Marco Respinti, Cristianità n. 343-344 (2007)
In Italia, la figura e l’opera di Christopher Dawson restano — ancora oggi — poco conosciuti, certamente assai meno di quanto meriterebbero. La pubblicazione, dunque, in lingua italiana, per la prima volta, del suo La religione e lo Stato moderno costituisce evento di sicura rilevanza.
Henry Christopher Dawson nasce il 12 ottobre 1889 ad Hay Castle, nella località di Hay, al confine fra Herefordshire, in Inghilterra, e Galles. Cresciuto in un ambiente familiare intensamente religioso, compie gli studi universitari al prestigioso Trinity College di Oxford, si converte dall’anglicanesimo e, nella stessa Oxford, il 5 gennaio 1914, aderisce pubblicamente alla Chiesa Cattolica.
Dawson è quindi certamente annoverabile fra i “grandi convertiti” delle humanae litterae dell’universo anglofono, fra i quali si annovera il cardinal John Henry Newman (1801-1890) come “capostipite” e figurano autori quali Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), Joseph Hilaire Pierre René Belloc (1870-1953), Robert Hugh Benson (1871-1914), Thomas Stearns Eliot (1888-1965), Arthur Evelyn St. John Waugh (1903-1966), John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), Clive Staples Lewis (1898-1963), Thomas Malcolm Muggeridge (1903-1990), Flannery O’Connor (1925-1964), John Orley Allen Tate (1899-1979) e Robert Penn Warren (1905-1989).
Dawson intraprende dunque la carriera accademica nel 1925, alternando l’insegnamento di Storia della Civiltà con quello di Filosofia della Religione nelle università britanniche di Exeter, Liverpool ed Edimburgo, nonché nell’università di Dublino, in Irlanda. Dal 1920 si dedica anche all’attività pubblicistica e dal 1940 al 1944 dirige The Dublin Review. Nel 1943 è nominato accademico di Gran Bretagna. È il primo Chauncey Stillman Professor of Roman Catholic Studies all’Harvard University di Cambridge, nel Massachusetts, negli Stati Uniti d’America, dove vive dal 1958 al 1962, anno in cui lascia l’insegnamento e torna in patria. Muore a Budleigh Salterton, nel Devonshire, il 25 maggio 1970.
Di Dawson, il lettore italiano ha a disposizione opere importanti — benché alcune di assai difficile reperibilità — quali La formazione dell’unità europea dal secolo 5° al secolo 11° (trad. it. di Cesare Pavese (1908-1950), Einaudi, Torino 1939; ristampato, con qualche modifica nel testo e nelle note, come La nascita dell’Europa, Einaudi, Torino 1959 e il Saggiatore, Milano 1969); Il giudizio delle nazioni (trad. it., Bompiani, Milano 1946); Progresso e religione (trad. it., Edizioni di Comunità, Milano 1948); L’età degli dèi (trad. it., Longanesi, Milano 1950); Religione e cultura (trad. it., Edizioni Paoline, Alba [Cuneo] 1960); La realtà storica della cultura cristiana: una via verso il rinnovamento della vita umana (trad. it., Edizioni Paoline, Alba [Cuneo] 1962);La crisi dell’educazione occidentale (trad. it., Morcelliana, Brescia 1965); Religione e cristianesimo nella storia della civiltà (con un Editoriale. Alla scoperta della religione, del cristianesimo e dell’Europa. Come e perché leggere Dawson, di Franco Pierini S.S.P. (1931-2001), Edizioni Paoline, Roma 1984), che raccoglie le opere Religione e cultura, La realtà storica della cultura cristiana e Religione e formazione della civiltà occidentale; e Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale (trad. it., Rizzoli, Milano 2005).
