Marco Invernizzi, Cristianità n. 69 (1981)
L’inaudito appoggio democristiano al disegno di legge che modifica gli organi collegiali, proposto dalle sinistre, sancisce una sorta di «compromesso storico» scolastico che avrà come effetti deleteri, tra gli altri, quello di introdurre la conflittualità tra genitori e studenti, contrapposti in comitati distinti, e quello di compromettere l’azione didattica ed educativa degli insegnanti a causa del nuovo e accresciuto potere di interferenza degli organi collegiali stessi. In questo mese di gennaio il disegno di legge dovrà essere discusso in aula al Senato, e la DC sarà costretta a giustificare pubblicamente l’assurdo appoggio accordatogli; inoltre, le varie associazioni cattoliche operanti nel mondo della scuola potranno, se vorranno, in occasione del dibattito in Senato, trovare una ottima occasione per correggere pubblicamente il giudizio superficiale e pilatesco fornito inizialmente su questo sovversivo disegno di legge. La coraggiosa reazione contraria da parte dei veri insegnanti, uniti nei sindacati autonomi e quindi non legati alle sette partitiche, segno di speranza per chi non vuole ancora rassegnarsi a una scuola succube della demagogia, del totalitarismo, della Rivoluzione.
Intervista alla professoressa Rita Calderini
«Compromesso storico» contro la scuola
La scuola italiana è, da alcuni mesi, al centro di una vasta e ulteriore azione rivoluzionaria che mira a rendere operante, in essa, quel «compromesso storico» nella società che è, insieme a quello regionale e locale, premessa indispensabile alla definitiva realizzazione del «compromesso storico» a livello nazionale, cioè all’ingresso ufficiale del Partito Comunista Italiano al governo centrale della nostra nazione. Da alcune settimane, infatti, una legge, tendente a modificare in senso ancor più sovversivo i già deleteri organi collegiali, ha cominciato il suo iter parlamentare, ottenendo l’approvazione della Commissione Pubblica Istruzione della Camera e giungendo, proprio in questi giorni, alla Commissione Pubblica Istruzione del Senato.
Abbiamo posto delle domande intorno alle principali caratteristiche di questa legge e alle nefaste conseguenze per l’ordinamento scolastico che deriverebbero dalla sua ormai probabile approvazione parlamentare, alla professoressa Rita Calderini, segretaria del Comitato Nazionale Associazione Difesa Scuola Italiana (CNADSI) e direttrice del mensile del Comitato, La Voce del CNADSI, che ci ha anche brevemente riassunto l’azione svolta da questo coraggioso Comitato nei suoi diciotto anni di vita, spesi per la difesa morale e culturale della scuola contro la demagogia e il totalitarismo socialcomunista e la complicità democristiana.
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D. Recentemente è stata approvata dalla Commissione Pubblica Istruzione della Camera la legge 1144, che modifica gli organi collegiali nella scuola statale. Potrebbe spiegare come si sia arrivati a questa nuova legge?
R. Visto il decrescere dell’interesse e della partecipazione di studenti e famiglie agli organi collegiali in atto dal 1974 in poi, le forze politiche di sinistra già nel novembre 1979 erano riuscite ad ottenere l’illegale rinvio delle elezioni scolastiche, limitatamente alla categoria degli studenti, elezioni svoltesi poi nel febbraio 1980, sia perché temevano una sconfitta, sia perché tendevano ad una revisione della legge in senso ancor più demagogico-assembleare, per recuperare anche attraverso la scuola quanto specialmente il PCI aveva perduto presso l’elettorato nelle elezioni politiche del 3 giugno 1979.
D. Quali sono i punti più deleteri contenuti nella nuova legge?
R. Le novità più nefaste sono la istituzionalizzazione delle assemblee di classe (docenti e genitori nella scuola dell’obbligo e docenti, genitori e studenti nelle medie superiori), rese obbligatorie tre volte all’anno. Queste assemblee avrebbero il diritto di «discutere le linee generali della programmazione didattico-educativa, l’andamento della classe», di «realizzare attraverso l’incontro e il dibattito la partecipazione delle componenti scolastiche al migliore svolgimento dell’attività della classe» di «formulare proposte al consiglio ed ai docenti della classe», proposte che, per altro, il collegio dei docenti deve considerare «nell’adottare le proprie deliberazioni motivandone l’eventuale non accoglimento». A ciò si aggiungono la istituzione obbligatoria di comitati di genitori e di comitati di studenti (previsti nelle medie superiori).
