Cercasi persona disposta a fare una ragionevole previsione di come finirà. Se non la si trova non è perché manchino gli analisti: è perché latita la ragionevolezza. Lo stato dell’arte vede oggi Carles Puigdemont in attesa delle decisioni di un giudice belga sul mandato di arresto europeo emesso contro di lui da un giudice di Madrid: come se la sede di soluzione delle questioni che dividono la Spagna fosse l’aula di giustizia di un diverso Stato Ue. Non è l’unica scena di una commedia dell’assurdo, che affianca ragioni, torti e infantilismi, rivendicazioni, opposizioni e banalizzazioni. Non sono mancati i momenti in cui i contendenti avrebbero potuto fermarsi, immaginare ciascuno le conseguenze del passo che intendevano compiere, trovare una via diversa. Perché non lo hanno fatto, fino a giungere a un punto in cui il territorio catalano subisce il trasferimento delle sedi di importanti aziende e istituti di credito, e l’intera Spagna non riesce – oggi, dentro i confini europei – a impedire il proprio sgretolamento? E’ che se non hai chiaro il senso dell’azione che stai svolgendo, se non pratichi quella prudenza che è virtù fondamentale per l’agire politico, se fai prevalere la suggestione alla giustizia, inizi qualcosa che non riesci più a governare, nemmeno per la parte che dipende da te. La Catalogna come icona di un’Europa e di un Occidente che rinuncia a ragionare, che sulla faticosa costruzione di un domani fondato sul diritto fa prevalere un quotidiano banale e dannoso. Ignorando i pericoli veri, cui pure imporrebbe di badare la tragica esperienza della Rambla di appena tre mesi fa.