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CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, Tra Leghe e nazionalismi. «Religione civile» e nuovi simboli politici, a cura di Massimo Introvigne, Effedieffe, Milano 1993, pp. 152, L. 18.000

29 Settembre 1993 - Autore: Alleanza Cattolica

Cristianità n. 220-221 (1993)

 

CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, Tra Leghe e nazionalismi.
«Religione civile» e nuovi simboli politici, a cura di Massimo Introvigne, Effedieffe, Milano 1993, pp. 152, L. 18.000

 

Il 14 gennaio 1992, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di To­rino, il CESNUR, il Centro Studi sul­­le Nuove Religioni, ha tenuto un se­­minario sul tema «Religione civile» e nuo­vi simboli politici, inteso a tracciare un bilancio di venticinque anni di appli­ca­­zione della categoria «religione civile», proposta nel significato che ha as­sun­­to nella so­cio­lo­gia contemporanea — infatti l’espressione risale a Jean-Jac­ques Rousseau — dal­lo studioso ame­ri­­cano Robert N. Bellah in un articolo, Ci­vil Religion in Ame­rica, apparso nel 1967 sulla rivista Daedalus (vol. 96, n. 1, pp. 1-21) (cfr. «Religione civile» e nuovi simboli politici, in Cristianità, anno XX, n. 203, marzo 1992). Le relazioni, ampiamente rielaborate, sono raccolte nel volume Tra Leghe e nazionalismi. «Religione ci­vile» e nuovi simboli politici.

Come illustra nell’Introduzione (pp. 9-17) l’avvocato Michele Vietti, già mem­bro della Commissione Cultura del Co­mune di Torino, la «religione civile» — così come i sociologi la intendono — è certamente molto diversa dalla consue­ta «religione “religiosa”», ma appartie­ne al mondo delle credenze e degli at­teggia­men­ti «religiosi», intesi in senso lato, che caratterizzano l’uomo moderno e, in questo senso, fa parte della «nuova re­ligiosità» contemporanea, che è ogget­to dell’interesse e degli studi del CE­SNUR. Quella che qualcuno ha chiama­to «r­eligione diffusa» oggi carica di signifi­ca­ti «religiosi» anche alcuni aspetti della po­litica. Il concetto di «religione civile», così, «[…] è stato utilizzato per descrive­re l’uso di simboli che assomigliano mol­to ai simboli religiosi da parte di for­ze politiche per raccogliere il consen­so» (p. 12) e anche, in tono più polemico, per de­signare «[…] una sorta di usurpazione in fa­vore della politica di atteggiamenti e di simboli che dovrebbero essere riserva­ti alla religione “religiosa”, alla sfera del­la religione propriamente detta» (p. 13).

Così intesa, la «religione ci­vile» non è un fenomeno che riguarda sol­tanto gli Stati Uniti d’America. La dottoressa Eli­sabeth Peter, del Pontificio Consiglio per il Dialogo con i Non Credenti, nel suo contributo su Religione civile e re­ligione «religiosa» (pp. 19-34) fa cen­no a un caso storico — la Francia del­l’e­po­­ca rivoluzionaria — e discute quattro esempi contemporanei: gli Stati Uniti d’America, la Svezia, la Russia e il Giappone. Se ne­gli Stati Uniti d’America — a partire appunto da­gli studi di Robert N. Bellah — l’espressione «religione civile» indica un minimo comune denominatore che do­vrebbe unire persone di fedi religiose di­verse e insieme promuovere una mito­lo­gia «[..] che fa degli Stati Uniti una specie di “nuovo Israele”, un popolo eletto, la cui sorte è guidata da una non meglio de­finita provvidenza» (p. 24), in Svezia — un paese caratterizzato da una grave cri­si della comunità religiosa mag­gio­ri­ta­ria, quella luterana, che è «[…] diventata un semplice ente statale, con funzioni ana­grafiche e fol­clo­ri­sti­che […] lontanis­si­ma dall’essere comunità di credenti e as­solutamente incapace di dare una ri­spo­sta alle più profonde questioni dell’esistenza» (pp. 27-28) — la «religione civile» è di­ventata culto dello Stato assistenziale che pensa a tutto, «dalla culla alla ba­ra». Anche se non mancano segni di un’inversione di tendenza, per molti an­ni un certo tipo di svedese ha in­vestito di una valenza religiosa «[…] lo Sta­to impersonale — e questo perché non conosce più il Dio personale, annun­cia­to dalla Chiesa» (p. 30). In Russia, dopo la fine del comunismo, «[…] è trop­po presto per affermare che assistia­mo […] alla nascita di una religione ci­vile destinata a prendere il posto del­l’ideo­­logia atea ormai completamente scre­ditata, ma non possiamo neanche escludere un processo di questo genere» (p. 31), specie se si osserva, in certi movi­menti, la nascita di forme di nazionalismo che si presentano come possibile «fon­te di un “credo” im­ma­nen­tista» (ibidem). In Giappone, infine, si può parlare di una religione «insieme civile e “reli­gio­­sa”» (p. 32) se si guarda al ruolo politico svol­to dal cosiddetto shintoismo di Stato. Tutti questi fenomeni sono guardati dal­la Chiesa cattolica, in particolare dal­la Santa Sede — conclude la dottores­sa Elisabeth Peter — con interesse, per­ché manifestano, a modo loro, la ten­denza dell’uomo contemporaneo, no­no­­stante gli sforzi del secolarismo, «[…] a su­perare se stesso e a trovare per la pro­pria esistenza un senso trascendente» (p. 33), ma anche con preoccupazione perché troppo spesso la religione civile «[…] igno­ra la religione “religiosa”» (p. 34) e «[…] sa­cra­lizza valori profani» (ibidem).

