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C’era una volta il Grillo-parlante…

26 Aprile 2017 - Autore: Maria Luisa Di Pietro

…sull’eutanasia della coscienza (morale)

Il rapporto tra Pinocchio e il Grillo-parlante non è iniziato, come è noto, in modo amichevole.

«Povero Pinocchio! – si legge nel libro di Collodi a conclusione del loro primo incontro – Mi fai proprio compassione! […] Perché ti faccio compassione? Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la testa di legno. A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso sul banco un martello di legno lo scagliò contro il Grillo-parlante. Forse non credeva nemmeno di colpirlo: ma disgraziatamente lo colse per l’appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe appena il fiato di fare crì – crì – crì, e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete.»

Eppure il Grillo-parlante non scompare dalla storia di Pinocchio. Il suo “fantasma” riappare: nel Campo dei Miracoli, per sottrarre Pinocchio dall’inganno del Gatto e della Volpe; ai piedi del letto di Pinocchio moribondo dopo essere stato salvato dai servitori della Fata Turchina; nella casetta lungo il mare, dove accoglie Pinocchio e Geppetto usciti dalla pancia della balena o – piuttosto – di uno squalo secondo la versione originale della storia.

Il Grillo-parlante: petulante, pedante, pronto a dire sempre la cosa giusta da fare e per questo tanto irritante. È – d’altra parte – la coscienza di Pinocchio, a cui sta accanto fino a quando il burattino non diventa un bambino vero.

Avete mai provato a staccarvi dalla vostra coscienza? Non è possibile! È sempre presente, pronta a indicare la strada da seguire davanti al bivio delle scelte. Perché gli esseri umani, diversamente dalle altre specie viventi, hanno – per natura – la possibilità di scegliere. E, di fronte alla singola decisione, la coscienza fa luce sull’oggetto della scelta e la misura con quella scala di valori che si costruisce negli anni della fanciullezza, dell’adolescenza e della prima giovinezza. In coscienza, si può – però – scegliere anche il male, qualora il “Grillo-parlante” non sia stato prima educato a conoscere le strade corrette da percorrere.

Un “Grillo-parlante”, che ci fa compagnia come un amico fedele: quando si ha la coscienza tranquilla; quando la coscienza rimorde; quando non si vuole andare contro la nostra coscienza. Una coscienza, considerata centrale anche nell’esercizio delle professioni sanitarie.

Con riferimento al medico, già il Giuramento di Ippocrate prevedeva – se non il nome – l’oggetto di una scelta fatta in coscienza soprattutto a fronte di gravi offese alla vita dell’essere umano Nel corso dei secoli, il Giuramento di Ippocrate ha dovuto confrontarsi con i venti del cambiamento sociale e culturale, ma la coscienza morale è rimasta – insieme alla scienza – uno dei due pilastri fondanti dell’azione del medico.

“Agire in scienza e coscienza”: un dovere e un diritto del medico, che ha cominciato nel tempo a entrare in conflitto con “nuovi” diritti e doveri. Il diritto all’aborto, il diritto al figlio, il diritto al figlio sano, il diritto a morire, da una parte; il dovere di venire meno a quel Giuramento di Ippocrate che vincolava al rispetto e alla tutela della vita: “sempre”. Di fronte al nuovo linguaggio dei diritti, vi era (e vi è) – però – qualcuno che non riesce ancora a tacitare il suo Grillo-parlante. Cosa fare contro costoro che minano i fondamenti della moderna “civiltà”?

Due soluzioni. O un colpo con il martello di legno, cercando o di zittire le coscienze che ancora parlano o di appiattire le coscienze più facilmente malleabili. Oppure, cambiare i connotati all’oggetto della scelta in modo che la coscienza venga ingannata e ridotta al silenzio.

La prima soluzione viene adottata in vari consessi, ove si discute dell’opportunità o meno che i medici facciano ancora riferimento alla propria coscienza, o nei ripetuti attacchi – costruiti ad arte – contro chi non accetta di venire meno al proprio Giuramento di Ippocrate.

La seconda soluzione è stata adottata nella preparazione del testo di legge “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, discusso alla Camera e inviato ora al Senato.

Perché mai si dovrebbe parlare di obiezione di coscienza in una legge che prevede solo che il paziente cosciente o non cosciente possa – in corso di malattia o prima ancora di essere malato (e, quindi, non ancora ”paziente”) – rifiutare sia qualsiasi trattamento sia di essere alimentato e idratato? Non si sta – si dice – chiedendo al medico di ucciderlo, ma di lasciarlo morire; non si sta chiedendo al medico di fare qualcosa contro la vita del paziente, ma semplicemente di esaudire le sue volontà attuali o precedenti! Non si tratta di somministrare un farmaco letale, ma solo di evitare l’accanimento terapeutico!

Non è vero! Si sta mettendo il medico nelle condizioni di rinunciare al suo dovere di cura, di venire meno al Giuramento di Ippocrate. Si sta obbligando il medico a dover giustificare le proprie ragioni di voler continuare a curare anche con persone estranee e ignare della professione medica.

È il risultato della moderna “alchimia”, ovvero dell’inganno, della mistificazione, delle parole.

Le parole vengono svuotate del proprio significato e riempite di altro significato. E, così, l’eutanasia per omissione o – altrimenti detta – “passiva” diventa “rifiuto di qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario” o “interruzione di alimentazione e idratazione”.

E, se non c’è un atto uccisivo, perché mai il Grillo-parlante dovrebbe ribellarsi? Forse, perché si tratta proprio della sua (del Grillo-parlante) eutanasia?

 

Maria Luisa Di Pietro

 Direttore del Center for Global Health Research and Studies –  Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma

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