I comitati studenteschi avrebbero, tra l’altro, a disposizione 6 ore settimanali extraorario ed il 10% dell’orario scolastico (cioè circa 3 ore settimanali), nonché la gestione di un decimo delle spese correnti, e la possibilità di ricorrere ad «esperti» esterni per iniziative «culturali sportive e ricreative» e per «lo svolgimento di insegnamenti ed attività elettivi per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse». Questo significa che fatalmente la scuola seria e costruttiva resterebbe schiacciata e paralizzata dalla pletora di ingombrantissimi organi collegiali che avrebbero, oltre a tutto, poteri di interferire nell’azione didattica ed educativa. Si calcola che in una scuola media superiore di 40 classi (8 sezioni di 5 classi ciascuna) gli organi collegiali sarebbero 86! È evidente che una tale legge instaurerebbe una conflittualità permanente anche nelle scuole più tranquille e metterebbe nell’impossibilità di insegnare secondo scienza e coscienza i professori migliori, che verrebbero a trovarsi soli, o quasi, davanti a gruppi facilmente strumentalizzati da abili mestatori. Oltre a tutto questo, è evidente anche l’intento di contrapporre gli studenti ai genitori nei rispettivi comitati, dai quali uscirebbero proposte eterogenee e spesso contrastanti: il che avverrebbe nonostante la ingenua fiducia di quei «moderati» che credono alla propaganda democristiana, illusi di potere, con questi nuovi organi, controllare la scuola di Stato, contrastando l’azione sovversiva delle forze socialcomuniste. Non occorre essere profeti per prevedere che avverrebbe il contrario.
Un altro punto della legge estremamente pericoloso è la burocratizzazione dei distretti, che, a poco a poco, dovrebbero soppiantare in sede locale l’opera dei Provveditorati, moltiplicando le spese e divenendo centri partitici di potere clientelare. Questo provvedimento avrebbe un riflesso diretto anche nelle assegnazioni obbligatorie dei ragazzi a determinate scuole, poiché essi verrebbero definitivamente chiusi anche per legge in «bacini di utenza» senza possibilità di evasione, secondo il principio del divide et impera, già operante ora con gravi inconvenienti, soprattutto per lo zelo di alcuni consigli di istituto (animati da fegatosissimi «genitori democratici») e della pubblica amministrazione, ma per ora non ancora stabilito per legge. Perciò chi non avesse la possibilità di frequentare una scuola non statale sarebbe costretto a subire quella statale imposta anche legalmente dal distretto.
D. Quali sono le forze culturali e politiche che hanno promosso e guidato questo disegno di legge nel percorso parlamentare?
R. L’iniziativa di questa legge è partita dalle sinistre associate (PCI e PSI appoggiati dai repubblicani), ma la DC, che in un primo tempo sembrava voler resistere alle pressioni socialcomuniste, dal Ministero Sarti (oggi Bodrato) in poi, ha abbracciato in pieno il programma delle sinistre. Con Scozia (DC), relatore di maggioranza alla Camera del nefasto disegno di legge, è arrivato a dichiarare euforicamente che «questo è uno dei momenti più significativi di tutta questa legislatura in materia di riforma scolastica», giudizio che alla sen. Bonazzola (PCI) è sembrato «eccessivo» (1). Senza commento! Ora, dal 19 novembre in poi, il disegno di legge è in discussione alla Commissione Pubblica Istruzione del Senato in sede referente, perchè, per richiesta del PLI, si dovrà anche discutere in aula nel gennaio 1981 e la DC dovrà pubblicamente giustificare davanti ai propri elettori l’assurdo appoggio dato ad un progetto di legge per lei suicida. Ora, in Senato, il relatore di maggioranza sen. Buzzi (DC) afferma che per qualche norma occorre «attenta riflessione», mentre il democristiano sen. Mezzapesa giunge a dire che «la revisione del decreto 416 [istitutivo degli organi collegiali nel 1974] non andava affrontata in maniera parziale ed affrettata su pressioni di piazza» (2) ed il sen. Schiano (uno dei pochi democristiani veramente esperti della scuola e capaci di andare contro corrente con molto coraggio) ha proposto una serie di emendamenti radicali (tra cui spiccano la soppressione delle assemblee di classe e dei comitati con le relative usurpazioni in campo culturale-didattico). Il gruppo DC del Senato avrebbe quindi intenzione di «introdurre modifiche rispetto al testo della Camera». Manterrà tali buoni propositi?
