L’identità prima della cittadinanza, un transgender gareggia veramente alle Olimpiadi, diritto a gareggiare ma non a nascere
di Luca Bucca
– Il tema cittadinanza ha infiammato, almeno a leggere i giornali, il dibattito politico nei giorni intorno a Ferragosto e probabilmente potrebbe caratterizzare anche le settimane a venire. Si tratta di un argomento sul quale è certamente lecito, e per certi versi opportuno, riflettere e approfondire. Il confronto però sembra tradire da più parti una vecchia tentazione risorgimentale, mai del tutto vinta e sempre recrudescente: quella di “volere fare gli italiani”. Per evitare questo errore si consiglia, prima di parlare di cittadinanza (ma anche di integrazione), di avere ben chiaro un concetto che dovrebbe stare a monte e dovrebbe essere condiviso: l’identità italiana. È qui che probabilmente “casca l’asino”.
– Fabrizio Petrillo è un atleta paralimpico ipovedente, che ha gareggiato nelle categorie maschili fino al 2019. Nel 2020 ha cominciato un percorso di “transizione”, iniziando a farsi chiamare Valentina e a gareggiare nelle categorie femminili. Adesso rappresenterà l’Italia alle prossime Paralimpiadi di Parigi. Lasciamo sempre da parte parole e atteggiamenti violenti e inappropriati, con i quali purtroppo spesso vengono affrontati argomenti così delicati e verso i quali ci vuole, invece, sempre profonda e sincera delicatezza. Ricordate però le tante considerazioni sul caso Imane Khelif, che hanno tenuto banco, perlomeno in Italia, fino a qualche giorno fa? Ecco, adesso diventano certamente più opportune.
– Proprio a riguardo dell’atleta Imane Khelif, scrivevamo la settimana scorsa trattarsi di una persona nata con un disturbo della differenziazione sessuale. Si è tanto discusso se fosse giusto che gareggiasse o meno nella categoria femminile, ma un altro aspetto è rimasto in ombra. La scienza fa continui progressi e i test prenatali permettono oggi di individuare anomalie genetiche, malformazioni e altre disfunzioni, e nella misura in cui si riesce a individuarle nella maggior parte dei casi l’esito (in presenza di problemi legati alla differenziazione sessuale, come anche della sindrome di down e di parecchie altre condizioni pure compatibili con la vita) non è certo la medaglia d’oro alle Olimpiadi o alle Paralimpiadi, ma l’aborto. Un “dettaglio” che tanti fautori dei “diritti” ipocritamente omettono di dire.
Mercoledì, 21 agosto 2024