È peraltro possibile suddividere la produzione di Dawson in due filoni principali: le opere scientifiche di carattere storico, spesso dedicate al Medioevo di cui il cattedratico britannico era specialista, e le opere d’intento politico, cioè anche di tono polemico, ossia certamente d’intenzione apologetica. In questo secondo gruppo rientra sicuramente La religione e lo Stato moderno, opera in cui si mostra come “Stato moderno” non sia affatto una delle declinazioni temporali possibili di “Stato”, ma la realtà stessa della forma “Stato”, la quale non esiste — anzi è addirittura inconcepibile — separata dalla Modernità e come essa sia il regime politico della secolarizzazione, intesa come nemico frontale di quello spirito di religione la cui manifestazione autentica e piena è il cattolicesimo.
La religione e lo Stato moderno viene pubblicato in Gran Bretagna — il titolo originale è Religion and the Modern State — nel 1935. La traduzione italiana è curata da Paolo Mazzeranghi, cultore dell’opera e del pensiero di Dawson.
All’Indice (pp. 5-6) segue il saggio di Mazzeranghi Christopher Dawson, un “chierico” per il Terzo Millennio. Presentazione (pp. 7-28), che recensisce La “fortuna” italiana (pp. 7-9) dello studioso britannico, ne rievoca La formazione (pp. 9-13) e ne narra La conversione (pp. 13-18). Sottolineando la poca popolarità di cui Dawson gode in Italia — affermando, fra l’altro, che “vi è indubbiamente stata una ricezione selettiva delle sue opere” (p. 26) —, Mazzeranghi ricorda pure che “una sorte non migliore gli è stata riservata in patria” (p. 8) e che “solo negli Stati Uniti d’America, dove si è maggiormente dispiegata e si è conclusa la sua attività accademica e dove certamente ha lasciato il maggior numero di giovani studiosi attenti alle sue tesi, trova ancora ristampe, monografiche o antologiche, da parte di combattive case editrici “di nicchia” o da parte di università cattoliche“ (ibidem). Si tratta del resto di un atteggiamento che in genere il curatore riconduce accortamente al sostanziale scetticismo mostrato dalla cultura occidentale del secolo XX verso la possibilità storica di dare vita a una forma di civiltà cristiana, la proposizione — almeno in tesi — della quale costituisce invece, direttamente e indirettamente, l’obiettivo principale dell’opera di Dawson.
Peraltro, “anche in campo cattolico — osserva Mazzeranghi —, in sostanziale spregio di quanto apertamente dichiarato nei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), si è contestata la stessa possibilità di una qualche forma di civiltà cristiana, e la validità degli strumenti educativi destinati ad alimentare l’una e l’altra. Ciò ha portato alla rimozione di Dawson dagli scaffali delle librerie, e conseguentemente dalla memoria del pubblico colto italiano“ (p. 8).
Dopo aver enunciato temi e motivi caratterizzanti Religion and the Modern State (pp. 18-20), e le ragioni che occasionano la scrittura di un testo che non per questo è solo un’opera di occasione — La sfida dei totalitarismi (pp. 20-24) —, Mazzeranghi ricostruisce Gli ultimi anni di vita (pp. 24-25) dello storico e ne inquadra la prospettiva d’azione e di vita definendolo significativamente ed emblematicamente Apostolo di una Cristianità nuova (pp. 25-28).
Nel suo complesso, infatti, l’opera di Dawson “[…] si propone […], dopo aver illustrato il ruolo della religione nella vita delle civiltà, di concentrare l’attenzione su quella fra esse che sola aveva mostrato di possedere un dinamismo storico universale, sia nei suoi aspetti sorgivi che nella sua maturità e nella sua decadenza” (p. 16), ovvero sul cristianesimo, dunque sul cattolicesimo.
