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Claus Schenck von Stauffenberg (1907-1944)

19 Ottobre 2018 - Autore: Oscar Sanguinetti

di Oscar Sanguinetti

 

Claus Schenck von Stauffenberg (1907-1944)

 

1. La formazione

Claus Schenk von Stauffenberg nasce il 15 novembre 1907 a Jettingen, nella Svevia divenuta bavarese, figlio del conte Alfred (1860-1936), cattolico, e della contessa Carolina Uxkull-Gyllenband (1875-1956), protestante. Due anni e mezzo prima di lui erano nati i gemelli Berthold (1905-1944) e Alexander (1905-1964). Il padre ricopriva la carica di primo maresciallo alla corte di Guglielmo II (1848-1921), re del Württemberg, a Stoccarda. 

I tre fratelli von Stauffenberg crescono in un ambiente fortemente im­pregnato delle tradizioni patriottiche germaniche. La guerra mondiale e il trattato di Versailles del 1919 — che non solo avevano stroncato brutalmente l’ascesa della Germania al rango di prima potenza europea, ma avevano imposto a essa condizioni di pace umilianti — impressionano profondamente il giovane Claus. Negli anni del liceo, accanto a quello dei classici tedeschi, egli subisce l’influsso della letteratura di guerra, legata ai temi del­l’e­spe­rienza del fronte e della solidarietà interclassista della trincea. In particolare legge lo scrittore contemporaneo Walter Flex (1887-1917) e In Stahlgewittern, «Tempeste d’ac­ciaio», di Ernst Jünger (1895-1998), uscito nel 1920. La poesia di Georg Herwegh (1817-1875) — il cantore del patriottismo tedesco del 1848, suo concittadino — rafforza in lui l’amore per la libertà della patria e gli trasmette il senso della precarietà dell’esistenza umana e del valore del sacrificio personale. Decisivo per Claus — come per i suoi fratelli — è infine l’incontro con l’opera del poeta Stefan George (1868-1933), e­sponente del decadentismo tedesco che, attraverso la riscoperta dell’Ellade classica, a­veva elaborato una visione del mondo anti-materialistica e sacra­le, che si contrapponeva allo spirito «bor­ghese» e filisteo della «Repubblica di Weimar». George, identificato come il «poeta della Rivoluzione conservatrice», auspicava l’edificazione di un nuovo impero tedesco, fondato sull’ari­sto­­crazia dello spirito e non più su quella del sangue.

2. La carriera militare

Nel 1926 Claus inizia la carriera nella Reichswehr, su cui gravavano le pesanti restrizioni — un massimo di centomila soldati — imposte dal trattato di pace. Allievo ufficiale presso un reggimento di cavalleria di stanza nella Germania meridionale, ottiene la nomina a sottotenente al­l’i­ni­zio del 1930. Non è estraneo alla sua scelta anche l’influsso degli a­scendenti familiari. Un suo avo di parte materna era stato infatti il conte August Wilhelm Anton Neithardt von Gneisenau (1760-1831), capo di Stato Maggiore prussiano ai tempi delle guerre contro la Francia napoleonica, il quale aveva professato un patriottismo di stampo nazional-popolare, teorizzando il concetto di «sol­le­va­zione tedesca», dal quale Claus si sentiva affascinato. L’intento espresso dal nazionalsocialismo — insediatosi al potere nel 1933 — di ri­sollevare il prestigio della Germania fra le potenze europee e di risolvere la grave crisi politica e sociale degli anni di Weimar trova in lui, come negli altri patrioti tedeschi, positiva accoglienza. Il regime — che non aveva ancora palesato del tutto la sua ideologia — veniva giudicato dai conservatori con scarsa simpatia, ma co­me l’unico strumento in grado di restaurare l’or­dine nel Paese. Claus von Stauffenberg non amava il nazionalsocialismo, ma — memore della fuga dell’imperatore Guglielmo II di Hoenzollern (1859-1941) e di quella di Guglielmo II di Württemberg nel 1918 — non condivideva neppure prospettive legittimistiche o monarchiche. I primi giudizi espressi su Claus dai superiori ne descrivono la grande intelligenza, l’esemplarità nel trattare i subordinati, l’at­tenzione alla preparazione dei soldati, la grande a­pertura ai pro­blemi sociali e storici. Dopo aver seguito i corsi per lo stato mag­giore della neonata Wehrmacht a Berlino, dove si trasferisce con la famiglia — nel 1931 si è sposato con la contessina Magdalena «Nina» von Lerchenfeld  (1913-2006) ed è padre di due bambini; alla sua morte saranno quattro e un quinto nascerà postumo —, nel 1937 Claus viene promosso capitano. Al­la morte del presidente del Reich riformato, il vecchio generale Paul von Hindenburg (1847-1934), il cancelliere Adolf Hitler (1889-1945) ne assume la carica e subi­to, con il consenso dei massimi vertici militari, impone alle tre forze armate il giuramento alla propria persona. Il rapido riarmo tedesco e la serie di successi internazio­nali del Terzo Reich facevano sì che i militari, pur disprezzando il «caporale austriaco», ne riconoscessero le oggettive capacità politiche e, in seguito, anche le doti di stratega. Con le violenze anti-ebraiche del novembre 1938 e quando appare chiaro che Hitler spingeva — sulla base del concetto biologico-razziale di nazione — verso una guerra di espansione all’Est, i rapporti fra il regime e la casta militare — la meno intaccata dal totalitarismo nazionalsocialista — cominciano a incrinarsi, e già dal 1938 i vertici militari iniziano a elaborare piani per l’abbattimento del regime. Ma lo scoppio in­aspettato del secondo conflitto mondia­le rende più difficili le mosse contro il governo hitleriano, che a­gli occhi del popolo finiva per identificarsi con la Germania stessa. Claus von Stauffenberg prende parte al conflitto — al­l’in­va­sione della Polonia nel 1939 e a quella della Francia nel 1940 — senza manifestare alcuna riserva o esitazione nel compiere il pro­prio dovere, anteponendo sempre le sorti del Paese a quelle del governo che si trova a dover servire. Nel 1941 von Stauffenberg viene promosso maggiore ed entra allo Stato Maggiore del­l’e­ser­cito.