D. Come ha accolto il mondo cattolico questo disegno di legge e l’atteggiamento complice della DC?
R. Il mondo cattolico ufficiale, o sedicente tale, come al solito si è svegliato in ritardo e si è mostrato diviso ed incerto anche in questa occasione, al punto che, nella seduta del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, il gruppo cattolico, rappresentato dalla Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi (UCIIM), dall’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC) e dai sindacati scolastici legati alla CISL, si è astenuto dalla votazione sul disegno di legge insieme con le sinistre, favorevoli al progetto, mentre lo SNALS, ad esso fermamente avverso, votava contro (3). È vero però che, fuori di quella sede, Uciim ed Aimc hanno espresso alcune riserve, ma sempre troppo poche, e in tono troppo fiacco per rappresentare un efficace argine ai cedimenti della DC (4). Che ci siano dissensi nel mondo cattolico lo dice anche Mario Vinciguerra (5), ma evidentemente non lo preoccupano affatto i motivi di tali dissensi quanto piuttosto di «fare quadrato» per impedire che il disegno di legge sia bocciato in Senato, perché, secondo i «cattolici» di questo calibro, la colpa di tutto è sempre dei docenti (di quelli tradizionalisti e retrivi, ovviamente!), che vorrebbero difendere chissà quali privilegi di casta e avrebbero paura, per questo, della nuova normativa. Anzi, secondo il prof. Angelo Marchesi, presidente della Azione Cattolica di Bergamo, «non si può aprioristicamente rifiutare una tale occasione di incontro e di dialogo-confronto solo perché può darsi il caso che qualcuno od alcuni gruppi approfittino dell’occasione per fare del politicantismo fuori luogo e per menare il can per l’aia senza alcun costrutto positivo» (6). (Ad ogni buon conto il prof. Marchesi insegna all’Università!). Tale ottimismo a tutta prova è invece efficacemente attaccato dal prof. Giovanni Gozzer, neoconvertito alle ragioni del buon senso e uscito negli ultimi anni dal fronte del riformismo di regime (meglio tardi che mai!) (7). L’Associazione Genitori (AGE) è invece su posizioni poco esplicite: protesta giustamente per il rinvio delle votazioni scolastiche (il ministro Sarti le ha rimandate di un anno con semplice circolare!), ma evita di dare un giudizio preciso sul disegno di legge. Le ACLI, ovviamente, fin dall’anno scorso auspicavano «una ripresa della partecipazione sociale alla gestione della scuola ed una riforma legislativa degli organi collegiali» (8); e Comunione e Liberazione, nel consueto linguaggio fumoso per iniziati, si preoccupa soltanto di combattere i comitati degli studenti, che, secondo CL, dovrebbero fare da «filtro che promuove ciò che corrisponde agli interessi di chi guida». Evidentemente per CL ha importanza solo la possibilità di svolgere nella scuola la propria azione comunque, sicché la legalizzazione di un «monte ore» del 10% dell’orario scolastico è per CL motivo di soddisfazione. Infatti leggo su Litterae Communionis: «Non è inutile ricordare che insegnanti e studenti di CL hanno condotto a favore del monte ore lunghi dibattiti ed in diversi luoghi utili sperimentazioni. In particolare l’apertura dentro l’orario scolastico di uno spazio utilizzabile al di là della rigida struttura didattica attuale, da chiunque avesse ipotesi di lavoro da proporre, ci pareva un importante passo avanti verso un reale pluralismo» (9). Quindi per i dirigenti di CL non contano, ovviamente, i molti ragazzi mandati allo sbaraglio quale facile preda delle ben più potenti e ben più abili organizzazioni di sinistra, né la impressionante degradazione della cultura e della preparazione specifica di tanti giovani condannati a perdere tempo, speranze ed ideali nella sempre più deficitaria scuola italiana di Stato.
