Marco Invernizzi, Cristianità n. 421 (2023)
Intervento in occasione del Capitolo Generale di Alleanza Cattolica, tenutosi a Roma, presso l’Hotel Casa Tra Noi, il 21 maggio 2023.
Arriviamo a questo Capitolo Generale sulla scia di due avvenimenti tuttora in corso, che hanno senz’altro caratterizzato questo anno che ci separa da quello tenutosi sempre a Roma e sempre in occasione della Manifestazione nazionale per la Vita nel maggio del 2022.
I due avvenimenti sono la guerra in Ucraina, iniziata il 24 febbraio del 2022, e le elezioni politiche italiane, svoltesi il 25 settembre dello stesso 2022, che hanno visto la vittoria elettorale di una coalizione di destra-centro con la successiva formazione di un governo guidato da Giorgia Meloni e contrassegnato dalla presenza di uomini e donne riconducibili a un mondo culturalmente conservatore. Ci tornerò sopra.
Vorrei cominciare con una riflessione sull’incontro di ieri sera, da noi promosso sul tema Quale strategia per denatalità, vita e famiglia? con la partecipazione dei rappresentanti delle principali associazioni che si occupano di questi temi e di un rappresentante del governo italiano (1).
La situazione nella Chiesa
I princìpi relativi alla vita, alla famiglia e alla libertà di educazione rimangono importanti nonostante non abbiano più la centralità di una decina di anni fa. Infatti, il processo rivoluzionario in Occidente — che nel 1968 ha conosciuto un’importante accelerazione ed è proseguito nei decenni successivi fino a diventare l’agenda dei principali governi d’Occidente, grazie anche alle due Conferenze promosse dalle Nazioni Unite (ONU) a Il Cairo e a Pechino nel 1994 e nel 1995 (2) — ha modificato le leggi di molti Stati e ha cambiato il senso comune di una parte significativa dell’opinione pubblica. Tuttavia, la Rivoluzione non è riuscita a trasformare il Sessantotto in un movimento capace di entusiasmare, come è potuto accadere con altre ideologie, in primis il marxismo. Il movimento LGBTQ e l’ideologia del gender sono certamente rilevanti, dotati di mezzi e di aiuti, «coccolati» da molte forze progressiste e temuti da quelle più conservatrici, ma non sono in grado di raccogliere e organizzare in un movimento politico l’ambiente disposto a seguirli. Possiamo dire che l’ideologia del gender è l’ultimo stadio di un itinerario di decostruzione dell’umano e di sovvertimento della natura, ma non suscita un entusiasmo paragonabile a quello delle ideologie del secolo XX: l’«utero in affitto» rappresenta un business e, dove possibile, viene legalizzato, presentato da alcuni come un atto d’amore, la cosiddetta «gestazione per altri», ma ho dei dubbi che riesca a trascinare le masse.
Da qui la difficoltà dei partiti progressisti, per esempio il Partito Democratico in Italia, che hanno perso il sostegno dei ceti popolari, i quali non si sentono più rappresentati da una forza politica diventata l’espressione dei «desideri» di minoranze — lontane dai problemi reali delle persone «normali» — come giornalisti, intellettuali, uomini e donne dello spettacolo.
Oggi i temi relativi a quelli che sono stati chiamati nel mondo cattolico i «princìpi non negoziabili», come ho già notato, non hanno più la centralità che avevano fino solo a dieci anni fa, sia perché sono stati contrastati da leggi dello Stato in quasi tutti i Paesi occidentali, sia perché hanno prodotto divisioni all’interno dello stesso mondo libertario — come è accaduto, per esempio, con la rivolta delle «femministe storiche» contro la possibilità di legalizzare l’«utero in affitto» —, sia perché in questi anni sono diventati molto più centrali e urgenti temi quali l’immigrazione, la pandemia causata dalla diffusione del Covid-19, la guerra in Ucraina, le difficoltà economiche delle categorie popolari e la disoccupazione.
Ciò spiega il motivo per cui vi è sicuramente un calo di entusiasmo negli ambienti pro-life e pro-family, come testimonia la progressiva diminuzione della partecipazione popolare alle diverse marce o manifestazioni per la vita dopo la straordinaria partecipazione ai tre Family Day organizzati rispettivamente nel 2007, nel 2015 e nel 2016.
Tuttavia, rimane la convinzione, almeno da parte di Alleanza Cattolica e di altre realtà impegnate nella difesa e nella promozione di questi princìpi fondamentali del bene comune, della necessità di presidiare questi valori e di continuare a promuoverli, anche in un contesto politico-culturale profondamente cambiato.
Presidiare come? Anzitutto favorendo l’unità delle realtà che se ne occupano. Il mondo cattolico italiano è attraversato da un individualismo che purtroppo riflette il clima culturale relativistico del mondo circostante. Non si tratta più di quelle contrapposizioni che avevano un tempo delle ragioni dottrinali o pastorali. Oggi abbiamo di fronte una forma di protagonismo fra i diversi ambienti del mondo cattolico che crea dissidi e contrapposizioni anche in presenza di una condivisione di valori. Venendo al caso concreto, poiché fra le associazioni rappresentate il 20 maggio nel nostro convegno di Roma vi sono differenze di stile e di strategia d’azione, anche notevoli, occorre cercare di organizzare in modo collaborativo la propaganda all’esterno per convincere i «lontani», dividendosi i compiti invece di «pestarsi i piedi», occorre attenuare gli aspetti divisivi attraverso un sano dialogo, imparare a convivere senza urtarsi a vicenda.
Da questo punto di vista è molto importante il tentativo di una delle associazioni presenti, Ditelo sui Tetti!, che raccoglie un centinaio di sigle associative impegnate sul fronte dei principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa e che ha, appunto, lo scopo di presentare il più possibile un volto unitario dell’associazionismo cattolico sia di fronte alla gerarchia ecclesiastica sia di fronte alle istituzioni politiche, in primis il governo della Repubblica.