Benjamin Beit-Hallahmi, professore di Psicologia della Religione nell’Uni­versità di Haifa, in Israele, discute — alla luce degli studi sulla religione ci­­vile — il rapporto fra la religione e i par­­titi politici israeliani (pp. 35-55). L’analisi, di grande rilievo per com­­prendere anche gli avvenimenti po­li­­tici del Medio Oriente, prende le mosse dal conflitto storico fra sionismo ed ebra­i­smo ortodosso. Il sionismo, che è al­le origini dello Stato di Israele, è stato ori­ginariamente promosso da esponenti lar­gamente secolarizzati della comunità ebraica internazionale, guardati con so­spetto dagli ebrei più religiosi, così che la «[…] creazione di un sionismo politico laico comportò una seria sfida al­l’or­to­­dossia ebraica» (p. 44). A partire dalla guer­ra del 1967 si è sviluppata tuttavia in Israele la cosiddetta «ebraiz­za­zione»: un fenomeno insieme di nazionalismo e di riscoperta dell’identità ebraica tradi­zio­­nale. Da una parte, per la prima vol­ta, è nato un «si­o­nismo religioso»; dal­l’altra hanno acquistato consensi — ma non potere politico, anzi il loro po­tere rimane scarso — i cosiddetti «par­titi “religiosi”». Ma que­sto processo si configura più come creazione di una religione civile specificamente isra­e­lia­na che come autentico ricupero del­l’ebraismo tradizionale. Citando il so­ciologo C. S. Liebman, Ben­ja­min Beit-Hallahmi osserva che, «[…] mentre i sim­boli religiosi giocano un ruolo di cre­scente importanza nella vita pubblica o collettiva israeliana, […] non ci sono pro­ve […] che il livello di osservanza religio­sa sia cresciuto» (p. 54). Del resto oggi nel­la politica israeliana fra i leader più emi­nenti «[…] nessuno frequenta i servizi del­le sinagoghe» (p. 51) e «di tutti i primi mi­nistri israeliani a partire dal 1948 […] so­lo […] Begin ha frequentato i servizi re­ligiosi delle sinagoghe al di fuori dei do­veri ufficiali» (ibidem). In Israele, infine, resta vigoroso anche un nazionalismo laico. Per esempio, un popolare gior­nalista israeliano ha potuto scrivere su un quotidiano: «[…] Dio non esiste. L’Olo­causto è la prova scientifica di que­sto assunto. L’Olocausto ne è anche una prova teologica. L’Olocausto è il mo­do con cui Dio ha punito coloro che in­sistevano a credere in Lui» (pp. 49-50). «Questa di­chiarazione, pubblicata su uno dei prin­ci­­pali quotidiani di Tel Aviv — osserva Ben­jamin Beit-Hal­la­h­mi —, non potreb­be essere pubblicata sul­la maggioranza dei quotidiani in Eu­ropa o negli Stati Uni­ti. È interessan­te notare che il giorna­li­sta in questione è da una parte un ac­ceso nazionalista, dall’altra il nipote di un rabbino capo di Israele degli anni 1950» (p. 50).

