MARIA LUISA DI PIETRO, Cristianità n. 290-291 (1999)
Nel richiamare, nella lettera enciclica Evangelium vitae, l’attenzione sulle radici comuni della contraccezione e dell’aborto — “come frutti di una medesima pianta” (1) —, Papa Giovanni Paolo II sottolinea come questa “connessione” (2) non sia solo a livello culturale, ma anche tecnico: “[…] la stretta connessione che, a livello di mentalità, intercorre tra la pratica della contraccezione e quella dell’aborto emerge sempre di più e lo dimostra in modo allarmante anche la messa a punto di preparati chimici, di dispositivi intrauterini e di vaccini che, distribuiti con la stessa facilità dei contraccettivi, agiscono in realtà come abortivi nei primissimi stadi di sviluppo della vita del nuovo essere umano” (3).
Quanto sia stretta “questa connessione” è emerso in modo evidente dal recente dibattito sulla cosiddetta “pillola del giorno dopo”: è un abortivo o un contraccettivo?
Le risposte, rese note in merito dalla stampa, sono state divergenti: “sono prodotti ad azione non abortiva ma antinidatoria”; “la pillola del giorno dopo può essere contraccettiva o abortiva”; “la pillola del giorno dopo è abortiva”. Certamente una tale diversità di risposte non può che creare confusione: è mai possibile — ci si potrebbe chiedere — che si esprimano pareri contrastanti su un fatto che dovrebbe essere, invece, empiricamente dimostrabile?
Con l’espressione “pillola del giorno dopo” si indica un insieme di preparati a base di estrogeni o di estroprogestinici o di progestinici, che vengono somministrati alla donna dopo e non oltre le 72 ore — da qui la dizione “del giorno dopo” — da un rapporto sessuale che si presume fecondante. Gli estrogeni, estroprogestinici e progestinici sono ormoni sintetici che vengono somministrati a scopo contraccettivo e/o abortivo.
La “pillola del giorno dopo” è, poi, una modalità di approccio della cosiddetta “contraccezione d’emergenza” o “intercezione”, che prevede in alternativa ai suddetti ormoni anche la somministrazione di danazolo o l’inserimento di spirale.
Il meccanismo d’azione della “contraccezione d’emergenza”, e quindi anche della “pillola del giorno dopo”, è abortivo: dall’80% — estroprogestinici o progestinici — al 100% — estrogeni, danazolo, spirale — dei casi viene impedito l’annidamento dell’embrione nell’endometrio uterino, a seguito dell’alterazione del suo fisiologico sviluppo, e/o bloccata l’attività del corpo luteo, che produce il progesterone, ormone fondamentale per la prosecuzione della gravidanza.
Non si può escludere che, se l’estroprogestinico — o il progestinico — viene somministrato quando ancora l’ovulazione non si è verificata, possa essere inibita la liberazione della cellula uovo con un effetto propriamente contraccettivo, che si verifica dallo 0% al 20% dei casi.
Come è possibile, allora, che venga affermato che la “pillola del giorno dopo” — e tutta la “contraccezione d’emergenza” — non è abortiva? Oppure che è solo antinidatoria?
In effetti, chi afferma che la “pillola del giorno dopo” non è abortiva ma antinidatoria, non si accorge che sta affermando l’abortività nel momento in cui afferma l’effetto antinidatorio: perché questo meccanismo d’azione, non potendosi estrinsecare se non dopo la fecondazione e impedendo all’embrione di proseguire nel suo sviluppo, non può che essere abortivo.
Tanto è vero che per poter negare l’azione abortiva, chi la propone ha dovuto anche modificare i “connotati” della gravidanza. Mettendo in discussione anni e anni di certezze scientifiche, in base alle quali si è sempre definito come “gravidanza” il periodo compreso tra la fecondazione e il parto, si è iniziato a sostenere che la gravidanza non inizierebbe se non dopo l’annidamento dell’embrione nella parete uterina, quindi non prima del 6° giorno, come limite minimo, o non prima del 14° giorno, come limite massimo. Un prodotto che impedisce l’annidamento non porrebbe dunque termine ad una gravidanza e non sarebbe un abortivo!
Certo qualcuno tentenna a fronte di questa ridefinizione di gravidanza e, per non spingersi troppo in là, si limita a parlare di somiglianza tra l’azione antinidatoria e l’azione abortiva: ma è, comunque, evidente che questa manipolazione semantica ha una finalità ben precisa. In questo modo — si legge sul The New England Journal of Medicine — è possibile “[…] manipolare l’opinione pubblica affinché accetti [la “contraccezione […] d’emergenza”]. Solo ridefinendo il significato di contraccezione per includere la prevenzione dell’impianto, non si modifica il fatto che la prevenzione dell’impianto risulti per alcune persone problematica” (4).