3. Nell’opposizione militare al nazionalsocialismo

Agli inizi del 1942 egli, avvicinato dall’oppositore conte Helmuth James von Moltke (1907-1945), risponde ancora che, pur aborrendo il regime, prima di ogni cosa occorreva vincere la guerra. Il suo atteggiamento inizia a mutare nel corso del 1942, quando si rende conto che la campagna di Russia, iniziata nel 1941, era costata già novecentomila morti al solo esercito, e che nel futuro le riserve tedesche non erano in grado di colmare il deficit umano su quel fronte, il che avrebbe tramutato inevitabilmente la guerra contro l’Unione Sovietica in un’immane catastrofe per la Germania. Nel 1943, quando, con la battaglia Stalingrado, si determina la svolta del conflitto, von Stauffenberg — dal gennaio del 1943 promosso tenente colonnello — capisce ancor più chiaramente che bisogna scindere il destino della Germania da quello del dittatore, togliendogli quanto prima i pieni poteri. Improvviso, però, viene il suo trasferimento al fronte, in Tunisia, dove l’Afrika Korps italo-tedesco sta per essere annientato. Qui, il 7 aprile 1943, a poco più di un mese dalla resa finale, viene ferito gravemente — al volto, alle mani e a un ginocchio, perdendo l’uso dell’occhio sinistro e subendo l’ampu­ta­zione della mano destra e di due dita di quella sinistra — da un mitragliamento aereo a bassa quota sulla sua autovettura. Von Stauffenberg sa reagire virilmente alle sofferenze fisiche e soprattutto a quelle morali derivanti dalle ferite e dalle menomazioni e, dopo alcuni mesi, riprende servizio, questa volta presso l’AHA, l’Al­l­ge­mei­nen Heersamt, l’ufficio Affari Ge­ne­rali presso lo Stato Maggiore dell’esercito a Berlino, diretto dal generale Friedrich Olbricht (1888-1944), già membro dei circoli dell’opposizione militare. 

Anche il fratello maggiore Berthold aveva assunto posizioni di dissenso, entrando nella resistenza militare a fianco di Claus. Sotto l’im­pulso del colonnello Henning von Tresckow (1913-1944) — che deve però presto far ritorno sul fronte russo —, con la regìa del­l’au­torevole generale a riposo Ludwig von Beck (1880-1944), ex capo di Stato Maggiore dell’esercito, e grazie all’energico apporto di von Stauffenberg, prende forma un nuovo progetto di colpo di Stato, che — dopo l’eliminazione fisica di Hitler, al fine di sciogliere le forze armate dal giuramento — prevedeva l’as­sun­zione del potere da parte dei militari, l’esauto­razione completa del par­tito nazionalsocialista e l’incor­po­ra­zio­ne nell’e­ser­ci­to delle Waf­fen SS, le Schutz-Staffeln — «staffette di difesa» — combattenti. Allo scopo, per non desta­re sospetti, von Tresckow e von Stauffenberg decidono di utilizzare il piano operativo Valchiria, elaborato da Olbricht per reprimere disordini interni tramite le truppe in addestramento o in riorganizzazione sul territorio nazionale. La nuova Germania avrebbe dovuto essere guidata dal generale von Beck, dal leader della resistenza civile Carl-Friedrich Goerdeler (1884-1945), ex borgomastro di Lipsia, dall’ex ambasciatore a Roma Ulrich von Hassel (1881-1944) e dall’ex deputato socialdemocratico Julius Leber (1891-1945). Il nuovo governo a­vrebbe dovuto aprire immediatamente trattative con gli Alleati occidentali. Il movimento concepiva ancora una Germania unita e in grado di negoziare con il nemico, ma i nemici della Germania avevano già deciso di imporle la resa senza condizioni, che i bombardamenti terroristici sulle città tedesche si curavano di affrettare. Solo pochi, come il diplomatico Hans-Bernd Gisevius (1905-1974), si rendevano conto che, purtroppo, si poteva solo puntare a scegliere fra l’invasore occidentale e quello sovietico. Von Stauffenberg diviene l’instan­ca­bile animatore della congiura, cui conquista elementi del ministero della Marina, ufficiali superiori dello Stato Maggiore in Francia e alcuni prestigiosi generali in congedo. Perfino un alto graduato delle SS e della polizia, Art­h­ur Nebe (1894-1945), diviene parte del piano.