Dawson è comunque “[…] animato da una straordinaria propensione a esaminare e a valorizzare gli elementi di continuità presenti nella storia della civiltà cristiana romano-germanica od “occidentale”” (p. 26). In questa chiave assumono quindi particolare rilevanza due aspetti centrali sia della sua opera scientifica e polemica, sia addirittura della sua biografia. Il primo è il fatto che in Dawson “[…] sembra prevalere […] la convinzione che sia ancora possibile rimontare fino agli snodi storico-culturali che hanno dato inizio alla dissoluzione di tale civiltà, in altra occasione si manifesta la convinzione che una particolare cristianità sia definitivamente segnata” (p. 27); e comunque “nell’uno e nell’altro caso mai prevale la disperazione” (pp. 27-28). Il secondo è il fatto che Dawson ritenga che “[…] gli Stati Uniti d’America, rifugio di molti intellettuali europei negli anni della minaccia nazionalsocialista e ora baluardo contro la minaccia sovietica, siano divenuti gli ultimi campioni della civiltà occidentale, e custodi più fedeli dell’Europa a quel diritto naturale che solo può contrastare le derive totalitarie della democrazia moderna” (p. 24), una convinzione comprensibile — e plausibile — solo tenendo presente la citata ottica dawsoniana che, all’apprezzamento degli elementi di continuità presenti nella civiltà cristiana romano-germanica occidentale — la “vecchia Cristianità” —, unisce il senso dell’urgenza di una “Cristianità nuova” a fronte di un “mondo nuovo”. Sono, cioè, il concetto e la realtà della Magna Europa — impliciti in Dawson in questa formulazione — a rendere più intelligibili l’opera e l’intenzione dello storico e polemista britannico, così che certamente è possibile ascriverlo nel novero dei testimonial della prospettiva magnoeuropea. Di non poco conto è del resto il fatto che gli Stati Uniti d’America, così giudicati da Dawson, abbiano corrisposto il feeling, riservando allo studioso un’attenzione ignota in altri luoghi, madrepatria britannica compresa.
La presentazione di Mazzeranghi si chiude proponendo una bibliografia dawsoniana, suddivisa in Letteratura primaria (pp. 29-31) — Principali opere in lingua originale (pp. 29-30), Antologie (p. 30) e Traduzioni italiane (p. 30-31) — e in Letteratura secondaria (pp. 31-33) — La biografia (p. 31-32) e Il pensiero (pp. 32-33) —, chiosate da una spiegazione editoriale relativa ai criteri adoperati nel testo per integrare, dove necessario, i riferimenti e le note (p. 33).
Dopo la Prefazione (pp. 37-38), l’Introduzione (pp. 39-47) avvia il lettore alle tematiche affrontate ne La religione e lo Stato moderno, fra l’altro osservando che “il cristianesimo, in quanto afferma che la natura essenziale dell’uomo trascende tutte le forme politiche ed economiche, è obbligato a levare la sua protesta contro ogni sistema sociale che pretenda l’uomo intero e ponga sé stesso come scopo finale dell’azione umana. La civiltà è per l’uomo una strada su cui viaggiare, non una casa in cui abitare: la sua vera città è altrove” (p. 42).
Nel capitolo I, L’avvento della dittatura (pp. 49-64), trattato come contrario dello spirito di religione, Dawson indica peraltro più una categoria storica che un singolo fatto, o singoli fatti, anche se certo non si esime da riferimenti precisi all’ascesa al potere del socialcomunismo in Russia, del nazionalsocialismo in Germania e del fascismo in Italia, a cui aggiunge alcune riflessioni sul “modello turco”, fra nazionalismo e laicismo, incarnato da Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938). E detta categoria storica è quella che, inverando premesse teoriche e teoretiche risalenti al secolo precedente, il secolo XIX, porta a maturazione e a compimento, all’inizio del secolo XX , la forma “Stato” — lo “Stato moderno” —, ponendosi così agli antipodi dello spirito di religione.