Favorire l’unità e la collaborazione dei movimenti pro-life e pro-family,però, non è sufficiente. Bisogna individuare una strategia e perseguirla. Per farlo è necessario prendere atto di alcune realtà.
Gridare non serve più
La strategia della contrapposizione frontale e urlata contro le proposte della «rivoluzione antropologica», la cosiddetta Quarta Rivoluzione, è destinata a essere sempre meno efficace, perché alcune delle proposte libertarie sono ormai diventate legge dello Stato e stanno «entrando» nel senso comune della popolazione, suscitando sempre meno stupore e reazione. Non dobbiamo credere e far credere che esista una maggioranza della popolazione favorevole ai princìpi del diritto naturale e disposta a impegnarsi per cambiare le leggi inique del passato, a cominciare dalla legge 194 del 1978, che ha legalizzato l’aborto procurato. Il tentativo di abrogare questa legge con il referendum del 1981 ha visto una minoranza del 32% dei votanti favorevole all’abrogazione, e non mi sembra vi siano oggi i presupposti per pensare che nei successivi decenni la situazione sia migliorata. In questo periodo si può ritenere che sia cresciuto il fronte degli indifferenti e sia diminuito quello degli attivisti abortisti, ma gli indifferenti vanno accostati e convinti ad assumere un atteggiamento positivo a favore di vita e famiglia. Per fare ciò è indispensabile uno stile di apostolato che parta dalle origini, cioè da che cosa significano vita e famiglia e dal perché sono realtà belle e importanti, anche se non sempre felici nella loro realizzazione pratica. Dare per scontata la consapevolezza di questi valori significa non aver mai parlato con la grande maggioranza dei contemporanei.
Le battaglie vanno fatte comunque, se possibile
Ciò non significa assolutamente smettere di denunciare e combattere, laddove è possibile, anche perché vi sono margini di successo, come accaduto in Italia su alcuni temi anche recentemente (3). Questi successi possono rallentare e frenare il processo decostruttivo, ma per invertirlo è necessaria la conversione di parti importanti della popolazione. Non dobbiamo scandalizzare e perdere il contatto con la minoranza più reattiva su questi temi, che esiste ancora e si radicalizza sempre di più, ma dobbiamo contemporaneamente far capire che gridare al ladro quando il ladro ha già svaligiato la casa serve a poco, o meglio serve per la ricostruzione storica e per la memoria, ma non per la politica del momento.
Una strategia intelligente
Bisogna allora individuare una strada complementare. Essa deve proporre di modificare le leggi esistenti — vedi il caso della legge 194 — e impedire la legalizzazione di altri provvedimenti contrari a vita e famiglia, qualora venissero proposti, evitando il più possibile di aprire quei fronti parlamentari che potrebbero ricompattare le forze progressiste e, invece, insistendo su temi come il reato universale dell’«utero in affitto», che dividono gli avversari e sono facilmente comprensibili dall’opinione pubblica, cercando anche di inserire nei posti-chiave del Paese uomini che su questi temi garantiscano almeno di non peggiorare l’esistente, come è avvenuto nel caso della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America o del Comitato Nazionale di Bioetica in Italia. Ovviamente ciò è possibile in presenza di un governo non ostile a questi princìpi, come è oggi in Italia.
Adottare una comunicazione attrattiva
È molto importante diventare capaci di comunicare la verità sui principi non negoziabili anche nella nostra epoca post-moderna: è un po’ come il secondo tempo della battaglia pro-life. Il primo tempo si è giocato durante l’epoca delle ideologie e dopo il 1968. In molte di quelle battaglie siamo stati sconfitti e le proposte sono diventate leggi dello Stato. Non dobbiamo smettere di combattere su nessun fronte, a cominciare dal primo, relativo all’indissolubilità del matrimonio, ma dobbiamo farlo consapevoli di come sono le persone che incontriamo oggi e quali argomentazioni possiamo usare per convincerle. Infatti, il nostro scopo non può essere soltanto quello di confermare nelle loro convinzioni i già convinti, ma di renderli capaci di dialogare con chi deve essere convinto, partendo dai coaguli possibili. Per far questo bisogna studiare molto i vari problemi, ma anche diventare capaci di comunicare in forma attrattiva. Non è facile, ma è l’unica strada. Certamente una modalità preliminare è la vicinanza umana alle persone, la disponibilità a condividere con loro il dolore e la gioia che accompagnano ogni esistenza. È una modalità indispensabile, sebbene difficile, richiede tempo, può riguardare solo il ristretto numero di persone con le quali è possibile una vicinanza concreta e necessita dell’assenso della persona, disposta ad aprirsi all’amore per gli altri e alla carità politica. Il militante costantemente arrabbiato e polemico, che in qualche modo sembra aver somatizzato il male ideologico diffuso nei decenni passati, oggi non funziona perché tende ad allontanare. La militanza per la famiglia e la vita deve ricominciare dalle origini, mostrando i princìpi antropologici che fondano la famiglia e stanno alla base del diritto alla vita, senza dare per scontato che queste verità elementari siano presenti nel comune sentire della maggior parte delle persone.
Il valore della libertà
Fra i princìpi non negoziabili che fino a oggi sono stati al centro della battaglia culturale per la vita e per la famiglia va anche inserito il principio della libertà o, meglio, la rivendicazione delle libertà concrete, declinate cioè nei vari campi dove il principio della libertà personale, come diritto originario di ogni uomo e di ogni comunità, viene intaccato dagli Stati e messo in discussione dalle ideologie dominanti. Esempi classici sono quelli della libertà di educazione, secondo la quale i genitori devono poter decidere come educare i propri figli anche scegliendo il modello di scuola a parità di condizioni, quindi quello della libertà religiosa, che deve permettere ai singoli e alle comunità di professare liberamente la propria religione senza interventi da parte dello Stato.
