Mauro Ronco, Cristianità n. 107-108 (1984)
Un approccio ai testi dell’accordo di revisione del Concordato Lateranense e del protocollo addizionale, in attesa della conclusione dei lavori della commissione paritetica – incaricata di trovare soluzione ai problemi relativi agli enti e ai beni ecclesiastici, nonché agli impegni finanziari dello Stato verso le necessità religiose del popolo cattolico – e, quindi, dello scambio degli strumenti di ratifica.
Dopo la firma del 18 febbraio 1984
Concordato: una revisione nella linea della separazione
1. Per comprendere qualcosa circa il significato dei concordati tra la Chiesa e gli Stati moderni occorre anzitutto riflettere sul fatto che il «mondo» basato sul rifiuto di Dio e della sua legge nutrì, nutre e nutrirà sempre la più radicale ostilità nei confronti della Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo (1).
La città degli uomini, comprendendo in questo concetto sia la società nel suo momento di vita organica che lo Stato come organizzazione strutturale e giuridica della vita sociale, entra necessariamente nella sfera di attrazione tanto della Chiesa che del «mondo» e si orienta ora più verso l’una ora più verso l’altro a seconda che accetti volontariamente o subisca indirettamente, nell’ordinamento politico, nel costume, nel dispiegarsi dei rapporti economici, maggiormente la influenza benefica della Chiesa ovvero la soffocante atmosfera del mondo.
Se la città si ordina secondo la legge di Dio ed è docile all’insegnamento della Chiesa, l’odio contro la Chiesa stessa che il «mondo» alimenta senza posa, non giunge a organizzarsi e a giovarsi delle pubbliche istituzioni, del potere dell’autorità costituita, dei grandi mezzi di comunicazione di massa, ma permane allo stato fluido e indeterminato, coagulandosi soltanto in occasioni sporadiche e in periodi limitati di tempo. Se la città, invece, rifiuta la legge di Dio e dà sfogo alla triplice concupiscenza che alberga nel cuore di ogni uomo, oltre a dis-articolare sé stessa fino al caos, dispone le sue istituzioni in modo da ridurre il più possibile la influenza della Chiesa, tentando di soddisfare le esigenze fondamentali dei cittadini – soprattutto quelle postulanti una espressione sociale – con la creazione di un sistema che si pone come globalmente sostitutivo della Chiesa nel campo della educazione, dell’insegnamento, della informazione, dell’assistenza, della beneficenza, ecc.
2. Lo Stato moderno, attraverso il principio della separazione tra la Chiesa e lo Stato stesso, divenuto norma di legge con il successo della Rivoluzione francese e propagato nel mondo intero in due secoli di prevaricazioni liberalistiche, socialistiche e comunistiche, rifiuta tematicamente la influenza della Chiesa sulla propria organizzazione giuridica e sulla società da esso dominata. La Chiesa si è sempre opposta al principio della separazione non perché – come qualcuno, anche tra i cattolici, purtroppo ha sostenuto e non manca di sostenere – voglia trarre da questo rifiuto privilegi per sé e per le istituzioni viventi nel suo seno, ma perché sa che tale principio significa – e ha significato nella esperienza storica – opposizione tematica e organizzata della città degli uomini a lasciarsi evangelizzare dalla Chiesa.
Per la città umana separarsi dalla Chiesa comporta il disarticolarsi e il dis-organizzarsi, facendosi schiava del «mondo» e delle sue concupiscenze. Lo conferma la storia politica e sociale degli ultimi duecento anni, nel corso dei quali il principio della separazione è servito a formare il quadro istituzionale al cui interno i potenti del mondo hanno dis-organizzato la legislazione, l’amministrazione, la giurisdizione e il costume, violando sistematicamente la legge di Dio, fino al punto di pretendere di «legalizzare» la uccisione dell’essere umano innocente nel grembo materno, con le varie disposizioni legislative permissive e favoreggiatrici dell’aborto volontario.