Nel capitolo II, La democrazia occidentale e le nuove forze politiche (pp. 65-84), Dawson esamina quei regimi che, pur diversi in determinati aspetti sostanziali dai totalitarismi — come è più appropriato definire le ideocrazie novecentesche —, non per questo si mostrano più amici dello spirito di religione. Per l’autore sono infatti comunque espressioni del “nuovo Stato” (p. 84), quello che “[…] minaccia la libertà della Chiesa e la coscienza individuale perché esso stesso sta assumendo alcune caratteristiche di una Chiesa e non si accontenta più di limitarsi alla vita esteriore, alla sfera del poliziotto e dell’avvocato. Esso pretende l’intera vita e diventa così un competitore della Chiesa sul suo stesso terreno” (ibidem). Per questo motivo — e riprendendo de facto un’idea già presente almeno in autori quali Edmund Burke (1729-1797), il conte Joseph de Maistre (1753-1821), Juan Donoso Cortés marchese di Valdegamas (1809-1853), Louis Veuillot (1813-1883) e, in quegli Stati Uniti d’America che Dawson amava di amore “magnoeuropeo”, Orestes Augustus Brownson (1803-1876) —, per Dawson “i problemi politici del mondo moderno sono dunque in ultima istanza religiosi. Il sorgere del nuovo Stato può essere considerato il culmine del processo di secolarizzazione nella storia occidentale e l’unificazione della nostra cultura su un fondamento esclusivamente materialista, ma dall’altro lato anche il risultato di una reazione spirituale contro il materialismo della società borghese del secolo XIX: un tentativo di trovare qualche sostituto ai perduti fondamenti religiosi della società e di sostituire l’individualismo utilitaristico dello Stato liberal-capitalista con una nuova comunità spirituale” (ibidem).
Partendo dalla constatazione, e dalla documentazione, delle “crescenti pretese dello Stato sull’individuo” (p. 85), il capitolo III, La religione nel nuovo Stato (pp. 85-96), dettaglia gli ostacoli che lo spirito di religione patisce per azione positiva di quel soggetto politico che tende ad assorbire in sé il ruolo di Dio, quindi a sostituirsi a Dio. Dawson ne individua lo strumento principale d’intervento nell’“[…] introduzione dell’istruzione di massa obbligatoria, in quanto ha messo nelle mani dello Stato il potere e la responsabilità di formare le menti della gioventù della nazione” (p. 86), senza comunque dimenticare l’istituzione della leva militare obbligatoria e del sempre più invasivo controllo statale sull’economia. Proprio per questo l’“[…] opposizione fra il nuovo Stato e la religione cristiana trova […] nel comunismo la sua piena realizzazione” (p. 95). Infatti, sostiene Dawson, con il sorgere dell’ideologia socialcomunista e con il suo farsi Stato con la Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, “per la prima volta nella storia del mondo il Regno dell’Anticristo ha conseguito forma politica e sostanza sociale, e si erge di fronte alla Chiesa cristiana come una contro-Chiesa, con propri dogmi e modelli morali, dominata da una gerarchia centralizzata e animata da un’ardente determinazione di conquistare il mondo” (pp. 95-96).
Si tratta di un confronto irriducibile e di uno scontro insanabile, che lo studioso analizza con precisione nel capitolo IV, Il conflitto fra cristianesimo e comunismo (pp. 97-108), ricco di osservazioni suggestive e pregnanti: “A prima vista — scrive per esempio Dawson — può sembrare strano che un sistema che si pone come meta gl’ideali lugubri e inumani del totalitarismo economico possa avere qualche attrattiva per gl’idealisti e per i riformatori sociali. Tuttavia non vi è nulla di più chiaro del fatto che, per lo meno nell’Europa Occidentale, sono gl’idealisti, gli umanitari e gl’intellettuali a essere più sensibili al richiamo del comunismo […]. Il fatto è che la cultura borghese del moderno Stato capitalista non riesce a soddisfare i bisogni più profondi dello spirito umano, cosicché l’affamato e l’insoddisfatto si volgono per ottenere ristoro anche ai gusci vuoti del comunismo” (pp. 105-106).