Alla religione civile in Italia è dedica­to un ampio contributo di Massimo In­tro­vi­­­gne (pp. 57-109), che è anche il curato­re del volume. In questo studio vie­­ne an­zitutto ripercorsa la storia della ca­­te­go­ria di religione civile nella so­cio­lo­­gia sta­tunitense (pp. 57-71), identifi­can­­­do quat­tro caratteristiche fondamen­ta­­li di que­sto minimo comune denomina­to­­re che dovrebbe assicurare l’unità de­­gli ame­ricani, pure divisi fra religioni «re­­li­giose» diverse: l’appello alla mora­le, l’esaltazione dell’imprenditore priva­to one­sto, l’idea di una speciale missione de­gli Stati Uniti d’America e la de­si­gna­zio­ne di av­­versari, peraltro variabili nel tempo. Nel­la seconda parte del saggio (pp. 71-85) l’autore esamina le ipotesi di applica­zio­ne della categoria di religione civile al­l’Italia — applicazione tentata dallo stes­so Robert N. Bellah —, identificando nel tentativo di creare una mitologia ri­sorgimentale, nel fascismo e nel socia­li­smo popolare, i momenti della nostra sto­ria politica che hanno qualcosa in co­mune con la religione civile così co­me viene intesa nel dibattito so­cio­lo­gi­co americano, mentre la Democrazia Cri­stiana ha piuttosto cercato di utilizzare a suo vantaggio la religione «religiosa», e il comunismo si è presentato come «re­ligione politica», fenomeno tipico del totalitarismo — nei termini di Eric Voegelin — diverso dalla «religione ci­vile» che aspira invece a creare consen­so in un contesto di democrazia. Nella ter­za parte (pp. 85-109), Massimo In­tro­vi­gne avanza l’ipotesi che la categoria del­la religione civile possa essere utile per intendere alcuni aspetti del linguaggio, dei simboli e anche dei programmi del­la Lega Lombarda e della Lega Nord. Se si accettasse questa ipotesi si dovrebbe leggere la Lega non come un semplice fenomeno di protesta, o come ri­spec­chi­a­mento delle disfunzioni del sistema ita­liano, ma come tentativo di creare un nuo­vo sentimento di appartenenza intorno a una tradizione nazionale — o piut­to­sto macro­re­gio­na­le, «padano-alpina» —, che non è tuttavia la tradizione catto­li­ca, ma un insieme di valori — l’onestà, la vocazione nazionale o regionale, la la­boriosità, la lotta contro un avversario de­­mo­niz­zato — che assomigliano molto al «minimo comune denominatore» pro­po­­sto dalla religione civile negli Stati Uniti d’America. Questo appello — in gran parte ge­nerico — costituisce, secondo l’autore, la «forza» della Lega, ma anche la sua po­tenziale «debolezza», perché la Lega si trova maggiormente in difficoltà quando dai grandi valori generali deve scende­re a prendere posizione su temi più spe­cifici come l’aborto o la dro­ga, e — su questi terreni come su altri — deve si­tuarsi, rischiando così un conflitto con la religione «religiosa», il che significa — in Italia — con la Chie­sa cattolica che «[…] vede tradizionalmente con sospetto i “fondi comuni” e i “minimi comuni de­nomi­na­to­­ri” reli­gio­­si e sociali» (pp. 105-106). Circa ­la pos­sibilità di un simile con­flitto, di esso vi è traccia, del resto, in reiterate di­­chia­ra­zioni del sen. Um­ber­to Bossi s­e­condo cui, se il «Vaticano» si opporrà al­­­la Lega, «[…] allora noi po­tremmo sug­gerire a tanti cittadini del Nord Ita­lia di non guardare più a Roma, nem­­­meno per la religione. Ma di guarda­re alla vicina Germania, alla Svizzera, ai civilissimi Paesi protestanti che cre­do­­­­no in Dio e in Gesù Cristo ma non ri­­conoscono l’autorità del Papato» (p. 108).

