Dal 2008 al 2014 per ogni 1000 matrimoni celebrati in Italia vi sono state in media 300 separazioni, con un trend in costante crescita: dalle 286 del 2008 alle 320 del 2014. La tendenza dei divorzi si è mantenuta, in parallelo, più regolare, attorno a quota 180. Nel 2015 le due linee registrano un balzo: le separazioni dalle 320/1000 del 2014 a 340, i divorzi da 180/1000 del 2014 a 297! Come si spiega quest’incremento del 60% in appena dodici mesi? Si spiega perché nel 2014 il Parlamento ha varato le norme – contenute in due leggi distinte – sul divorzio breve e sul divorzio facile: con riduzione fino a sei mesi dall’azione di separazione del termine per chiedere il divorzio, e senza necessità del giudice, se le parti concordano: basta andare dall’avvocato o in municipio. Vi sarà stata pure una quantità di separazioni in attesa, che con le nuove disposizioni sono state trasformate in divorzi. Resta il fatto che un istituto – la separazione – che in teoria potrebbe indurre, prendendo le distanze dal contesto di crisi, a un ripensamento, e quindi svolgere una funzione terapeutica sul legame della coppia, è diventata in via definitiva ed esclusiva il timbro per ottenere il divorzio. Dedicato a chi nega che le leggi influiscano il costume: e a chi predica che la formazione delle coscienze è rimedio unico contro lo stravolgimento dei fondamenti della nostra vita quotidiana. La legge incide, eccome. Chiamare a ragione chi la promuove e la vota non è alternativo, bensì complementare, rispetto alla formazione delle coscienze. Sono almeno 50 anni che “scelte religiose” concorrono a regalarci disastri prima normativi, poi sociali.