Giovanni Paolo II, Cristianità n. 321 (2004)
Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, del 12-1-2004, n. 3, in L’Osservatore Romano, Città del Vaticano 12/13-1-2004. Titolo redazionale.
Le comunità di credenti sono presenti in tutte le società, espressione della dimensione religiosa della persona umana. I credenti si aspettano dunque legittimamente di poter partecipare al dibattito pubblico. Purtroppo bisogna osservare che non è sempre così. In alcuni Paesi europei siamo testimoni, in questi ultimi tempi, di un atteggiamento che potrebbe mettere in pericolo il rispetto effettivo della libertà di religione. Se tutti sono d’accordo di rispettare il sentimento religioso degli individui, non si può dire altrettanto per il “fatto religioso”, vale a dire per la dimensione sociale delle religioni, dimenticando in questo gli impegni assunti nel quadro di quella che allora si chiamava la “Conferenza sulla Cooperazione e la Sicurezza in Europa”. Spesso viene invocato il principio della laicità, di per sé legittimo, se viene inteso come distinzione tra la comunità politica e le religioni (cfr. Gaudium et spes, n. 76). Tuttavia, distinzione non vuol dire ignoranza! La laicità non è laicismo! Essa non è altro che il rispetto di tutte le credenze da parte dello Stato, che assicura il libero esercizio delle attività di culto, spirituali, culturali e caritative delle comunità dei credenti. In una società pluralista, la laicità è un luogo di comunicazione tra le diverse tradizioni spirituali e la nazione. I rapporti tra Chiesa e Stato, al contrario, possono e devono dar luogo a un dialogo rispettoso, portatore di esperienze e di valori fecondi per il futuro di una nazione. Un sano dialogo tra lo Stato e le Chiese — che non sono concorrenti ma interlocutori — può, senza alcun dubbio, favorire lo sviluppo integrale della persona umana e l’armonia della società.
La difficoltà di accettare il fatto religioso nello spazio pubblico si è manifestata in modo emblematico in occasione del recente dibattito sulle radici cristiane dell’Europa. Alcuni hanno riletto la storia attraverso il prisma delle ideologie riduttrici, dimenticando ciò che il cristianesimo ha apportato alla cultura e alle istituzioni del continente: la dignità della persona umana, la libertà, il senso dell’universale, la scuola e l’Università, le opere di solidarietà. Senza sottovalutare le altre tradizioni religiose, resta il fatto che l’Europa si è affermata nel tempo stesso in cui veniva evangelizzata. E, in tutta giustizia, bisogna ricordare che, solo poco tempo fa, i cristiani, promuovendo la libertà e i diritti dell’uomo, hanno contribuito alla trasformazione pacifica dei regimi autoritari, nonché al ripristino della democrazia nell’Europa centrale e orientale.