Quanto affermato da chi sostiene che un antinidatorio non sia un abortivo viene, tra l’altro , smentito anche da Étienne-Émile Baulieu, che, in quanto scopritore dell’RU-486 altrimenti noto come “pillola per abortire”, non può essere sicuramente tacciato di posizioni di tipo confessionale: “[…] l’interruzione della gravidanza dopo la fecondazione, […] può essere considerata alla stregua di un aborto” (5). Un prodotto ad azione antinidatoria è, dunque, abortivo.
Vi è poi chi, pur riconoscendo che la “pillola del giorno dopo” è un abortivo, porta l’attenzione sul fatto che potrebbe essere fino al 20% dei casi anche un contraccettivo: questo solo nel caso in cui venga assunto prima della liberazione della cellula uovo dall’ovaio. Ma è verosimile che una donna, la quale per diverse ragioni fa ricorso alla “pillola del giorno dopo”, conosca esattamente in che fase del ciclo si trova sì da poter prevedere se si verificherà l’effetto abortivo o quello contraccettivo? Forse bisognerebbe fare un’ecografia per monitorizzare lo sviluppo del follicolo ovarico e un dosaggio ormonale per prevedere il momento dell’ovulazione: ma questo non è né nelle intenzioni né nelle reali possibilità di chi caldeggia il ricorso alla “pillola del giorno dopo”.
E non solo: anche se è vero che la donna che assume la “pillola del giorno dopo” può non avere iniziato una gravidanza o che l’effetto abortivo non si verificherà, la donna che la chiede e il medico che la prescrive o la somministra accettano volentieri il rischio di provocare un aborto. Anzi avrebbero optato proprio per l’aborto se si fosse verificata una gravidanza.
In altre parole: si è di fronte a una vita — o, ma non possiamo prevederlo, a una possibilità di vita —, che comunque non si accetta, tanto da essere disposti a correre nell’80-100% dei casi il rischio di sopprimerla.
Nel recente dibattito sulla “pillola del giorno dopo”, in particolare, e sulla “contraccezione d’emergenza” in generale, è stata attirata l’attenzione solo su una situazione con la quale tanti disperati si stanno confrontando in questi giorni: la violenza sulle donne in periodo di guerra. Ma attenzione: le campagne a favore della “pillola del giorno dopo” non riguardano solo le zone di guerra e il loro obiettivo non sono solo le donne che hanno subito violenza.
Se diamo uno sguardo a ciò che è avvenuto in questi ultimi anni, ci possiamo rendere conto di alcuni avvenimenti forse poco noti perché non toccano così profondamente le “corde” dell’emozione umana come nel caso della violenza sessuale e fanno parte, si potrebbe dire, di un vivere quotidiano al quale ci siamo oramai assuefatti.
Basti pensare che accanto alle molteplici richieste a che tutta la “contraccezione d’emergenza” venga distribuita nelle farmacie come prodotto di banco, ovvero senza la necessità di una prescrizione medica e che sia ampiamente disponibile presso tutti i presidi di assistenza sanitaria alle donne e, in particolare, alle adolescenti, vi sono anche piani d’intervento che prevedono l’invio continuo e programmato di “contraccezione d’emergenza” sia nei paesi in via di sviluppo sia nelle zone di raccolta dei rifugiati.
È, infatti, “costume” delle organizzazioni di pianificazione delle nascite inviare kit per l’emergenza riproduttiva non solo all’indomani di una guerra — il che potrebbe far pensare a un interesse per la donna appena violentata pur a fronte di un disinteresse per il bambino concepito —, ma di continuo in quei luoghi in cui, non riuscendo a contenere comportamenti violenti, si vuole risolvere in questo modo la situazione. Si veda, come esempio, quanto è stato pianificato nel 1996 per le regioni dei Grandi Laghi dell’Africa Centrale: sono stati stanziati ben 500.000 dollari per dispensare aiuti a favore della salute riproduttiva. Il “pacchetto” d’intervento prevedeva: la pianificazione familiare; la prevenzione del cosiddetto unsafe abortion, “aborto in condizioni di non sicurezza”; la “contraccezione d’emergenza” per le donne vittime di una violenza sessuale o che avevano avuto rapporti sessuali “non protetti” o non programmati.
In modo coatto o in modo subdolo, illudendo le donne di scegliere in libertà ma mettendo in realtà in atto un reale lavaggio del cervello, vi è dunque chi lavora contro la vita umana, contro la dignità della donna, contro i diritti della persona.
Si rispetta, infatti, la donna facendole credere che, assumendo la “pillola del giorno dopo”, non causerà l’uccisione del suo bambino? O non si tratta piuttosto di dare avvio a un’altra forma di schiavitù, quella legata all’ignoranza non di chi non avrebbe la possibilità o la capacità di conoscere, quanto di chi è stato deliberatamente tenuto all’oscuro della verità? Si rispetta, forse, il diritto dell’adolescente ad essere educata, a conoscersi, ad assumere la capacità di farsi rispettare, riducendo tutta l’assistenza alla prescrizione e somministrazione della “pillola del giorno dopo”?