3. Da quando il principio della separazione viene affermato legislativamente con il successo della Rivoluzione francese, e i principi e i governi, anche formalmente, proclamano il loro agnosticismo o addirittura il loro ateismo, la Chiesa si preoccupa di dare attuazione a due compiti fondamentali: a. continuare a proclamare la verità circa la natura dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, riaffermando soprattutto il suo ineliminabile diritto e dovere di fare penetrare il Vangelo e la sua legge nella città umana, influenzandone le istituzioni e i singoli membri; b. salvaguardare la propria libertà, al fine di potere svolgere, sia pure in condizioni di compromesso, oppure di concorrenza con lo Stato o di minorata tutela, la propria missione in relazione a materie che lo Stato moderno ritiene di sua esclusiva competenza, come il matrimonio, la scuola, l’assistenza e la beneficienza.
Questi due momenti sono sempre rimasti congiunti nella cura pastorale della Chiesa: da un canto, la proclamazione, anche polemica, della verità circa la necessaria e benefica influenza che essa esercita sulla società e sullo Stato, in vista del pieno adempimento della sua missione salvifica; da un altro canto, la negoziazione con lo Stato di ambiti predeterminati di libertà per lo svolgimento della propria missione in quei campi che lo Stato moderno, nella sua pretesa totalitaria, ascrive al proprio monopolio.
Quanto più lo Stato si fa, da agnostico, ateo e anticlericale, e quanto più impedisce l’esercizio della libertà della Chiesa, tanto più, con prodigiosa e soprannaturale costanza, la Chiesa proclama la verità circa il dovere dello Stato stesso di rispettare la legge di Dio e tanto più opera concretamente per diffondere la sua presenza nella società attraverso la fondazione e il mantenimento di innumerevoli istituzioni sociali.
4. Nel quadro del conflitto tra la Chiesa e lo Stato moderno, conflitto che costituisce una espressione della irriducibile ostilità del «mondo» contro la Chiesa, si collocano i vari concordati moderni, a partire da quello stipulato nel 1801 tra Pio VII e Napoleone I, fino all’accordo tra la Santa Sede e il governo italiano firmato il 18 febbraio 1984.
Questi patti sono caratterizzati dal fatto che gli Stati tentano di sottomettere la Chiesa al diritto comune, privandola inoltre di ogni esenzione o immunità, legata alla specificità della sua missione, mentre essa cerca di preservare la sua libertà di azione, mettendo principalmente in luce e tentando di fare rispettare dagli Stati la dimensione e la proiezione sociale della religione, soprattutto con riferimento a quei settori, come il matrimonio, la scuola, l’assistenza e la beneficenza, in cui si gioca la formazione dell’uomo e si decide l’avvenire della società.
Il concordato stipulato tra la Santa Sede e il Regno d’Italia l’11 febbraio 1929, sancendo la chiusura del conflitto apertosi con la formazione del regno stesso e con lo spossessamento violento dei diritti della Chiesa – chiusura definita nei suoi estremi giuridici dal trattato lateranense firmato contestualmente al concordato -, volle porre le basi della conciliazione tra la Chiesa e lo Stato in Italia. Prescindendo dalla valutazione delle intenzioni con cui il governo italiano del tempo si indusse alla firma del patto e prescindendo anche dal giudizio sulle conseguenze degli accordi e sulla loro pratica attuazione, va detto che il concordato del 1929 segna un momento di arresto nella realizzazione del programma di separazione tra la Chiesa e lo Stato. Quest’ultimo, infatti, proclamava la religione cattolica fondamento della vita associata e riconosceva a Roma un carattere sacro, in quanto sede del Romano Pontefice e centro della Cristianità. Si adeguava, poi, sia pure con qualche limitazione, ai princìpi della Chiesa sulla celebrazione e sul contenuto del matrimonio tra cattolici: riconosceva i diritti della Chiesa in materia di educazione, di assistenza e di beneficenza, sia pure limitandone l’esercizio con una serie di vincoli e di controlli; sottraeva in una certa misura gli enti ecclesiastici al regime del diritto comune; imponeva allo Stato una serie di oneri finanziari in relazione alle necessità religiose dei cittadini e riconosceva agli ecclesiastici alcune esenzioni, imposte dalla natura del loro ministero.