Il valore della libertà va oggi anche riconosciuto ai popoli, che devono poter scegliere liberamente il proprio percorso di sviluppo politico senza interferenze e violenze da parte di altre realtà sia sovranazionali — come nel caso dell’Unione Europea —, sia da parte di Stati «grandi» che violino la sovranità di Stati più «piccoli», come avviene nel caso della Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina o della Repubblica Popolare Cinese nei confronti di Hong Kong e di Taiwan. È necessario ricordare l’importanza del principio di sussidiarietà anche a livello internazionale e studiare ove possibile la storia delle dottrine politiche, mostrando come la corretta idea di impero non consista nella sopraffazione dei popoli più piccoli da parte dei più forti, ma al contrario nella possibilità di coesistenza di popoli, culture e religioni diverse nel quadro di un sistema giuridico che garantisca a tutte le popolazioni la possibilità di esistere e di svilupparsi con le proprie caratteristiche.
La situazione internazionale
Queste considerazioni mi permettono una breve riflessione sulla situazione internazionale. Sono passati ormai oltre trent’anni dall’abbattimento del Muro di Berlino e sono avvenuti molti fatti che permettono di svolgere non un bilancio storico, perché è passato troppo poco tempo, ma almeno una prima riflessione.
La storia non è terminata con la fine della Guerra Fredda e la vittoria del sistema politico occidentale. Lo si è compreso già negli anni Novanta del secolo scorso con le guerre balcaniche e con la tragedia del Ruanda, dove nello scontro tribale fra hutu e tutsi vi sono stati quasi un milione di morti in cento giorni, dall’aprile al luglio del 1994, senza che nessuna forza internazionale decidesse di intervenire per porre fine al genocidio. Su questo genocidio ha scritto bene padre Piero Gheddo (1929-2017), del Pontificio Istituto Missioni Estere (P.I.M.E.), ricordando due importanti interventi di san Giovanni Paolo II (1978-2005), il primo indirizzato alla Food and Agriculture Organization (FAO) dell’ONU il 5 dicembre 1992 e l’altro rivolto al Corpo diplomatico accreditato in Vaticano, il 16 gennaio 1993. In essi il Papa santo ha rammentato il dovere della «ingerenza umanitaria» da parte degli Stati che possiedono la forza per proteggere i diritti violati degli uomini e dei popoli e per disarmare gli aggressori, aggiungendo peraltro come l’opinione pubblica occidentale sia contraria a queste modalità, che potrebbero mettere a rischio la tranquillità e il benessere dei «Paesi evoluti»: «L’opinione pubblica dei nostri paesi evoluti, l’uomo della strada sono contrari. Non c’è nella coscienza dei popoli, anche di noi popoli cristiani, la ferma convinzione che la vita di un uomo, di un popolo, valgono più del denaro, più degli interessi nazionali, più del quieto vivere. Inutile chiederci che cosa fare per il Ruanda, quando la nostra coscienza sulla solidarietà a livello mondiale non supera l’orizzonte degli aiuti economici o, al massimo, il gesto di mandare qualcuno a salvare dieci o cento bambini. Finché non ci sarà una sensibilità diversa, un’educazione diversa, una coscienza diversa nell’opinione pubblica, le cose non cambieranno nemmeno ai vertici dei parlamenti, dei governi, delle Nazioni Unite» (4).
Le guerre balcaniche degli anni 1990
Il tema culturale di fondo è stata la ri-esplosione del nazionalismo, soffocato fino ad allora dall’internazionalismo comunista, che nel nome di un’ideologia universalistica, il marxismo, aveva sempre tenuto sotto traccia le aspirazioni nazionali. È il tema della differenza fra un legittimo amore per la propria patria e l’odio per quelle altrui, cioè la differenza fra il patriottismo e il nazionalismo, un tema di grande rilevanza culturale e politica e molto attuale, anche in Italia. Naturalmente è un tema difficile e difficilmente affrontabile laddove non vi sia una forte e profonda dimensione religiosa, in specie cattolica, cioè universale, che temperi le aspirazioni nazionali legittime e condanni quelle che sono frutto di volontà di dominio. Nel caso delle guerre iugoslave si è tentato di tenere insieme, spesso senza riuscirvi, la legittima aspirazione all’indipendenza dei popoli croato e sloveno con l’identità del popolo serbo, un’identità che ha la sua origine nel Kosovo, regione oggi però abitata per il 90% da albanesi musulmani. Questi ultimi non erano fondamentalisti, ma seguaci di un leader «moderato» come Ibrahim Rugova (1944-2006), che fece di tutto per scongiurare la guerra e poi divenne il primo presidente della Repubblica Albanese del Kosovo per poi morire, secondo don Lush Gjergji, da cristiano, ricevendo il battesimo (5). Gli albanesi del Kosovo, per decenni, durante il periodo della Iugoslavia socialista, una realtà di fatto dominata dalla Serbia, sono stati impegnati in una resistenza civile pacifica, ma poi sono stati «divisi» da una forza politica islamista, l’Ushtria Çlirimtare e Kosovës [Esercito di Liberazione del Kosovo] (UÇK). Quest’ultima realtà ha cercato di portare in Kosovo il fondamentalismo islamista grazie ai finanziamenti ricevuti da alcuni Paesi islamici e si è opposta alla Lega Democratica di Rugova, facendo leva sul sacrosanto diritto degli albanesi di avere uno Stato amico o perlomeno neutrale che riconoscesse la loro esistenza in quanto popolo divenuto largamente maggioritario nel territorio del Kosovo (6).
