Misericordiosi e giusti come il re della parabola, perché solo chi perdona sarà perdonato.
di Michele Brambilla
«Nella parabola che leggiamo nel Vangelo di oggi», afferma Papa Francesco all’Angelus del 13 settembre, «[…] troviamo per due volte questa supplica: “Abbi pazienza con me e ti restituirò” (Mt 18,26-29)». Il Pontefice osserva che «la prima volta è pronunciata dal servo che deve al suo padrone diecimila talenti, una somma enorme, oggi sarebbero milioni e milioni di euro. La seconda volta viene ripetuta da un altro servo dello stesso padrone. Anche lui è in debito, non verso il suo padrone, ma verso lo stesso servo che ha quel debito enorme. E il suo debito è piccolissimo, forse come lo stipendio di una settimana». Benché le cifre in gioco siano irrisorie, il servo malvagio sceglie di non esercitare nei confronti del “collega” la medesima misericordia di cui è stato oggetto.
«Il cuore della parabola è», infatti, «l’indulgenza che il padrone dimostra verso il servo con il debito più grande», che è la medesima che Dio tiene nei nostri confronti: «l’evangelista sottolinea che “il padrone ebbe compassione – non dimenticare mai questa parola che è proprio di Gesù: “Ebbe compassione”, Gesù sempre ebbe compassione – [ebbe compassione] di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito” (Mt 18,27)».
Constata amaramente il Santo Padre: «quanta sofferenza, quante lacerazioni, quante guerre potrebbero essere evitate, se il perdono e la misericordia fossero lo stile della nostra vita! Anche in famiglia, anche in famiglia: quante famiglie disunite che non sanno perdonarsi, quanti fratelli e sorelle che hanno questo rancore dentro», nell’attesa di “avere giustizia”. Ma «nell’atteggiamento divino la giustizia è pervasa dalla misericordia, mentre l’atteggiamento umano si limita alla giustizia. Gesù ci esorta ad aprirci con coraggio alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia lo sappiamo. C’è bisogno di quell’amore misericordioso, che è anche alla base della risposta del Signore alla domanda di Pietro che precede la parabola. La domanda di Pietro suona così: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?” (Mt 18,21). E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18,22)», iperbole che nel linguaggio rabbinico dell’epoca significa sempre.
Impegnativo, ma necessario se si vuole essere veri discepoli di Cristo. Il Papa confida: «oggi, al mattino, mentre celebravo la Messa, mi sono fermato, sono stato colpito da una frase della prima Lettura, nel libro del Siracide. La frase dice così: “Ricorda la fine e smetti di odiare”. Bella frase! Pensa alla fine! Pensa che tu sarai in una bara… e ti porterai l’odio lì? Pensa alla fine, smetti di odiare! Smetti il rancore», perché avremo tutti un unico Giudice imparziale.
Si comprende allora pienamente il significato di una delle domande del Padre nostro, «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12): «queste parole contengono una verità decisiva. Non possiamo pretendere per noi il perdono di Dio, se non concediamo a nostra volta il perdono al nostro prossimo. È una condizione: pensa alla fine, al perdono di Dio, e smettila di odiare; caccia via il rancore, quella mosca fastidiosa che torna e torna. Se non ci sforziamo di perdonare e di amare», ammonisce il Pontefice, «nemmeno noi verremo perdonati e amati».
Dopo la preghiera mariana il Papa ricorda l’incendio nel campo profughi sull’isola di Lesbo e chiede alle tante manifestazioni in corso nel mondo di rimanere nell’alveo della protesta pacifica.
Lunedì, 14 settembre 2020