5. L’accordo stipulato il 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e il governo italiano segna l’abbandono della maggiore parte degli istituti grazie ai quali il processo di separazione era stato parzialmente arrestato dal concordato del 1929. In proposito va detto che il quadro giuridico di fondo non è più caratterizzato dall’intento della conciliazione, bensì dallo spirito della separazione. È vero che l’art. 1 del nuovo accordo dichiara «che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», e che si impegnano «al rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese» (2).
Ma il principio relativo alla asserita «reciproca collaborazione» è privato della espressione giuridica del suo fondamento e svuotato delle sue conseguenze pratiche dall’art. 1 del Protocollo addizionale, firmato dalle parti ed esplicativo delle norme dell’accordo, in cui, proprio in relazione all’art. 1 del testo, si dichiara: «Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano». Ora, ciò considerato, più non si comprende quali possano essere le basi giuridicamente vincolanti e le direttrici di fondo della affermata «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese», sì che tale formula potrebbe addirittura costituire una remora, se non un ostacolo, alla condanna che la Chiesa e i suoi Pastori dovessero pronunciare nei confronti di atti legislativi e di provvedimenti amministrativi che lo Stato italiano approvasse in futuro – come già ha emanato nel passato – in contrasto con i più essenziali principi della morale individuale e sociale, anche se presentati, secondo la ideologia materialistica e socialistica, come strumenti di promozione del bene dell’uomo e di progresso del paese.
Nel nuovo quadro normativo occorre anzitutto che i cattolici sollecitino i loro Pastori affinché non cessino di proclamare la dottrina della Chiesa sui rapporti tra essa e la città politica.
Infatti, la proclamazione pubblica della verità su questi punti è tanto importante che l’accordo firmato il 18 febbraio 1984 non avrà nel tempo effetti esclusivamente negativi sulla vita di quel lembo di cristianità che sopravvive in Italia e sulla nazione tutta soltanto se tali principi saranno organicamente e tematicamente diffusi, con cura pastorale, tra i fedeli e il popolo, e non saranno trascurati e negletti, se non apertamente o maliziosamente sconfessati, presentando quanto pattuito nelle presenti condizioni come un quadro ideale.
6. Quanto al contenuto dell’accordo firmato il 18 febbraio 1984 va detto, in via generale, che non sembra siano state adeguatamente tematizzate le materie oggetto della ipotizzata «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese».
Tale «limitatezza di orizzonti» (3) è stata avvertita dalla presidenza della Conferenza Episcopale Italiana che, nella occasione, ha diffuso una dichiarazione nella quale si sottolineano gli «obiettivi limiti» insisti nella modificazione del Concordato Lateranense e si lamenta che restino, per esempio, «fuori dall’esplicita normativa dell’accordo siglato aree significative di problemi nuovi e urgenti, quali la promozione della vita e della famiglia, l’educazione sanitaria e i servizi socio-sanitari e assistenziali» (4).
Il fatto che questi problemi siano stati lasciati fuori dal nuovo accordo, contro la speranza e le aspettative della Chiesa italiana, come sembra di potersi ricavare dalla dichiarazione della presidenza della conferenza episcopale, costituisce indice non insignificante del fatto che, anche praticamente e sul terreno delle opere concrete, lo Stato rifiuta o non desidera la collaborazione della Chiesa, pretendendo di sostituirsi globalmente, con la sua burocrazia dis-organizzata e dis-organizzante, al dispiegamento operoso delle istituzioni a fondamento religioso.
Ma vi è di più. Sul terreno della disciplina degli enti e dei beni ecclesiastici nonché degli impegni finanziari dello Stato italiano in relazione ai suoi doveri verso le necessità religiose della stragrande maggioranza del popolo italiano, le parti non sono pervenute ad accordo alcuno, tanto che l’art. 8 n. 6 del testo siglato istituisce una commissione mista paritetica per lo studio e la formulazione delle norme che dovranno regolare le materie in esame.
