di Marco Respinti
Cristo è risorto. Come aveva annunciato. È risorto davvero. Oggi, domenica 12 aprile, non duemila anni fa.
Per ragioni di lavoro (ma ci sono lavori che non sono solamente lavori) ho girato alcuni Paesi del mondo e intrattengo corrispondenze con persone di diversi Paesi del mondo, anche di alcuni che non ho visitato. Inevitabilmente i rapporti di lavoro che non sono solamente lavori si trasformano in relazioni più calde, talvolta anche in vere e proprie amicizie. Non è scontato, ma quando avviene è significativo. Quando poi ci sono di mezzo il diritto alla vita, la minaccia a quel bene che è la famiglia, la libertà religiosa, la persecuzione a motivo della fede, il razzismo e la violenza subita le relazioni non sono mai soltanto intellettuali e professionali: diventano più facilmente con-passione.
Nell’era in cui i telefoni che hanno la magia di portare la voce delle persone oltre le miglia e i chilometri non vengono più usati per parlarsi bensì per scrivere, e nel mondo in cui siamo diventati tutti segreterie telefoniche e ci scansiamo attraverso voci preregistrate che snaturano il senso etimologico stesso di «dialogo», nel giorno di Pasqua di messaggi me ne arrivano di continuo, da ogni parte del mondo. E mi colpiscono come frecce al cuore. Ricevo auguri di buona Pasqua da molte fedi e da molte religioni. Non generici, però: spirituali, talvolta persino teologici o, meglio, teologanti. Ovviamente da protestanti che festeggiano con noi cattolici oggi e da ortodossi che festeggeranno domenica ventura, ma anche da buddhisti, Testimoni di Geova che hanno commemorato la morte di Cristo il 7 aprile in corrispondenza del 14 nisan ebraico, membri di quella che veniva chiamata Chiesa dell’Unificazione, fedeli della Chiesa di Dio Onnipotente, praticanti del Falun Gong, membri del Tai Ji Men, musulmani, uno dei quali mi manda persino un «amen».
Non lo fanno per buona creanza e formalità. Lo fanno per rendere omaggio al credo religioso che sanno che mi anima. Per rendere onore a un amico rendono cioè onore a ciò che egli ha di più sacro, caro e fondamentale: la sua fede.
Per chi non è cristiano, la Pasqua non ha alcun significato. Gli auguri che mi arrivano non hanno il senso dell’annuncio festante e reciproco di un mistero divino che ci definisce. Nondimeno sono la condivisione di qualcosa d’importante, di misteriosamente importante. Così, con il proprio semplice augurio deferente e rispettoso, questi non cristiani entrano in qualche modo inavvertito ed enigmatico dentro un mistero divino che è comunque per tutti gli uomini, benché essi non lo sappiano. Quel loro piccolo gesto di augurio è insomma un piccolissimo enorme passo dentro un mondo più grande. Non solo umano. Penso immediamente a chi, invece, due volte l’anno, ripete «buon Natale» e «buona Pasqua» per ottemperare a un vuoto precetto calendaristico senza nemmeno più subodorare cosa ci si perda, e dunque ringrazio il Cielo, oggi, dì di Pasqua, del dono di amici diversi che le vie misteriose di Dio portano, in un modo virtuale e strano, persino via WhatsApp, a inginocchiarsi inavvertitamente alla Signoria di Cristo sulla storia, pregando per loro e per me.
C’è qualcosa di infinito che si muove dentro, sotto e sopra di noi, soprattutto quando non lo sappiamo. Non m’interessa chiamarlo ora ecumenismo e nemmeno libertà religiosa, che pure è un bene supremo per il quale svolgo il mio lavoro che non è soltanto un lavoro. M’interessa cosa sa fare sempre inaspettatamente Dio per attenderci al varco.
Lunedì, 13 aprile 2020