Il caso iugoslavo ha mostrato anche la necessità di una forza in grado di risolvere i conflitti locali, cosa che l’ONU non è mai stata in grado di garantire, né prima del 1989 né dopo.
La globalizzazione
È sembrato così che negli anni 1990 del secolo scorso il mondo fosse entrato in una dimensione unipolare, a guida statunitense, non perché fosse finita «la» storia, ma perché era finita «una» storia, quella della contrapposizione fra due blocchi di Stati, uno dei quali si era dissolto nel 1991 con lo smembramento dell’URSS.
Questo periodo storico viene chiamato «epoca della globalizzazione» ed è segnato dal tentativo di costruire un mercato unico mondiale, nel quale entrano anche Paesi non occidentali e non democratici, come la Cina comunista, altri Paesi asiatici e la Russia. Questi Stati aprono i loro immensi mercati alle aziende occidentali, le quali in questo periodo «delocalizzano» la loro produzione industriale nei Paesi dove la mano d’opera costa molto meno, dove non esistono controlli sindacali e dove l’organizzazione del lavoro e la sicurezza sono molto meno impegnative rispetto a quelle del mondo occidentale (7).
Ma la globalizzazione è sostanzialmente fallita. In realtà, se leggiamo attentamente le date, ci accorgiamo che non vi è mai stato un periodo in cui la globalizzazione si sia affermata effettivamente, neppure in quello che gli storici riconoscono come il tempo in cui maggiormente si è sviluppata l’utopia di un mondo senza guerre e teso soltanto a incrementare il proprio benessere, cioè l’era di William Jefferson «Bill» Clinton, che è stato Presidente statunitense per due mandati consecutivi fra il 1993 e il 2001.
Le guerre balcaniche vennero risolte con l’indipendenza della Slovenia e della Croazia e, parzialmente, con l’autonomia del Kosovo, grazie all’intervento militare dell’Alleanza Atlantica (NATO), che costrinse il dittatore nazionalcomunista Slobodan Milošević (1941-2006) ad abbandonare il disegno di occupare militarmente il Kosovo e di impedire la vita autonoma di un popolo che non si riconosceva nella storia serba. Quanto alla Bosnia-Erzegovina — dove non a caso cominciano nel 1991 e perdurano ancora oggi le apparizioni della Regina della pace a Medjugorje (8) —, gli scontri fra croati, serbi e musulmani vengono contenuti dalla presenza di una forza di interposizione della NATO, tuttora presente nel Paese, diviso amministrativamente in una parte serba e in una croato-musulmana.
L’11 settembre 2001
Congelata la situazione nell’ex Jugoslavia, all’inizio del terzo millennio, si verifica un evento destinato a rimanere nei libri di storia: l’attacco alle Torri gemelle di New York, l’11 settembre 2001. Un evento che segna il coronamento della rinascita del fondamentalismo islamico dopo la rivoluzione sciita in Iran nel 1979, questa volta però coinvolgendo la confessione sunnita, cioè il 90% del mondo islamico. La radicalizzazione anti-occidentale di questo mondo è diventata una costante, con guerre e attentati terroristici compiuti anche nelle principali città europee a opera di al-Qaeda prima e dello Stato Islamico (ISIS) poi (9).
Ormai era evidente che l’esito unipolare della Guerra Fredda non era destinato a durare, perché il mondo era diventato sempre più multipolare, come aveva previsto un libro importante, ormai diventato un classico, di Samuel Phillips Huntington (1927-2008), Lo scontro delle civiltà (10).
In questo contesto maturò il fallimento della pretesa di una globalizzazione che trasformasse il mondo in un solo mercato globale, sotto l’autorità degli Stati Uniti d’America, con il conseguente azzeramento dei conflitti, perché il benessere economico prodotto dal mercato unico e la diffusione del consumismo in tutto il mondo avrebbero garantito la felicità a tutti i popoli.
Le cose non andarono così. Il benessere per tutti e per sempre promesso dalla globalizzazione contribuì ad aumentare il dramma delle migrazioni di milioni di uomini dall’Africa, dall’Europa dell’est e dall’Asia, che scappavano dalle guerre o volevano migliorare la loro situazione sociale cercando un lavoro e sicurezza in Europa. Tuttavia, la globalizzazione e la relativa ideologia del consumismo non portarono la felicità promessa. Non solo, ma furono un fattore di instabilità e infelicità, come ha spiegato Papa Francesco, arrivando a minare la stessa libertà che oggi «[…] è minacciata […]. Soprattutto […] da un consumismo che anestetizza, per cui ci si accontenta di un po’ di benessere materiale e, dimentichi del passato, si “galleggia” in un presente fatto a misura d’individuo. Questa è la persecuzione pericolosa della mondanità, portata avanti dal consumismo. Ma quando l’unica cosa che conta è pensare a sé e fare quel che pare e piace, le radici soffocano. È un problema che riguarda l’Europa intera, dove il dedicarsi agli altri, il sentirsi comunità, sentire la bellezza di sognare insieme e di creare famiglie numerose sono in crisi. L’Europa intera è in crisi. Riflettiamo allora sull’importanza di custodire le radici, perché solo andando in profondità i rami cresceranno verso l’alto e produrranno frutti. Ognuno di noi può chiedersi, anche come popolo, ognuno di noi: quali sono le radici più importanti della mia vita? Dove sono radicato? Ne faccio memoria, me ne prendo cura?» (11).