Ma a «quale tradizione» fa riferimento, esattamente, la Lega Nord? Questo problema è discusso nel contributo di don Luigi Berzano, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, ora docente di Sociologia della Religione presso lo stesso ateneo (pp. 111-148). Don Luigi Ber­zano passa in rassegna, anzitutto, le varie interpretazioni che la sociologia italiana ha proposto del fenomeno Lega — qualunquismo, difesa del benessere di alcune regioni, costruzione di una nuova identità subculturale regionale, bisogno di nuove identità collettive e di appartenenza territoriale —, mostrando che sono soltanto parzialmente adeguate (pp. 111-119) e che un’ipotesi interpretativa che tenga conto del concetto di religione civile può rendere ragione di una serie di fenomeni che le altre ipotesi spiegano con maggiore difficoltà (pp. 119-125). Secondo l’autore il concetto di religione civile deve essere però affiancato, per analizzare la Lega, a quello di «invenzione della tradizione» proposto dal sociologo inglese Eric Hobsbawn. Una forza politica che intenda attingere alle riserve del «sacro secolare» ha bisogno di simboli; ma, in una società pluralista, troverà più facile aggregare consenso riferendosi non a una tradizione storicamente data, spesso non condivisa dall’intero arco delle forze sociali — come avviene in Italia per la tradizione cattolica —, quan­to piuttosto «inventando» una tradizione (pp. 126-140). La «tradizione inventata» (p. 127) si esprime in una serie di simboli che operano a livello statale, sociale e personale e di cui viene data per scontata una «continuità col passato» (ibidem) che in realtà non esiste. Il giuramento di Pontida, il Carroccio, Alberto da Giussano non sono riproposti dalla Lega sulla base di un’analisi filologica che possa essere condivisa dagli storici, ma — con un’operazione tipica del Romanticismo — come punti di riferimento mitici, con una «[…] sorta di ingegneria culturale fatta di richiami e distorsioni del passato anche remoto in funzione del presente» (p. 128). D’altro canto, è proprio la società moderna che «[..] ha imposto a tutti i movimenti nuovi di inventarsi un loro passato, delle radici antiche, dei luoghi della memoria.

«Per un movimento politico di massa la costruzione di una memoria collettiva può risultare un’esigenza prioritaria per vincere le differenze, contro­bi­lan­cia­re il mosaico delle posizioni diverse» (pp. 128-129). Infine, don Luigi Berzano si chiede perché «[…] alcuni elementi della politica tendono oggi di nuovo a ritualizzarsi» (p. 140), e risponde che anche la religione civile è a suo modo una componente della nuova religiosità contemporanea, che si sviluppa in un momento di difficoltà delle religioni «religiose» (pp. 140-145). Infine, l’autore si interroga sul «futuro delle Leghe» e prevede ulteriori successi accompagnati tuttavia da difficoltà, perché la situazione di «stato nascente» e di entusiamo delle origini non potrà durare indefinitamente: anche la Lega Nord sarà coinvolta «[…] ben presto dai processi di istituzionalizzazione» (p. 145).

Vi è il rischio che questa ricerca del CESNUR sia considerata esclusivamente come un libro sulla Lega. Certamente — sia pure rimanendo a livello di ipotesi, come tali presentate — il testo apporta notevoli elementi per comprendere il successo delle Leghe in Italia. Del resto, benché l’opera non manchi di spunti dichiaratamente critici, il sen. Giuseppe Leoni, fon­da­to­re della Lega Lombarda con il sen. Um­ber­to Bossi, a Torino, il 21 aprile 1993, in occasione di un incontro dibattito di presentazione del volume, lo ha pubblicamente definito «il testo che ha capito di più della Lega fra i tanti che ci sono stati dedicati» (cfr. La buona battaglia, in Cristianità, anno XXI, n. 118-119, giugno-lu­glio 1993). Tuttavia la ricerca che il CESNUR ha condotto non è nata esclusivamente dalla Lega, ma ha tratto spunto dalle discussioni in corso a livello internazionale sul concetto di religione civile e dal fatto che della religione civile si sia parlato come di una componente della nuova re­li­gio­si­tà nei lavori del Progetto nuovi movimenti religiosi che la FIUC, la Federazione Internazionale delle Università Cattoliche, conduce su mandato di quattro dicasteri della Santa Sede. Proprio in occasione di uno degli incontri di tale progetto della FIUC nacque l’idea della ricerca, maturata poi nel convegno tenuto a Torino nel 1992 e nel volume del 1993. L’emergere di un «sacro secolare» e di simboli «quasi religiosi» nella vita sociale e politica di molti paesi — certamente non solo dell’Italia, anzi in questo quadro l’Italia non occupa neppure una posizione prioritaria — costituisce un fenomeno di grande interesse nell’epoca post-moderna e post-comunista, che si inserisce nel complesso quadro della nuova religiosità e che merita certamente di essere ulteriormente studiato da chi si interessa sia ai fenomeni religiosi, sia alla politica. 

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