D. Quale è stata la reazione del mondo della scuola ed in particolare dei docenti al disegno di legge che modifica gli organi collegiali?
R. Ho già detto come le associazioni cattoliche ed i sindacati legati alla CISL si siano comportati pilatescamente in sede di Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, anche se poi sia UCIIM sia AIMC hanno fatta qualche dichiarazione contraria al disegno di legge. I docenti veri, non legati al mondo partitico, sono invece in grande agitazione: lo si deduce dalle ferme prese di posizione dello SNALS, che ha espresso il suo chiaro dissenso in parecchie occasioni. Anche il (SNADAS) Sindacato Autonomo Dipendenti Amministrazione Scolastica, che raggruppa i dirigenti, Provveditori compresi, ha manifestato il suo netto dissenso e, fatto inaudito, dal convegno dei dirigenti della Pubblica Istruzione (Stresa 7-9 ottobre 1980) è uscito un documento insolitamente drastico contro il disegno di legge (10).
Parere fermamente contrario ha espresso in più occasioni il nostro CNADSI (tra l’altro, in una mozione molto chiara votata all’unanimità nel convegno del 12 ottobre 1980). Anche riviste scolastiche indipendenti come Avio e I diritti della scuola non fanno che esporre validamente le ragioni degli oppositori, mentre il PLI milanese, rendendosi interprete del dissenso di tanti docenti e genitori, ha tenuto un convegno a Milano il 18 ottobre 1980 e ne ha fatto uscire gli atti in questi giorni. Vanno infine segnalati i molti articoli di Federico Orlando su Il Giornale nuovo e di Dino Tieri su Il Tempo, quasi completamente dedicati alle buone _ragioni del no al disegno di legge. Si può vedere anche lo stillicidio di lettere dei lettori a Il Giornale nuovo. Sicché, se la legge passerà, la DC potrà ottenere il brillante risultato di aver disgustato ancora una volta gli elementi migliori tra i docenti ed i genitori e di spingerli alle prossime elezioni tra le braccia del PLI, posto che la destra, scolasticamente parlando, non prende efficaci posizioni ed è sempre troppo legata alla nefasta politica scolastica dell’ultimo fascismo, da Bottai in poi, politica che ha rappresentato un pessimo precedente per quella attuale.
Per concludere, del disegno di legge in questione gli unici soddisfatti sono il PCI e compagni: la sen. Bonazzola, anzi, nel convegno citato, definì una «leggina molto parziale» quella in discussione, facendo intendere che il PCI, poi, farà di più e di meglio per conquistare tutta la scuola con tutto il potere. Le sinistre estreme, infine, mentre da un lato cantano vittoria anche per la «dura sconfitta» inflitta alla «DC ed alle forze integraliste del mondo cattolico che si era opposto brutalmente [ma quando mai?] alle lotte degli studenti», pretendono, in tempi brevi, uno «statuto dei Diritti Democratici degli Studenti», con richieste assai facili da immaginare. Tolgo la citazione da un delirante volantino del 10 ottobre 1980 firmato da FGCI, FGR, PDUP e MFD.
D. Il CNADSI è sempre stato in prima fila nella difficile battaglia contro la demagogia e il totalitarismo nella Scuola; potrebbe fare, per i nostri lettori, una breve storia di questa lunga testimonianza nel mondo scolastico, spiegando anche quali sono le ragioni di principio che fondano l’opera del CNADSI?
R. Fare la storia completa dell’azione del nostro CNADSI nei suoi quasi 18 anni di vita (dal marzo 1963 ad oggi) sarebbe troppo lungo. La nostra associazione, formatasi dopo un rodaggio di due anni (dal maggio 1961) in veste di Comitato di Agitazione, è, per statuto, apolitica ed apartitica e raccoglie coloro (docenti, genitori, studenti e simpatizzanti) che vogliono una scuola migliore, ben lontana da quella che il riformismo di regime ci ha regalato; una scuola dove si insegni e si impari, dove si formino veri uomini e non marionette al servizio di una ideologia di potere. I soci del CNADSI, pertanto, intendono dissociare le proprie responsabilità dal sonnolento conformismo o dalla beota acquiescenza di tanta parte del pubblico italiano, dentro e fuori della scuola. Si tratta, ovviamente, di una azione non facile nè tranquilla: non abbiamo sovvenzioni e non ne vogliamo, per rimanere liberi di dire quanto in coscienza riteniamo giusto. Non pensiamo di essere infallibili, ma facciamo tesoro anche dei nostri errori, per andare più cauti in avvenire, pur rimanendo sempre fermissimi difensori dei principi e dei valori fondamentali di chi è uomo e vuol distinguersi dalle bestie. La nostra attività si esplica attraverso due convegni annuali (il prossimo sarà a Milano alla fine di marzo) ed attraverso il nostro giornale, La Voce del CNADSI, ormai giunto al 18º anno. Abbiamo pochi amici (ma buoni!), del cui consenso ci onoriamo e molti nemici, che però evitano di rispondere alle nostre critiche o, di polemizzare con noi, perché cerchiamo sempre di affrontare i problemi attenendoci ai fatti e perché non abbiamo mai fatto i portatori d’acqua per nessuno.
