Gonzague de Reynold, Cristianità n. 93 (1983)
Gonzague de Reynold raconte la Suisse et son histoire, Payot, Losanna 1965, pp. 6-8. Traduzione redazionale.
Che cosa è la storia?
Apro un dizionario e trovo questa definizione di storia: racconto degli avvenimenti della vita di un popolo. Jacques Bainville diceva a ragione che, di tutte le forme con cui si può rivestire la storia, la narrativa era la più noiosa. Aggiungerei: la più superficiale. La storia è, dunque, tutt’altra cosa che il racconto degli avvenimenti. Ma dove trovare questa cosa totalmente diversa?
Si scopre in fondo alla storia un mistero: quello del destino umano. Non il destino personale, ma il destino collettivo. È vero che tra la persona e la società si nota una continua interazione. La persona interviene incessantemente nella storia per modificarne il corso e per impedire a essa di essere soltanto una fatalità. Non per questo si deve trascurare la distinzione tra la vita di un essere personale e la vita di un essere collettivo. Quando diciamo: l’anima degli uomini, affermiamo un principio vitale, una immortalità; quando diciamo: l’anima di una nazione, parliamo solo per analogia, e in modo vago, spesso letterario. E gli Stati, le nazioni, i popoli sono mortali.
Mi appresto ad affermare una ovvietà il cui responsabile ha nome Aristotele: l’uomo è un essere politico: di conseguenza deve imparare a vivere in società. Chi glielo insegnerà? la storia. Essa è una scienza solo per poter essere meglio una saggezza. Attraverso le ricerche, le osservazioni e le esperienze che ha raccolto e coordinato secondo un metodo scientifico, essa ha la missione di aiutare l’uomo a realizzare, nel quadro della società di cui è membro, una parte del suo destino terreno. Questo è il perché della storia: bisogna insistervi di fronte a quanti si ostinano a vedervi solo il come.
La storia è nata dall’incontro tra i fatti e una concezione del mondo, una Weltanschauung, per usare questa espressione tedesca, più forte di quella francese. Ma, che cosa ha provocato questo incontro? una inquietudine.
I
Il fenomeno è accaduto presso i greci.
Storia: la parola stessa è greca. All’origine si applicava ai piccoli racconti di coloro che venivano chiamati logografi, perché scrivevano in prosa. Racconti semplici e brevi, senza nessun’altra pretesa che quella di narrare.
La narrazione si trasformò in storia, il giorno in cui la filosofia se ne impadronì per animarla, per dirigerla. Come è successo?
Il mondo antico era ottimista nella sua azione e pessimista nella sua concezione. Pessimista perché, al di sopra degli uomini, al di sopra anche degli dei, vi era il Destino. Gli antichi vedevano in questo nome la maschera di potenze irrazionali e impersonali che, direttamente o con la mediazione degli dei, determinavano la vita umana, fissandone in anticipo l’inizio e la fine. Il Destino era un cerchio di ferro che non cessava di girare attorno al suo centro immobile e nel quale gli effimeri erano prigionieri. Gli effimeri: cosi gli elleni chiamavano gli uomini.
Gli uomini non potevano nulla contro il Destino, se non opporre a esso la loro intelligenza e la loro virtù. Sapevano che la fatalità avrebbe avuto l’ultima parola: ma, siccome era loro impossibile restare passivi e muti, si sforzavano di conquistare da qualche parte, all’interno del cerchio, un piccolo posto per la libertà.
La storia è una manifestazione di questo sforzo. Qual era il primo pensiero della filosofia greca? Illuminare l’universo, renderlo intelligibile. Vedere chiaro, comprendere, era già una liberazione. Ma questo pensiero portava con sé una inquietudine. Il regime degli elleni era quello della città. Ora, al tempo di Socrate, di Platone e di Aristotele, la città era in decadenza. Come ricostruirla, qual era la migliore forma da dare a essa? Questa inquietudine politica, nel senso filosofico dell’attributo, doveva necessariamente condurre alla storia. La vita della città è sottomessa al Destino. I fatti sono legati da leggi permanenti e necessarie. Ma lo studio nel passato delle cause e degli effetti permette di prevedere l’avvenire. La storia è dunque un mezzo, anch’essa, per preparare un piccolo spazio alla libertà.