Sul tema matrimoniale, poi, oltre all’ampliamento della sfera di controllo della giurisdizione dello Stato nei confronti delle sentenze emanate dai tribunali ecclesiastici, va segnalato che il contenuto del matrimonio, anche canonicamente celebrato, resta regolato dalla legge civile, tanto che la Santa Sede ha ritenuto necessario fare inserire, all’ultimo comma dell’art. 8 dell’accordo, la dichiarazione secondo cui essa «nell’accedere al presente regolamento della materia matrimoniale […] sente l’esigenza di riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della Chiesa per la dignità ed i valori della famiglia, fondamento della società» E questa dichiarazione è la prova – se pure ve ne fosse bisogno – di quanto poco concordino se non i firmatari dell’accordo di revisione del Concordato Lateranense, certamente i princìpi primi di cui sono rispettivamente portatori!
Restano, è vero, sia pure con una previa proclamazione di immanentismo da parte della Repubblica italiana e con una parificazione della posizione di chi vuole avvalersi dell’insegnamento religioso e di chi non vuole avvalersene, tanto la garanzia statale che sarà fornito l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, quanto l’assicurazione che non verrà fatta mancare l’assistenza spirituale a coloro che si trovano in condizioni particolari, come, per esempio, quanti prestano servizio nelle- forze armate.
Si tratta però, come ognuno può facilmente constatare, del riconoscimento di alcuni tra i più elementari diritti alla libertà di praticare la religione, che soltanto gli Stati apertamente e formalmente totalitari misconoscono.
Per trarre le fila di quanto esposto, va conclusivamente affermato che l’accordo del 18 febbraio 1984 si inscrive nel quadro del processo di secolarizzazione che la società italiana ha subito in modo doloroso, particolarmente nel secondo dopo-guerra.
Nell’accordo si riconosce ancora una sfera di libertà per la Chiesa e la necessaria proiezione sociale della sua missione. Ma i cattolici debbono sapere fare tesoro di questa libertà e di questo riconoscimento, al fine di promuovere una operosa e articolata presenza nella società e al fine di testimoniare il loro cristianesimo di fronte ai falsi giudizi del mondo. I cattolici debbono altresì servirsi della stessa libertà per proclamare la vera dottrina sui giusti rapporti tra la Chiesa e la città umana, che non possono essere di separazione e di reciproca indifferenza, bensì di collaborazione nella distinzione dei fini, di ordine soprannaturale e temporale, che la Chiesa e lo Stato rispettivamente perseguono. Quindi, insieme alla denuncia delle condizioni interne ed esterne alla Chiesa e al mondo cattolico che hanno portato al presente arretramento e alla ripresa del processo di separazione tra Chiesa e Stato, essi devono ricordare che, nel caso «su questo o su quello, su un punto o sull’altro ci si veda nella necessità di cedere davanti alla superiorità delle forze politiche» – supponendo che di superiorità dei malvagi si tratti e non di complesso di inferiorità dei buoni -, «in questo caso non si capitola, si pazienta. È ancora necessario, in caso simile, che si salvi la dottrina e che si mettano in opera tutti i mezzi efficaci per avviare la cosa a poco a poco al fine al quale non si rinuncia» (5).
Mauro Ronco
Note:
(1) Cfr., per esempio, 1 Gv. 2, 15-16; ibid. 5, 4; ibid. 5, 19; Gv. 15, 18-19; Gc. 4, 4.
(2) Il testo dell’Accordo di revisione e quello del Protocollo addizionale, in L’Osservatore Romano, 19-2-1984.
(3) MONS. ATTILIO NICORA, vescovo ausiliare di Milano, L’ora della volontà, in Avvenire, 19-2-1984.
(4) La dichiarazione della Cei, ibidem.
(5) PIO XII, Discorso a gruppi di padri di famiglia francesi, del 18-9-1951, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XIII, p. 243. Cfr. anche CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 29 in fine.