Molti si risentirono contro questo Occidente pavido che non interveniva per ristabilire la giustizia dove era violata in Paesi che non interessavano, come il Ruanda, oppure che perdeva le proprie radici culturali adottando il «pensiero unico» del «politicamente corretto» e uno stile di vita dedito al solo consumo, indispensabile per mantenere il sistema produttivo. Tuttavia, anche questo Occidente secolarizzato meritava di essere preferito all’islamismo radicale e terroristico, o all’avanzare della minaccia cinese, che sempre più assumeva il ruolo di leadership mondiale alternativa a quella degli Stati Uniti. Su questo punto ha scritto parole importanti Giovanni Cantoni, nel primo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle di New York: «Apologia dell’Occidente, dunque? No, solamente apologetica per l’Occidente. Quale la differenza? Nel primo caso sarebbe sottinteso un giudizio di perfezione che non è di questo mondo, quasi una coincidenza fra una cristianità secolarizzata, qual è ilmondo occidentale, e il Regno di Dio; e la riserva vale anche per una cristianità non secolarizzata, per una civiltà cristiana. Nel secondo caso dev’essere esplicitata una sospensione di Giudizio Universale — non di competenza degli uomini —, con legittimo apprezzamento per quanto conseguito da un’umanità storica, che ha avuto la grazia — e, quando l’ha accettata, anche un poco il merito — di convivere in modo più o meno felice e/o turbolento, di qualche durata o breve, con la Chiesa cattolica» (12).
Dal globalismo al populismo
L’illusione globalista e consumista non soltanto attirò milioni di migranti nella terra promessa europea e nei Paesi più sviluppati, ma provocò anche una reazione interna alle popolazioni occidentali, a mano a mano che si rendevano conto dell’inconsistenza della promessa del benessere. Questo atteggiamento, che prenderà il nome di «populismo», verrà favorito dalla crisi finanziaria generale del 2008, dovuta a quella dei cosiddetti «mutui subprime», molto diffusa nei ceti popolari, scoppiata negli Stati Uniti l’anno precedente, quando i mutuatari non furono più in grado di rimborsare i mutui di cui avevano beneficiato, creando così una crisi finanziaria mondiale che farà sentire i suoi effetti fin dopo il 2010. Nel 2009 vi sarà un calo del prodotto interno lordo globale del 2,2% e un aumento del deficit pubblico di quasi tutti i Paesi, i cui governi saranno costretti a intervenire per salvare gli istituti finanziari che rischiavano il fallimento.
Questa crisi finanziaria mondiale, che alcuni hanno paragonato alla crisi del 1929, favorirà una spaccatura profonda nelle società occidentali fra la popolazione e le élite, soprattutto finanziarie, e porterà alla nascita di partiti o movimenti «populisti», cioè di partiti che si faranno interpreti della critica al sistema economico e politico che favoriva le banche, le multinazionali e i governi che ne garantivano gli interessi. Si trattava di una riedizione dell’anti-globalismo di estrema sinistra degli anni precedenti, culminato in Italia nella rivolta dei no global avvenuta a Genova nel luglio del 2001 contro la riunione dei Paesi detti del «G8» in corso sotto l’egida del governo di centro-destra guidato da Silvio Berlusconi, ma questa volta con un significativo protagonismo di partiti di «destra». In Italia questa posizione populista venne assunta soprattutto dalla Lega e dal MoVimento 5Stelle, una forza politica nuova che si presentava come né di destra né di sinistra e che crebbe nei consensi velocemente fino ad arrivare a essere il primo partito italiano nelle elezioni politiche del 2018 e a dare vita al governo populista «Conte 1», di colore giallo-verde perché fondato sull’alleanza fra la Lega — il verde — e il M5S — il giallo — nel 2018-2019. Vi è ancora molta approssimazione nel definire il populismo ed è comprensibile che sia così, perché il fenomeno è recente, anche se sembra già in una fase di esaurimento. «Termine abusato» e «fenomeno controverso» lo ha definito la politologa Nadia Urbinati (13), come spesso capita agli intellettuali di sinistra quando devono affrontare un tema che sfugge agli schemi classici del pensiero progressista.
La situazione politica in Italia
Sembra passata un’era geologica da allora, ma in realtà sono trascorsi soltanto quattro anni, nel corso dei quali vi è stato prima un governo «Conte 2» con il Partito Democratico (PD) al posto della Lega, e poi il governo affidato a un uomo delle istituzioni, il banchiere Mario Draghi, con la presenza di tutti i partiti tranne Fratelli d’Italia. La diffusione della pandemia da Covid-19 e, poi, lo scoppio della guerra in Ucraina hanno contribuito a farci ritenere come lunghissimi questi passaggi, in realtà avvenuti nell’arco di pochi anni.
Dopo il populismo
Che cosa è accaduto in questo tempo, a parte gli aspetti strettamente politici? Il populismo sembra essere passato di moda. La sua ideologia era ed è molto semplice, nel senso che sfrutta il deterioramento e l’inadeguatezza delle classi dirigenti, fornendo alla protesta una struttura organizzativa e un’ideologia sostanzialmente «anti-politica», che vede nel popolo — e nei suoi interessi — il principale, se non l’unico, punto di riferimento valoriale. Il popolo va servito — come diceva il nome di un’associazione extraparlamentare di sinistra degli anni 1970, chiamata appunto «Servire il popolo», non attraverso la mediazione dei partiti classici, bensì con un rapporto diretto fra un leader carismatico, figura indispensabile per il populismo — la cui struttura organizzativa di solito non vuole essere quella di un partito tradizionale — e un popolo sempre più massificato. I termini «abusato» e «controverso» usati dalla Urbinati a proposito del populismo esprimono la difficoltà di definire questa ideologia. Ci ha provato uno studioso, che ha cercato quanto meno di approfondirne la lettura, il politologo olandese Cas Mudde, che la definisce come «un’ideologia, la quale ritiene che la società sia, in definitiva, separata in due gruppi omogenei e antagonisti, il “popolo puro” contro l’“élite corrotta”, e che sostiene che la politica dovrebbe essere un’espressione della volontà generale del popolo» (14). Un’ideologia che, se adeguata, rende complicata una collocazione del populismo sia a destra (la «volontà generale» rimanda alla Rivoluzione francese e rifiuta categorie metafisiche come criterio di riferimento) sia a sinistra, perché la maggior parte delle «élite corrotte» attuali sono ascrivibili ai partiti di sinistra più o meno eredi della tradizione socialista o comunista.