4. L’attentato del 20 luglio 1944 nella «tana del lupo»

Il crollo del fronte orientale e lo sbarco alleato in Normandia nel giugno del 1944 decidono i congiurati a rompere gli indugi. Nel­lo stesso mese von Stauffenberg era stato nominato capo di Stato Maggiore della riserva dell’esercito e poteva così partecipare alle riunioni del Führer. Nonostante le gravi menomazioni fisiche, visto il fallimento di altri tentativi e le esitazioni degli altri ufficiali, decide che sarebbe stato egli stesso a compiere il primo passo uccidendo il dittatore. Il 15 luglio le truppe del piano Valchiria vengono allertate per entrare in azione il 20 luglio, quando von Stauffenberg avrebbe incontrato Hitler a Rastenburg, nella Prussia Orientale, nella cosiddetta Wolfsschanze, la «trincea o tana del lupo», del Führer. Il resto della vicenda è noto: Hitler rimane incolume dopo lo scoppio dell’ordigno; von Stauffenberg, ripartito per Berlino ne rimane all’oscuro; il quartier ge­nerale del gol­pe cade nella confusione; gli alti coman­di, davanti a ordini contraddittori, non si muovono; il colpo di Stato fallisce definitivamente a tarda sera, quando Hitler parla per radio alla nazione; le stesse truppe del piano Valchiria arrestano i congiurati; Hi­tler scatena una repressione feroce, con quasi seimila arresti; gli Alleati ostentano freddezza, anzi disprezzo per gli ufficiali coinvol­ti nella congiura.

5. L’esecuzione

Claus von Stauffenberg, il suo aiutante tenente Werner von Haeften (1909-1944), il generale Olbricht e l’altro leader del complotto, colonnello Albrecht Mertz von Quirnheim (1905-1944), vengono fucilati la notte stessa del 20 luglio su ordine personale del generale Friedrich Fromm (1888-1945), superiore di von Stauffenberg. Berthold von Stauffenberg viene giustiziato dopo un processo-farsa — secondo Hitler, avrebbe dovuto ricalcare quelli staliniani degli anni 1930 —, subìto il 10 agosto 1944.

Nonostante le non poche e gravi ragioni contrarie, il colpo di Stato avrebbe abbreviato il conflitto, anche se di pochi mesi. Il fatto non avrebbe evitato l’occupazione, né le violenze che al­l’Est l’hanno accompagnata e neppure la divisione del Paese. Ma avrebbe significato risparmiare centinaia di migliaia di vite di soldati al fronte — tedeschi e nemici — e di civili, nonché salvare le città tedesche dai bombardamenti aerei che le avrebbero rase al suolo. In ogni modo, va ricordato che, grazie al complotto del 20 luglio 1944, nel dopoguerra i tedeschi potranno opporre la realtà concreta della resistenza alla teoria della «colpa collettiva», che le potenze occupanti tentavano di addossare alla Germania. Oltre le illusioni romantiche, movente ultimo del caval­le­resco soldato e conte svevo — che anteponeva la sua Germania e il destino dei suoi connazionali alle cose più care, fino a suggellare il suo ideale con il sacrificio della vita — appare l’e­si­genza che elementi della ma­jor et sanior pars del popolo tedesco dessero un’elevata testimonianza morale, la quale salvasse la dignità della nazione e ne addolcisse la sorte. Già nel 1943 aveva confessato a un amico: «Non potrei più guardare negli occhi le mogli e i fi­gli dei ca­duti, se non facessi tutto quanto è nelle mie forze per impedire questo insensato sacrificio di vite umane».

Oscar Sanguinetti
19 ottobre 2018

 

Per approfondire: vedi la vita in Wolfgang Venhor (1925-2005), L’i­dentità tedesca e il caso Stauffenberg, trad. it., Rusconi, Milano 1988 e in Peter Steinbach, L’uomo che voleva uccidere Hitler. Claus von Stauffenberg e l’Operazione Valchiria, trad. it., EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2017; per un inquadramento nella storia della resistenza tedesca vedi le sintesi di Peter Hoffmann, Tedeschi contro il nazismo. La Resistenza in Germania, trad. it., il Mulino, Bologna 1994; di Marion Dönhoff, Per l’onore. Aristocratici tedeschi contro Hitler, trad. it., il Minotauro, Roma 2002; e di Joachim Fest (1926-2006), Obiettivo Hitler, trad. it., Garzanti, Milano 1996.

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