di Marco Respinti
Molto rumore per nulla. Il titolo di una delle commedie più famose del poeta e drammaturgo inglese William Shakespeare (1564-1616) è il miglior commento alla visita compiuta in Italia dal presidente della Repubblica Popolare Cinese e Segretario generale del Partito Comunista Cinese Xi Jinping dal 21 al 23 marzo. Se l’accento viene posto sul commercio, infatti, non è accaduto proprio nulla, salvo qualche container di arance siciliane in rotta per Pechino. Un memorandum d’intesa, infatti, non è un accordo tombale e un memorandum di per sé commercialmente vago come quello firmato nei giorni scorsi tra Cina e Italia lo è ancora meno. Stante dunque che le intenzioni dell’intesa annunciate alla vigilia dal governo italiano ponevano l’accento proprio sui vantaggi commerciali che ne sarebbero derivati al nostro Paese, rassicurando, come ha più volte ostinatamente fatto il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci, che ogni altro aspetto della sovranità italiana non sarebbe stato toccato, a conti fatti il memorandum fra Cina e Italia è solo una montagna che ha partorito un topolino, per non dire un vero fiasco.
In realtà però non lo è affatto: non lo è per chi considera un successo il risultato politico della visita, quello cioè che, a bocce ferme, risulta essere l’esito unico e finale dell’intesa fra Roma e Pechino. La definizione più concisa e pertinente, e icastica, di questo risultato politico è quella ‒ oramai piuttosto famosa ‒ data dalla giornalista de Il Foglio Giulia Pompili, attenta osservatrice di questioni asiatiche, in un articolo pubblicato sulla prima pagina del quotidiano il 22 marzo e significativamente intitolato Così siamo arrivati a stare con i cinesi senza avere niente in cambio: «Nel memorandum sulla Via della Seta non c’è niente di commerciale: è invece un cambiamento epocale della politica estera italiana». Un giudizio così vero da suscitare le ire verbali, ma quasi fisiche, dell’entourage di Xi Jinping: un funzionario dell’ambasciata cinese in Italia, Yang Han, ha infatti aggredito la giornalista italiana durante la serata di gala (il 22) con il presidente della repubblica italiana Sergio Mattarella, dicendole: «La devi smettere di parlare male della Cina», ripetendole poi: «Non devi ridere. La devi smettere di parlare male della Cina» e chiudendo dunque con una minaccia: «E comunque so benissimo chi sei».
Pasticcio all’italiana
L’aspetto più curioso dell’intera vicenda rimane comunque l’enorme quantità di critiche che il Memorandum d’intesa fra Italia e Cina ha sollevato sia tra le forze politiche sia nei media italiani. Sembra cioè che a nessuno sia piaciuta l’idea dell’accordo a parte il governo italiano stesso: o, più precisamente, a una parte di esso, ovvero alla sua componente che fa capo al Movimento Cinque Stelle (M5S). L’altra componente del governo di coalizione, la Lega, si è infatti schierata con i critici: o quanto meno così ha fatto il suo leader nonché vice-premier (e ministro dell’Interno), Matteo Salvini, che per esempio al Forum di Confcommercio a Cernobbio, proprio il giorno della stipula dell’accordo, il 23 marzo, ha detto: «Sono contento che il presidente cinese sia in visita in Italia: più mercati si aprono per le imprese meglio è. Ma questo va fatto a parità di condizione. Non mi si dica che in Cina vige il libero mercato. Il falso “made in” ci costa all’anno 60 miliardi di euro, non è possibile non avere armi. Certi produttori cinesi fanno concorrenza sleale e con la normativa vigente fare causa è inutile, non si ha una competizione normale».
La suddetta curiosità nasce però dal fatto che a riguardare le fasi della visita di Xi Jinping nel loro complesso si ha la netta sensazione che tutte le critiche piovute da destra e da sinistra sul Memorandum scaturiscano solo da partigianeria politica. Poiché l’attuale governo italiano è impopolare presso molti media e si oppone a tutti i “vecchi” partiti politici che hanno governato l’Italia negli ultimi 25 anni, tutto ciò che il governo in carica fa viene acriticamente contestato e pesantemente boicottato a prescindere, accordo cinese compreso. Sentire infatti la Sinistra italiana criticare la Cina “illiberale” fa se non altro sorridere. Il lato grottesco di questa tendenza curiosa è però che la componente del governo italiano più avversata soprattutto dai media, se non apertamente odiata, non è tanto il M5S, fautore dell’accordo poco commerciale e molto politico con la Cina, ma la Lega, che però (almeno il suo leader) è fortemente contraria all’intesa poco commerciale e molto politica con Pechino, con il risultato paradossale che, criticando l’accordo filocinese del governo italiano, i media che detestano la Lega finiscono per supportare proprio (almeno in questo) la Lega.
Partito Xi Jinping, l’Italia si ritrova quindi a essere il Paese dove soffia forte un sentimento anticinese fondato praticamente sul nulla, o al massimo animato dalle ragioni sbagliate, dove però detta legge un nuovo accordo politico di portata storica che ci sposta nell’orbita di un regime totalitario che brutalizza la propria popolazione violando, nel silenzio generale, ogni diritto umano fondamentale e conculcando la libertà religiosa, un accordo imbrigliante e imbarazzante voluto e siglato da una forza politica in costante declino nei risultati elettorali.
Giovedì, 28 marzo 2019