Si tratta di una ideologia che incontra grandi difficoltà quando deve governare, come si è potuto constatare nel governo «giallo-verde» guidato dal professor Giuseppe Conte, soprattutto se al governo non vi sono solo partiti di destra, perché tutti i provvedimenti, sia di politica interna, sia di politica estera, risentono di questa divisione ideologica. Per esempio, con riferimento alle politiche sui princìpi non negoziabili, mentre il governo «Conte 1» è stato sostanzialmente immobile, il governo «Conte 2» ha ripreso la politica di sinistra al servizio dell’ideologia relativistica e il successivo governo guidato da Draghi, vista la presenza di partiti con opinioni diverse in materia, ha preferito scegliere di non prendere posizione — o così ha dato a intendere — sui temi «eticamente sensibili».
Il populismo in Italia ha incontrato un impasse perché costretto a rivolgersi a destra o a sinistra, cioè a quelle ideologie contro i cui partiti ha costantemente polemizzato, per poter governare. Secondo il politologo Marco Tarchi l’Italia è stata un laboratorio di esperimenti populisti fin dai tempi dell’Uomo Qualunque, negli anni 1940 e 1950, passando attraverso fenomeni particolari come la stagione politica dell’armatore e sindaco di Napoli Achille Lauro (1887-1982) e quella dell’imprenditore Silvio Berlusconi (1936-2023) per arrivare ai più recenti esperimenti, riusciti ma non particolarmente duraturi, come la Lega di Matteo Salvini e il MoVimento 5 Stelle di Giuseppe «Beppe» Grillo (15).
Bruciata in pochi anni la fascinazione populista, sia quella della Lega di Salvini, sia quella di Grillo, inutilizzabile perché decimata nel suo stesso elettorato, l’ipotesi di un PD perno di un possibile governo — perché il PD è ormai diventato il partito «ZTL», le aree urbane a circolazione limitata, in genere centrali, quindi alto-borghesi, cioè delle minoranze ricche e corteggiate dai «poteri forti», che vivono anch’esse nel centro delle grandi città —, non avendo più disponibili uomini dello Stato disponibili a sacrificarsi per guidare il Paese, non trova riscontro nella realtà. I pochi italiani che continuano a votare hanno scelto Giorgia Meloni, che ha risposto affermando di voler costituire un partito conservatore. Siamo così a un governo potenzialmente conservatore, il primo nella storia italiana.
La mia relazione si ferma perché abbiamo già detto molto e molto di più diremo sul conservatorismo. Si tratta di una occasione che la Provvidenza ci offre, attraverso vie difficilmente immaginabili, per mezzo di una donna diventata presidente del Consiglio, che ha conosciuto le opere di Gustave Thibon (1903-2001) e pare le abbia messe al centro di un progetto politico (16). L’occasione è oggi e va sfruttata oggi. Certi temi particolarmente cari e coltivati da decenni nell’ambito della famiglia spirituale e culturale di Alleanza Cattolica sono suscettibili di incontrare un’audience che altrimenti non avrebbero. E dico oggi, anche perché il nostro tempo è fluido e veloce e non sappiamo quali saranno fra qualche anno le condizioni politiche del Paese, dato che in pochi anni abbiamo visto nascere e scomparire, o quasi, leader politici che sembravano avere in mano l’Italia, ma in poche settimane hanno perduto il consenso ricevuto.
Il fuoco e la speranza
Vorrei concludere con un appello, per tutti coloro che vogliono essere cristiani autentici e seri, quelli ai quali si rivolge il certosino dom Francesco di Sales Pollien (1853-1936) nel suo Cristianesimo vissuto (17).
Viviamo nell’epoca successiva al fallimento della globalizzazione, che avrebbe dovuto portare il benessere a tutto il mondo sotto l’egida e il controllo degli Stati Uniti. Il mondo che ci circonda è diventato multipolare, come aveva intuito Huntington, ma soprattutto vede crescere l’importanza della Cina che dal 1989 — quando si verificarono i massacri degli studenti che chiedevano libertà in piazza Tienanmen a Pechino — ha seguito un percorso opposto a quello russo, non di uscita dal comunismo ma di conferma del comunismo, seppure dentro un contesto molto diverso dal punto di vista economico, che potremmo chiamare «capital-comunismo».
Dentro questo mondo afflitto da molti mali ogni tanto si accendono delle luci che permettono di svolgere un apostolato culturale con maggiori opportunità di essere ascoltati. Fuor di metafora: un governo conservatore non garantisce la conversione religiosa e culturale di parti importanti della popolazione, ma può favorirla. Nessuno può realisticamente pensare che i grandi cambiamenti nei popoli avvengano perché imposti o comunque spinti dall’azione dei governi. Gli autentici cambiamenti avvengono quando cambiano i cuori e i criteri di giudizio di parti significative di una nazione, ma questo è il frutto di un apostolato culturale, non di una pressione politica. Quest’ultima naturalmente può aiutare, anzitutto non ostacolando e creando delle condizioni favorevoli, ma in sostanza è il senso comune dei popoli che deve cambiare, così come, peraltro e purtroppo, è avvenuto in modo particolarmente veloce nell’ultimo mezzo secolo in Occidente.