L’argomento viene svolto anche nel capitolo V, Il comunismo e l’interpretazione cristiana della storia (pp. 109-133), in cui Dawson approfondisce l’idea dello Stato comunista come rappresentante esemplare dello “Stato moderno“, ovvero dello Stato tout court, quindi la sua natura intrinsecamente sovversiva, dunque la sua antiteticità rispetto allo spirito di religione, che definisce la persona umana fondandone la libertà e i diritti inalienabili. Infatti, “l’interpretazione cristiana della storia — così Dawson apre il capitolo — è inseparabile dalla fede cattolica. Non è una teoria filosofica elaborata dallo sforzo intellettuale di studiosi cristiani, è parte integrante della rivelazione cristiana, che è infatti essenzialmente storica, cosicché i più metafisici dei suoi dogmi sono correlati a fatti storici e costituiscono parte della grande dispensazione di grazia in cui l’intero processo temporale della vita dell’umanità trova il suo fine e il suo significato” (p. 109).
Il capitolo VI, Religione e politica (pp. 135-145), evoca di nuovo “il carattere cripto-religioso del comunismo” (p. 135) per interrogarsi sul fascino che esso esercita su molti, soprattutto su molti animati da spirito religioso, contribuendo così non poco a illuminare la natura di fenomeni di progressismo cattolico e di “catto-comunismo” verificatisi in Europa e in Iberoamerica dopo la scrittura e la pubblicazione dell’opera. In alternativa, Dawson ripropone — citando una formula di grande efficacia contenuta in Inquiry into the Principles of Church Authority or, reasons for recalling my subscription to the royal supremacy (Londra 1854) di Robert Isaac Wilberforce (1802-1857) — la Chiesa, modello anche sociale: “La Chiesa — scrive Wilberforce riflettendo sull’epoca storica che ha preceduto quella dominata dallo “Stato moderno” — non era esclusivamente una confederazione democratica il cui principio di unione risiedeva nel consenso dell’umanità, ma era l’infusione nel mondo di una vita soprannaturale […]. La Chiesa non derivava la sua esistenza dal consenso o dai bisogni dell’umanità, ma dall’Incarnazione del Figlio di Dio” (p. 144). Una prospettiva, questa, che Dawson commenta: “Questa società è il solo Regno di Dio sulla terra che abbiamo il diritto di aspettarci e soltanto nell’appartenenza a essa troveremo una risposta alle pretese dello Stato totalitario […]. Il tentativo da parte dei nuovi Stati di unificare la vita e di non tollerare alcuna divisione di fedeltà dovrebbe condurre i cattolici a unificare la vita nel potere dello spirito e a non tollerare alcuna divisione nella loro fedeltà a Cristo Re. Senza dubbio ciò comporterà conflitto, ma il conflitto non è cattiva cosa, è la condizione della vita” (pp. 144-145).
Un pensiero lucido, “schierato” e nettissimo, che prelude ai contenuti del capitolo VII, La soluzione religiosa (pp. 147-158), la quale non ha evidentemente alcunché da spartire con una “scelta religiosa” intesa come disimpegno e come renitenza. Dawson propone infatti un “mondo” che abbia almeno il coraggio di coltivare l’ideale dell’incarnazione sociale e politica della fede cattolica in istituti e in istituzioni; e definisce così la sua proposta: “L’unico non piccolo merito di un’epoca o di una cultura relativamente cristiane è di riconoscere la propria indigenza spirituale e di rimanere aperte a Dio e al mondo spirituale, mentre l’epoca o la cultura completamente non cristiane sono chiuse a Dio e s’inorgogliscono del proprio progresso verso la perfezione” (p. 151).