Il diritto a essere educata: sì, perché anche in questo caso l’educazione è l’unica forma di prevenzione. E per prevenire la diffusione della “contraccezione d’emergenza” è necessario aiutare la donna — e anche l’uomo — a percepire il valore di ogni nuova vita chiamata all’esistenza, a riscoprire il vero significato e valore della sessualità, a comprendere il significato della paternità e della maternità responsabili. Solo questa è la strada da percorrere e non certo quella della propaganda o della dispensazione di contraccettivi.
Non si può, infatti, combattere l’aborto con la contraccezione. Questo perché chi ricerca la prevenzione della gravidanza con la contraccezione di barriera o ormonale — tra l’altro non si può escludere per quest’ultima un meccanismo d’azione anche abortivo —, andrà a richiedere, in caso di fallimento, l’aborto.
Un altro obiettivo delle campagne di diffusione della “pillola del giorno dopo” è, come già detto, la donna vittima di una violenza sessuale.
Vi è chi ha scritto che, in questo caso, il concepimento è stato il risultato di un atto di violenza, che è quanto di più crudele, cattivo, esecrabile — sempre che gli aggettivi possano esprimere nella pienezza la brutalità e disumanità di questo atto — una donna possa subire: non accettare l’eliminazione di questa vita — si dice — significherebbe peccare d’insensibilità!
Premesso che la stessa idea di eliminare una vita, anche appena concepita, è in se stessa una espressione di grande insensibilità, vorremmo soffermarci a riflettere su due interrogativi.
Il primo: credono, forse, di essere sensibili al dramma umano della guerra e della violenza quanti hanno come unica preoccupazione a fronte del bisogno di tutto — di un tetto, di cibo, di acqua, di vestiti, di conforto, di identità — quella di inviare sul campo kit per l’emergenza riproduttiva, dalla “pillola del giorno dopo” ai progestinici iniettabili, etc. etc.? O quanti pensano di risolvere il trauma della violenza subita dalla donna eliminando la “traccia” di questa violenza? Il secondo: la vita umana ha, forse, una diversa qualità a seconda della circostanza nella quale è stata concepita?
È un dato di fatto che gli esiti della violenza non si cancelleranno mai dalla memoria della donna: d’altra parte, come potrà dimenticare questa donna che qualcuno l’ha trattata come una cosa, che qualcuno si è accanito contro di lei con una brutalità che non è propria neanche degli animali. Ma questa memoria non verrà cancellata neanche con l’aborto: chi lo propone, chi lo impone, chi lo richiede, si rende attore di una violenza nella violenza, non solo nei confronti della donna ma soprattutto di quel bambino, la cui vita è da rispettare come quella di qualsiasi altro concepito.
Nell’aborto “chi viene soppresso — scrive Papa Giovanni Paolo II nella Evangelium vitae — è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare: mai potrebbe essere considerato un aggressore, meno che mai un ingiusto aggressore! È debole, inerme, al punto di essere privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato. È totalmente affidato alla protezione e alle cure di colei che lo porta in grembo” (6). Pensare di eliminare questa vita è, allora, un altro atto violento.
Per la donna potrà essere oltremodo difficile accettare questo bambino che sta crescendo nel suo grembo, figlio anche di chi non ha avuto per lei nessuna pietà: è necessario aiutarla, sostenerla, prendersi cura di lei e del suo bambino. Ha bisogno d’affetto, non di una scatola di pillole!
Quando il bambino nascerà, la donna potrà decidere se tenerlo o se abbandonarlo in modo che altri possano averne cura. Con una grande certezza, però: quella di non aver contribuito a quella follia di distruzione e di morte che in un attimo ha inteso cancellare la sua dignità di donna, il suo mondo, le sue aspirazioni, le sue speranze. La vera comprensione verso la donna comporta, in questi casi, un aiuto concreto per la sua persona e per la vita del figlio.
Maria Luisa Di Pietro
Istituto di Bioetica
Università Cattolica
del Sacro Cuore — Roma
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(1) Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae sul valore e l’inviolabilità della vita umana, del 25-3-1995, n. 13.
(2) Ibidem.
(3) Ibidem.
(4) The New England Journal of Medicine, vol. 328, n. 5, 4-2-1993, pp. 354-355.
(5) Étienne-Émile Baulieu, Il punto sull’RU-486, in JAMA. The Journal of the American Medical Association. Edizione italiana, vol. 2, n. 1, gennaio 1990, pp. 5-13 (p. 12).
(6) Giovanni Paolo II, enc. cit., n. 58.