Gli interlocutori sul tema del conservatorismo non mancano, ma non sono tutti come noi vorremmo che fossero. Dobbiamo lo stesso parlare loro, ascoltarli, correggerli e correggerci, provando a dare loro una consapevolezza e una prospettiva di azione, e a noi fornire l’occasione per studiare e per formare una possibile nuova élite politica, fuggendo la tentazione dell’esilio dall’ora presente. Nessuno ha la soluzione ideale a problemi così complessi. Il «problema dei problemi» non è la verità sull’uomo e sulla società: questa proviene dalla dottrina sociale della Chiesa e su di essa vi sono poche incertezze, ma come comunicare all’uomo di oggi questa santa dottrina? Oggi, come ieri, vale quanto disse san Giovanni XXIII (1958-1963) l’11 ottobre 1962, inaugurando il Concilio Vaticano II: «[…] occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale» (18).
Perciò, oggi più che in altre epoche molto più ideologizzate della nostra, è necessario costruire relazioni umane, creare ambienti e tessere legami fra di noi e con tanti altri, all’interno dei quali legami sia possibile realizzare quella trasmissione di princìpi e di valori impossibile altrove, salvo lodevoli eccezioni.
In sostanza, oggi la Provvidenza ci offre un’opportunità storica di parlare dei princìpi eternamente veri, buoni e belli a un pubblico più numeroso del solito.
Per far questo, però, è necessario chiedere al Signore della storia di metterci nel cuore un po’ di fuoco, di magnanimità, di generosità, quel «fuoco» di cui parla san Luigi Maria Grignion di Montfort (1673-1716) nella sua bellissima Preghiera infocata (19) e che sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) compendia nella parola magica dei suoi esercizi, il magis, ovvero il «di più», cioé la maggiore possibilegloria data a Dio (20).
Fuoco e anche speranza, la virtù sulla quale ha avuto parole bellissime Papa Francesco nel discorso agli Stati generali della natalità del 12 maggio 2023: «la speranza […] non è un’illusione o un’emozione che tu senti, no; è una virtù concreta, un atteggiamento di vita. E ha a che fare con scelte concrete. La speranza si nutre dell’impegno per il bene da parte di ciascuno, cresce quando ci sentiamo partecipi e coinvolti nel dare senso alla vita nostra e degli altri. Alimentare la speranza è dunque un’azione sociale, intellettuale, artistica, politica nel senso più alto della parola; è mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune, è seminare futuro. La speranza genera cambiamento e migliora l’avvenire».
Ma come si fa a sperare? Esiste una formula per non perdere la speranza, per essere capaci di portarla agli altri, di generare entusiasmo per la gloria di Dio e per costruire ancora delle cattedrali, cioè degli uomini che sappiano portare speranza in un mondo disperato?
La speranza è una virtù concreta, come ha detto il Papa, e anche una virtù teologale, cioè un dono che arriva con la grazia di Dio, ma non c’è una formula, non esiste un metodo per conquistarla, non ci viene dalla battaglia, dal nemico, dagli esempi di chi ci sta accanto, peraltro tutte cose che aiutano. La speranza va continuamente chiesta a Dio, senza stancarsi, come frutto di quel «pregare sempre» insegnatoci da padre Raoul Plus S.J. (1882-1958) (21).
Con la speranza potremo tutto, potremo mettere in pratica quelle parole splendide e consolanti con cui dom Pollien conclude il suo libro prezioso, per fare le cose che Dio ci chiede, grandi o piccole, visibili o nascoste, per fare unicamente la Sua volontà: «L’impotenza, la debolezza, la divisione e la fiacchezza dei buoni, vengono dal fatto che essi hanno allentata l’armatura dei forti e la disciplina degli eroi. Ed è questo che fa la forza dei cattivi. Riprendi l’armatura, la disciplina, e sarai forte, forte come gli eroi delle grandi età della fede e allora avrai da combattere belle lotte e otterrai splendide vittorie» (22).E la vittoria più grande è il frutto dell’ultima contemplazione degli esercizi ignaziani, quella per ottenere l’amore, perché solo rendendo visibile l’amore che Cristo ha per ciascun uomo potremo veramente conquistare alla buona battaglia il nostro prossimo (23).
Note:
1) Cfr. Quale strategia per denatalità, vita e famiglia?, incontro promosso da Alleanza Cattolica a Roma il 20 maggio 2023 in occasione del Capitolo Generale dell’Associazione, con la partecipazione di Assuntina Morresi, vice capo di Gabinetto del ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, Marina Casini, presidente del Movimento per la Vita, Massimo Gandolfini, presidente del Family Day-Difendiamo i Nostri Figli, Domenico Menorello, coordinatore di Ditelo sui Tetti!, Francesca Romana Poleggi, membro del direttivo e direttore editoriale di Pro Vita & Famiglia Onlus, Mauro Ronco, di Alleanza Cattolica e presidente del Centro Studi Rosario Livatino, introdotti e moderati da Domenico Airoma, reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica.
2) Cfr. Lorenzo Cantoni, Il problema della popolazione mondiale e il «suicidio demografico» europeo, in Cristianità, anno XXII, n. 232-233, agosto-settembre 1994, pp. 3-4; più ampiamente, Idem, Il problema della popolazione mondiale e le politiche demografiche. Aspetti etici, Cristianità, Piacenza 1994.
3) Cfr. Chiara Mantovani, La Procreazione Medicalmente Assistita: alcune considerazioni dopo l’approvazione della legge n. 40 del 19 febbraio 2004, in Cristianità, anno XXXII, n. 323, maggio-giugno 2004, pp. 5-12 e 30, e Stefano Nitoglia, Dopo i Referendum. Tra timori e speranze, del 18-2-2022, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/dopo-i-referendum-tra-timori-e-speranze> (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati il 29-6-2023), relativo alla non ammissibilità dei referendum su omicidio del consenziente e liberalizzazione delle droghe.
