Di Giulia Pompili da Il Foglio del 04/09/2022
Roma. Dopo la sospensione dei pattugliamenti congiunti tra forze di sicurezza italiane e cinesi a causa della pandemia, un’altra operazione poco trasparente della Cina in Italia rischia di diventare motivo di preoccupazione per dissidenti, rifugiati e ricercati sfuggiti alla rieducazione politica nel nostro paese. Da qualche settimana sui gruppi dell’app di messaggistica cinese WeChat dedicati ai cittadini cinesi in Italia viene promosso un servizio nuovo di zecca. In un messaggio di fine marzo si dà notizia dell’inaugurazione della stazione di polizia d’oltremare di Fuzhou nella città di Prato, in Toscana. Fuzhou è il capoluogo della provincia cinese del Fujian, che rappresenta il secondo luogo di provenienza dell’immigrazione cinese in Italia – il primo è rappresentato dalla provincia dello Zhejiang, subito a nord del Fujian. Sul comunicato si legge che “la stazione di servizio di polizia d’oltremare di Fuzhou” è stata costituita al fine di “facilitare i cinesi residenti in Italia a gestire vari affari domestici” e ha sede in via degli Orti del Pero 2, cioè nella sede dell’Associazione culturale della comunità cinese di Fujian in Italia. L’articolo è corredato di foto: in una si vede Liu Bingzhi, presidente dell’associazione, seduto accanto ad altri rappresentanti dell’associazione e davanti a un cartello che recita, in cinese e in inglese: “Fuzhou Police Overseas Service Station”. In un’altra fotografia c’è un cittadino cinese collegato virtualmente tramite una webcam a un agente di polizia a Fuzhou, e si vede un terzo schermo in cui ci sono le fotografie di un documento, presumibilmente del medesimo cittadino. La stazione di Prato è pubblicizzata soprattutto per questo: i cinesi possono richiedere una nuova patente semplicemente recandosi in via degli Orti del Pero, e senza più essere costretti a tornare in Cina, che a causa delle politiche Zero Covid è molto difficile e costosa da raggiungere.
A Prato risiede la seconda più grande comunità cinese in Italia, e via degli Orti del Pero è il centro amministrativo e del business della comunità. Ma non è l’unico distaccamento che le forze dell’ordine di Fuzhou, e in particolare il dipartimento che si occupa di controllare la diaspora cinese, hanno inaugurato: Liu Rongyan, direttore dell’Ufficio per la polizia dei cinesi all’estero, che fa parte del dipartimento di pubblica sicurezza di Fuzhou, a fine gennaio ha annunciato l’apertura di trenta stazioni simili, in 25 città di 21 paesi diversi. Da Barcellona a Budapest, da Dublino a Buenos Aires, l’operazione “Overseas 110” viene annunciata da dichiarazioni che sottolineano soprattutto la sua utilità amministrativa, ma se si pensa all’autorità che c’è dietro – le forze di sicurezza di Fuzhou – allora la natura del servizio cambia. E i sospetti emergono anche leggendo i media locali: in un articolo pubblicato il 17 febbraio scorso su The Paper, giornale della Shanghai United Media Group, si racconta la vicenda della signora Wang, residente in Canada, che si è rivolta alla stazione di polizia d’oltremare di Fuzhou della sua città perché era stata vittima di frode online. “Trattiamo ogni denuncia alla polizia all’estero come se si trattasse di denunce alla polizia interna e ci impegniamo a risolvere il caso il prima possibile per soddisfare le vittime”.
Lo ha detto Li Lianghang, vicecapo del distretto di Taijiang della città di Fuzhou e direttore dell’Ufficio di pubblica sicurezza al Fujian People’s. E quindi non si tratta soltanto di pratiche amministrative, ma anche di operazioni di raccolta di intelligence – direttamente alle forze di polizia cinesi – e di denunce che riguardano operazioni di polizia.
Secondo quanto risulta al Foglio, alle autorità italiane non è stata comunicata ufficialmente l’apertura della “stazione di servizio di polizia d’oltremare di Fuzhou”. Contattata dal Foglio, la polizia ha spiegato che l’ufficio non desta particolare preoccupazione perché “si occupa solo di pratiche amministrative e non di pubblica sicurezza”. In quest’ultimo caso, infatti, la presenza sul territorio italiano di un ufficio della polizia cinese sarebbe illegale. E c’è da crederci: da tempo i paesi autoritari come la Cina usano le loro forze dell’ordine destinate ai cittadini all’estero per controllare i dissidenti, fare pressioni su chi scappa dal paese e come deterrente per chi avrebbe voglia di scappare. Il Partito e le autorità hanno occhi ovunque, recitano i poster di propaganda.
E’ per questi motivi che l’Italia, da tempo, è al centro di polemiche anche per un’altra operazione. Il nostro è infatti uno dei pochissimi paesi al mondo, di certo l’unico del G7, ad aver avviato una collaborazione con le forze di sicurezza cinesi per dei periodici pattugliamenti congiunti sui rispettivi territori. Qualche volta i carabinieri o i poliziotti italiani vanno in Cina, qualche volta quelli cinesi vengono in Italia – sono stati a Roma, a Prato, a Milano, a Torino, a Padova. I pattugliamenti congiunti sono sospesi per via della pandemia, ma sono andati avanti fino al 2019. L’accordo risale al 2015, quando all’Aia il direttore generale del Dipartimento per la cooperazione internazionale del ministero della Pubblica sicurezza cinese, Liao Jinrong, e il vicedirettore generale della pubblica sicurezza italiana, il prefetto Antonino Cufalo, alla presenza dell’allora capo della polizia Alessandro Pansa firmarono un’intesa “per l’esecuzione di pattugliamenti congiunti in aree di interesse turistico”. Dopo diverse richieste ufficiali, il Foglio non è riuscito a ottenere il testo di quell’accordo.