicò un modo di accostamento culturale che coniugava la sapienza antica con la Rivelazione, una via logicae illuminata dalla fede, sulla quale gli uomini, pur in mezzo alle tribolazioni di questa vita terrena, potessero incamminarsi con l’interezza del proprio essere fino alle altezze ineffabili della divinità beata, spinti dalle «due ali» di cui ha parlato san Giovanni Paolo II (1978-2005) nell’enciclica Fides et ratio (5). Del resto, le leggi della logica rappresentano un argomento fortissimo per la credibilità razionale della Rivelazione e per sgombrare la mente dagli inganni delle ideologie mondane: prive di un legame con la materia e universalmente valide, non si potrebbero nemmeno concepire in una realtà materialistica, dove è solo il «caso» a regnare disordinatamente. Esse rimandano quindi all’esistenza di un Dio razionale, un Creatore distinto dal creato e Principio ontologico a fondamento di ogni conoscenza.
Non bisogna infine dimenticare quanto ha segnalato il Papa emerito Benedetto XVI (2005-2013) nei suoi Appunti (6) sugli abusi nella Chiesa, a proposito del collasso della teologia morale cattolica dovuto all’abbandono delle sue fondamenta giusnaturalistiche e al tentativo fallito di elaborare un’etica incentrata esclusivamente sulla Sacra Scrittura: anche Boezio si rese conto che, per difendere la Verità rivelata da quanti cercano di prevalere con la tortuosa e superficiale retorica umana, è opportuno illustrare la dottrina contenuta nelle Sacre Scritture e nei testi conciliari, che gli stessi eretici utilizzano per difendere le proprie tesi, mediante la chiarezza del metodo dialettico o logico-razionale, lo stesso che dagli anni 1960 molti teologi hanno in gran parte abbandonato, con gravi conseguenze.
Se vogliamo rifondare il pensiero cristiano europeo, difendendo la fede cattolica in un mondo sempre più irrazionale, all’«opzione Benedetto» uniamo la «consolazione di Boezio», che seppe sublimare l’eredità di un mondo classico in rovina per costruire, a partire dalla roccia del cristianesimo, le basi di una civiltà nuova, trasfigurata dalla Verità rivelata.
Egli scrisse:
«Concedi, o padre, alla mia mente di poter salire alla tua sublime dimora,
concedi che io possa attraversare la fonte del bene, e, scoperta la luce,
possa fissare in te gli sguardi intenti del mio spirito.
Dissolvi le nebbie e i gravami della mia massa terrena
e rifulgi nel tuo splendore; tu sei infatti il sereno,
tu sei il riposo e la pace per i giusti, contemplare te è il nostro fine,
tu sei contemporaneamente principio, stimolo, guida, via, meta» (7).
Note:
(1) Francesco, Discorso ai rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa italiana a Firenze, del 10-11-2015.
(2) Cfr. Severino Boezio, La consolazione della filosofia – Gli opuscoli teologici, a cura di Luca Obertello, Rusconi, Milano 1979.
(3) Cfr. Tommaso d’Aquino, Commenti a Boezio, Bompiani, Milano 2007.
(4) Cfr. Severino Boezio, De Trinitate, trad. redazionale del testo latino, reperibile nel sito <http://www.logicmuseum.com/authors/boethius/boethiusdetrinitate.htm>, consultato il 13-5-2020.
(5) Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Fides et ratio» circa i rapporti tra fede e ragione, del 14-9-1998.
(6) Cfr. Benedetto XVI, La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali, in Cristianità, anno XVLVII, n. 397, maggio-giugno 2019, pp. 7-26.
(7) Severino Boezio, La consolazione della filosofia, trad. it., introduzione di Christine Mohrmann (1903-1988), Rizzoli, Milano 2016, libro III, carme IX, vv. 22-28.