4) Piero Gheddo, Introduzione a Vito Misuraca R.C.I. (1950-2010), Ruanda. Diario dall’inferno, Gribaudi-La Commerciale, Milano 1994, p. 15.
5) Cfr. Francesco Battistini, Reverendo Gjergji e il segreto del battesimo: «È morto abbracciando il Cristo»,in Corriere della Sera,22-1-2006.
6) Sono numerosi ormai i testi sulle guerre balcaniche, sia in italiano sia in altre lingue europee. Per un primo approccio ai problemi della storia dei Balcani cfr. il breve testo introduttivo di Egidio Ivetic, I Balcani dopo i Balcani. Eredità e identità, Salerno editore, Roma 2015. Molto più approfondito e di taglio accademico è Georges Castellan, Storia dei Balcani. XIV-XX secolo, trad. it., Argo, Lecce 1999, mentre è dedicato specificamente alle guerre balcaniche degli anni 1990 Alessandro Manzo Magno (a cura di), La guerra dei dieci anni. Jugoslavia 1991-2001: i fatti, i personaggi, le ragioni dei conflitti, il Saggiatore, Milano 2001. Sulle vicende relative al Kosovo cfr. i miei La «pulizia etnica» nel conflitto balcanico, in Cristianità, anno XXII, n. 289, maggio 1999, pp.5-10, e Dopo la fine del conflitto in Kosovo, ibid., n. 292-293, agosto-settembre 1999, pp. 3-7, nonché Giovanni Cantoni (1938-2020), Kosovo, ex Jugoslavia, marzo 1999: un’appendice «calda» della «guerra fredda», ibid., n. 287-288, marzo-aprile 1999, pp. 3-4.
7) Per una sintetica descrizione della nascita e del fallimento della globalizzazione cfr. Eugenio Capozzi, Storia del mondo post-occidentale. Cosa resta dell’età globale?, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2023, pp. 53-70.
8) Cfr. Don Giovanni Poggiali OMME, Medjugorje: il «fenomeno» mariano contemporaneo, in Cristianità, anno XLVI, n. 394, novembre-dicembre 2018, pp. 49-58.
9) Cfr. G. Cantoni, Dopo il Martedì nero, coscienza della Grande Europa, ibid., anno XXIX, n. 307, settembre-ottobre 2001, pp. 3-7 e p. 10.
10) Cfr. Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, trad. it., Garzanti, Milano 2020.
11) Francesco, Udienza generale,del 3-5-2023.
12) G. Cantoni, Un anno dopo l’11 settembre: una tragedia e le sue proporzioni, in Cristianità, anno XXX, n. 312, luglio-agosto 2002, pp. 3-4.
13) Cfr. Nadia Urbinati, Un termine abusato, un fenomeno controverso, introduzione a Jan-Werner Müller, Cos’è il populismo?, trad. it., EGEA, Milano 2016, pp. VII-XX.
14) Mattia Zulianello, L’ascesa dei partiti populisti in Europa: la nuova «normalità»?, prefazione a Cas Mudde e Cristòbal Rovira Kaltwasser, Populismo. Una breve introduzione, trad. it., Mimesis, Milano 2020, pp. 11-19 (p. 12).
15) Cfr. Marco Tarchi, Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo, il Mulino, Bologna 2019.
16) Gustave Thibon (1903-2001), il filosofo contadino che visse gran parte della sua vita nella campagna del Midi francese, fu invitato in Italia da Alleanza Cattolica negli anni 1970 per presentare le proprie opere Ritorno al reale e Diagnosi pubblicate allora dall’editore Volpe. Parlò a Milano all’istituto dei gesuiti Leone XIII, invitato dagli ex allievi, dove lo conobbi. Oggi diverse delle sue opere sono state tradotte in italiano. Per un profilo cfr. Benedetta Scotti, Chi era Gustave Thibon?, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/chi-era-gustave-thibon>.
17) Dom Francois de Sales Pollien O. Cart., sepolto presso l’abbazia di Serra San Bruno (Vibo Valentia) in Calabria, è autore di diverse opere che aiutano la formazione spirituale nella prospettiva della santità. Si tratta di un autore fondamentale nella formazione degli aderenti ad Alleanza Cattolica, specialmente attraverso Cristianesimo vissuto. Consigli fondamentali alle anime serie, ripubblicato dalle edizioni Kolbe di Seriate (Bergamo) nel 2015.
18) Giovanni XXIII, Discorso «Gaudet mater Ecclesia» nella solenne apertura del concilio (Sessione I), dell’11-10-1962.
19) Cfr. san Luigi Maria Grignion de Montfort, Preghiera infocata, in Opere, trad. it., Centro Mariano Monfortano, Roma 1977, pp. 647-658.
20) Su sant’Ignazio e i suoi esercizi spirituali la bibliografia è sterminata. Suggerisco semplicemente il testo che viene usato dall’Opus Mariae Matris Ecclesiae per dettare gli Esercizi, Il Libro Blu, Edizioni Kolbe, Seriate (Bergamo) 2011, 2a ed. riveduta e corretta; nonché G. Poggiali, Gli «Esercizi» di sant’Ignazio e Fatima. Spunti per una spiritualità di Giovanni Cantoni, in Cristianità, anno XLVIII, n. 406, novembre-dicembre 2020, pp. 55-62, nonché, infine, il breve profilo di Silvia Scaranari, Sant’Ignazio: un «di più» di vita per Dio, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/santignazio-un-in-piu-di-vita-per-dio>.
21) Cfr. Raoul Plus S.J., Come pregare sempre. Principi e pratica dell’unione con Dio, trad. it., Sugarco, Milano 2009.
22) F. Pollien, op. cit., p. 150.
23) Cfr. Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, Contemplazione per ottenere l’amore, in Il Libro Blu, cit., pp. 407-408.