Senza la filosofia, presso i greci la storia non sarebbe mai nata. Questi l’hanno trasmessa ai romani. Questi uomini di azione, questi conquistatori, che non avevano assolutamente attitudine filosofica, si tenevano a questo articolo di fede: la perennità di Roma. Essa era nella volontà degli dei: era anche nella volontà del Destino? I romani riconoscevano la sua sovranità, ma temevano la sua imprevedibile e capricciosa figlia: la Fortuna. Da ciò la loro inquietudine quanto alla sorte dell’impero. Essi constatavano la decadenza dei costumi e la corruzione dei cittadini: vedevano accrescersi la minaccia dei barbari. Ritornare alle tradizioni e alle virtù che avevano fatto Roma e avevano dato a essa l’impero, ecco qual era il solo mezzo di difesa e di salvezza. Dunque, ai romani si imponeva il ricorso alla storia. Un popolo che si compiacesse nella ignoranza della storia si condannerebbe a rimanere sempre un fanciullo, affermava Cicerone.
II
La concezione del mondo alla quale si legava la storia antica faceva di essa la prigioniera del Destino. La concezione cristiana del mondo spezzò il cerchio e la liberò.
L’immagine cambia. Al posto del cerchio, abbiamo la linea.
La linea indica una liberazione, un movimento, uno sviluppo.
Ma questo sviluppo non è indefinito. Se fosse indefinito, se fosse una evoluzione, si avrebbe davanti una nuova forma di fatalità.
La storia cristiana ha un inizio e una fine. Fine va inteso nei due sensi di termine e di scopo.
La linea ha anche un mezzo: l’apparizione di Cristo nel mondo, nel tempo. Non è un mezzo cronologico: indica un cambiamento nel destino umano, un prima e un dopo.
Al posto del Destino dalle leggi meccaniche, senza anima e senza amore, la concezione cristiana erige la Provvidenza, questo nome storico di Dio. È anche quello del padre che ama i suoi figli e che veglia su di loro. Il Destino rendeva impossibile ogni libertà. Ma Dio, la cui libertà è infinita, poteva agire nel tempo, nella storia, soltanto con esseri liberi. «Non potrebbe essere nel disegno della Provvidenza l’escludere la libertà umana», scrive Tommaso d’Aquino.
Queste nozioni fondamentali bastano per mostrarci che, se la religione degli antichi era mitica, quella dei cristiani è storica.
I loro libri sacri sono una storia. Questa storia è entrata nella spiritualità cristiana.
In primo luogo si è capita la storia sacra. I cristiani avevano cominciato con il vedere nell’altra, in quella profana, solamente una contro-storia. Loro erano la Città di Dio, i pagani erano solo la città degli uomini. La Città di Dio era costretta, nel corso del suo viaggio, ad attraversare la città degli uomini. Come avrebbe potuto evitare di avere rapporti con questa? Venne un giorno in cui la città degli uomini diventò anch’essa cristiana. Si stabilì allora una concordanza tra la storia sacra e la storia profana. Da questa concordanza uscì la storia universale.
La salvezza del mondo è la preoccupazione dominante della religione cristiana. Questa religione universale poteva concepire soltanto una storia universale.
Ma il cristianesimo ha sempre avuto il senso della diversità delle nazioni nella unità della fede. Per questo, nel quadro di questa unità, si è interessato alle nazioni stesse, alla storia di questi popoli barbari, che erano temuti e che erano disprezzati; ne è uscita la storia nazionale. Esso ebbe anche un’altra cura, quella del metodo storico. Esso ha creato le scienze ausiliarie della storia: la cronologia, la esegesi, la erudizione. La cura dei testi, e di conseguenza la correzione dei testi, cominciata con san Gerolamo, è durata fino ad adesso e dura ancora.
III
La domanda: che cosa è la storia? esigeva una storia della storia.
Questa storia ha tre grandi capitoli: quello della storia antica, quello della storia cristiana e quello della storia moderna. La prima di queste storie è quella del Destino, la seconda quella della Provvidenza e la terza quella della evoluzione. Era necessario avere una idea della prima e della seconda per essere in condizioni di comprendere la terza e di giudicarla.
Ed ecco la mia conclusione ultima:
La storia, ho detto, è una saggezza. Essa è soprattutto una forza.
La storia non è assolutamente il solo passato. Il passato è solamente una parte della storia, quella che abbiamo davanti a noi quando cerchiamo di risalire il corso del fiume. Ma la storia si impadronisce del passato, spinge il passato sul presente e li spinge entrambi nell’avvenire.
Il passato spiega l’avvenire, solo il passato può spiegare l’avvenire. «Il passato è il nostro presente», scrive Alexandre Vinet. Il passato è la nostra forza. La nostra debolezza è costituita dal presente.
Gonzague de Reynold