D. Oggi, nella scuola come nella società, tutto sembra perduto per chi si oppone francamente, senza «compromessi» o cedimenti, all’avanzata socialcomunista; però, per chi crede che nella storia, a fianco e insieme all’uomo, operi anche Iddio con la sua Provvidenza, la parola disperazione non può esistere. Ora, trasportando questo principio all’interno della battaglia che si sta svolgendo nella scuola, come consiglierebbe di operare a chi si trova a vivere direttamente, o indirettamente tramite i suoi figli, gran parte della sua giornata all’interno del mondo scolastico?
R. È difficile dar consigli agli altri quando si tratta di impegnare la coscienza e di rischiare spiacevoli conseguenze. Ad ogni modo, per quello che valgono, ecco alcuni suggerimenti, anche se la varietà delle situazioni richiederebbe una considerazione differenziata caso per caso.
1. Non accettare mai niente che vada contro o al di là della legge (sulle quali leggi bisogna ovviamente essere bene informati tenendosi al corrente), per esempio il monte ore, le assemblee ed i collettivi extralegali, le riunioni con estranei non autorizzati, ecc. ecc. In questi casi si deve dichiarare per iscritto ed ufficialmente il proprio dissenso e non collaborare neppure con una silenziosa presenza.
2. Pretendere sempre che tutto venga messo per iscritto con firma e testimoni validi, in modo che ciascuno (utili idioti compresi) si assuma le proprie responsabilità. Spesso, all’idea di scrivere e di uscire allo scoperto, c’è chi batte in ritirata.
3. Agire sugli onesti male illuminati o pavidi (colleghi, genitori, studenti), spiegando chiaramente le singole situazioni e i precisi doveri di chi le deve affrontare.
4. Protestare per iscritto sempre davanti alla violenza, alla illegalità, alla ingiustizia. Può essere pericoloso, è vero, con i tempi che corrono, ma a volte, paradossalmente, proprio chi è più duro nella difesa di ciò che è giusto, è più rispettato.
5. Mantenere una condotta irreprensibile, moralmente e culturalmente: chi vuol difendere la scuola deve frequentare la scuola con competenza ed onestà, ciascuno al proprio posto di docente, genitore o studente, senza esorbitare mai dai propri compiti, ma anche dimostrando serietà ed impegno nel proprio lavoro.
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«È venuto», come ha scritto inopinatamente il democristiano Alfredo Vinciguerra, «[…] il tempo della ragione: la fase in cui si può ragionare pacatamente sulle cose da farsi, e sul come farle» (11).
Forse, è vero, è proprio venuto il tempo della ragione: ma non certo della retta ragione, cristianamente intesa, bensì, al contrario, della raison rivoluzionaria, che al servizio del Nuovo Principe, il Partito Comunista Italiano, mira a smantellare ciò che resta dell’istruzione scolastica, dando veste legale alle richieste sovversive dello spontaneismo sessantottesco con la benevola complicità della classe dirigente democristiana (12).
Si può realizzare così, anche nella scuola, nel massimo riserbo possibile, quel «compromesso storico» che pur gli italiani hanno già dimostrato di non volere in nessun modo (13). Non resta, ancora una volta, che la speranza nella Provvidenza, la quale «sconsiglia la disperazione e suggerisce ogni possibile reazione, anche se, umanamente parlando, tardiva: “meglio tardi che mai!”» (14).
a cura di Marco Invernizzi