Non si tratta né di debolismo né di minimalismo. L’understatement usato da Dawson è infatti solo la consapevolezza del peso esercitato sull’uomo dal peccato originale, quindi la coscienza di quanto ogni azione umana sia, al meglio, limitata e imperfetta. Ma allo stesso tempo è anche l’accoglimento della soluzione divina al dramma dell’uomo, che sola consente la speranza: la speranza persino, addirittura politica della Cristianità, ideale e realtà storica, impegno e promessa. E non come surplus, ma come parte integrante del contenuto autentico della fede cattolica.
Tutto questo, nell’economia complessiva de La religione e lo Stato moderno, porta al capitolo VIII, La dottrina cattolica dello Stato (pp. 159-169), un capitolo che a tratti appare come un manifesto, o che proficuamente si potrebbe — a scopo di propaganda e per intenti didattici — davvero riformulare a guisa di manifesto, e nel quale, fra molte notazioni storiche, filosofiche e dottrinali fondamentali, trovano spazio anche intuizioni felicissime, fra l’altro utili per sciogliere alcuni equivoci ancora oggi assai diffusi. Per esempio dire: “Il fatto è che la parola capitalismo è comunemente usata per comprendere due soggetti completamente diversi, e di conseguenza è responsabile di una serie infinita di fraintendimenti e di confusioni di pensiero” (p. 162). Oppure dire che, a proposito di alcuni tratti distintivi della politica cristiana “medioevale”, “questa concezione della sovranità e della trascendenza della Legge è la base di quella tradizione di libertà che ha giocato un ruolo tanto grande nella nostra storia e che distingue le società dell’Europa Occidentale da quelle della Russia e dell’Oriente” (p. 166). O ancora che “la tradizione europea è qualcosa di molto più ampio rispetto a quelle del nazionalismo, del liberalismo o del socialismo: è la tradizione della civiltà cristiana. Tutti quegl’ideali che consideriamo tipicamente occidentali — la supremazia della legge, il riconoscimento dei diritti morali dell’individuo e dei doveri della società nei confronti dei poveri e degli oppressi — non sono invenzioni della moderna democrazia, ma fondamentalmente prodotti della tradizione cristiana, che trovano la loro vera giustificazione nei princìpi cristiani” (p. 168). Un punto, quest’ultimo, che oggi — ma non da molto — gode di una discreta bibliografia scientifica a supporto, ma che nel 1935, quando uscì Religion and the Modern State, era assai meno documentato, anche se, ovviamente, non meno vero.
Il capitolo IX, infine, è la Conclusione (pp. 171-180), a cui seguono L’indice biografico (pp. 181-185) e il Glossario (pp. 186-190) degli autori e delle realtà notevoli citati nel testo e spiegati con sintetici ma utili inquadramenti e definizioni, nonché L’Indice dei nomi di persona (pp. 191-195).
Proprio in questo capitolo Dawson, dopo aver magistralmente istruito la propria pratica e avere pubblicamente reso ragione della propria speranza in un cattolicesimo vissuto anche socialmente e politicamente, chiama il lettore, ma anzitutto sé stesso, all’impegno per una restaurazione, là dove restaurare si deve, e per una costruzione ex novo, là dove ex novo costruire si deve. Infatti, “non solo fra gl’indifferenti si ritrova l’idea che la religione sia una faccenda privata, che per sei giorni alla settimana gli uomini si riunirebbero nelle occupazioni reali della vita secolare e che alla domenica gli spiriti religiosi uscirebbero ciascuno verso la sua chiesa o la sua cappella per il loro svago spirituale allo stesso modo in cui i non religiosi escono per andare al campo di golf o al cottage di campagna.
“Idee del genere sono abbastanza naturali per quanti credono che lo Stato sia l’unica e fondamentale società e che la Chiesa sia semplicemente un’organizzazione limitata al culto religioso e all’istruzione morale. Ma per un cristiano che creda all’esistenza di una società divina e universale tutte queste idee sono bestemmie contro Cristo Re” (p. 177).
Marco Respinti