Giovanni Cantoni, Cristianità n. 15 (1976)
In data 13 dicembre 1975, il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana ha pubblicato una dichiarazione di importanza assolutamente particolare, nella quale viene ribadito a chiare lettere che “non si può essere simultaneamente cristiani e marxisti” e che “l’aborto è un crimine, è l’uccisione dell’innocente“.
Si tratta di due affermazioni inequivoche, che trovano certo eco profonda in ogni cattolico degno di questo nome e suscitano anche sensi di riconoscenza filiale verso i Pastori che le hanno così autorevolmente e drasticamente ribadite e riproposte. E il testo e il contesto di questa presa di posizione dell’episcopato italiano sono a tal punto chiari e pregnanti da richiedere non una esegesi, ma piuttosto da sollecitare implicitamente ogni sforzo affinché l’ammonimento non venga rapidamente dimenticato, incalzato e sommerso dalla marea montante di dichiarazioni di diverso valore, che la stampa quotidiana veicola indiscriminatamente.
A questo fine mi è parso di qualche utilità compiere il tentativo di rendere perspicua, comprensibile e quindi di evidenziare al massimo la profondità del richiamo, per favorire una lunga durata della sua eco.
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Dunque, il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana ha ribadito che ogni cattolico deve opporsi in modo fermo e inequivocabile al marxismo e alla regolamentazione dell’aborto, cioè alla legalizzazione dell’omicidio.
E marxismo e aborto possono parere – almeno a prima vista – termini eterogenei, riuniti e accostati nel testo dell’autorità ecclesiastica sulla base di una coincidenza, di una situazione occasionale, sotto la spinta di un contesto che li fa episodicamente convergere o semplicemente affiancare.
Le cose stanno veramente così? Sono questi i termini del problema? Il rapporto tra marxismo e aborto è un rapporto puramente estrinseco, che verrà ricordato soltanto sulla base della dichiarazione del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana? Oppure questo accostamento è tale da suscitare echi più profondi e quindi da meritare una attenzione maggiore e durevole?
Penso certamente che marxismo e aborto siano legati da vincoli molto profondi e che questo legame meriti di essere illustrato o almeno richiamato, affinché non sembri puro artificio il loro collegamento, teso a “bloccare” su un controverso tema di morale e di costume la sensibilità di ogni autentico anticomunista, e sull’anticomunismo quella di ogni uomo pensoso della condizione morale della società.
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Volendo provare che la dichiarazione dell’autorità ecclesiastica non può essere accusata di favorire collusioni machiavelliche, devo mostrare il collegamento radicale tra comunismo e aborto e quindi l’inevitabile necessità che anticomunisti e antiabortisti si riconoscano uniti e al limite coincidenti, pena il denunciare rispettivamente una superficiale comprensione e del comunismo e dell’aborto.
Comincio dall’aborto. L’aborto, “uccisione dell’innocente“, soppressione “a richiesta di parte” del feto, del piccolo d’uomo inabitante nel seno materno, si situa su una linea permissiva di rivendicazioni “liberali” e “individualistiche”, che passano attraverso il divorzio e puntano nella direzione del “diritto al suicidio” e quindi in quella dell’eutanasia. È espressione della volontà del più forte di vedere sanzionata e legalizzata la sua condizione di più forte, affinché, attraverso l’uso di questa forza, possa essere più felice o meno infelice – a seconda delle gradazioni di decadenza! -, o perfino impedire l’infelicità altrui, di volta in volta il nascituro “quasi certamente tarato” o difficilmente “umanizzabile”, o il prossimo tutto “in esplosione demografica”.
Qualunque siano le motivazioni o giustificazioni addotte a suo sostegno, l’aborto si situa in un contesto in cui è assente qualsiasi norma oggettiva, in un contesto tecnicamente amorale – indipendentemente dall’abbondante uso di termini come “morale superiore”, “morale laica”, e altre varianti sul tema del “fare ciò che si vuole”, travestendolo da dovere. E un contesto amorale, per chi creda nell’esistenza di una morale oggettiva, di una legge oggettiva, è un contesto immorale.
La prospettiva di una norma morale, di una legge oggettiva, è una prospettiva il cui punto di partenza è costituito da un rapporto con Dio creatore e quindi legislatore. Sì che la negazione della morale oggettiva è negazione della religione e quindi negazione di Dio.
L’aborto è, dunque, espressione di ateismo e la militanza per il suo libero esercizio è pratica testimonianza di ateismo militante, di negazione di ogni valore assoluto e conseguente affermazione assoluta di relativismo.
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Il comunismo, dal canto suo, è sintesi e punto di convergenza della filosofia tedesca, del socialismo francese e del pensiero economico “classico”.
Senza prendere in considerazione, in questo momento, le implicazioni socio-economiche, la sua filiazione dalla filosofia tedesca ne fa espressione di idealismo, cioè di una filosofia del divenire, di una filosofia che si rovescia nella prassi e che non riconosce alcun valore permanente, che nega perfino la stessa nozione di valore in senso proprio, in quanto nega precedentemente quella di verità.
La sua unica “verità” si esprime nella negazione della possibile esistenza della verità, e il suo carattere “pratico” nell’aggressione nei confronti di ogni stabilità e verità – dal diritto alla morale individuale – sì che meglio non si può definire di relativismo aggressivo e totalitario.
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Nel relativismo, morale e filosofico, si incontrano dunque aborto e comunismo, e la loro convergenza non è occasionale, in un testo dell’autorità ecclesiastica, ma è opportunamente presente in tale documento perché è verificabile in radice. Infatti, come ho detto, il comunismo è la “metafisica” della immoralità e quindi dell’aborto, e l’aborto è espressione “morale” del comunismo.
Stando così le cose, come è possibile non legare la lotta contro l’aborto alla lotta contro il comunismo? E viceversa, che credibilità ha un anticomunismo che non sia anche coerentemente antiabortista? Come immaginare che sia seria la difesa di una legge morale oggettiva, se fatta solo per alcune sue norme o pratiche conseguenze, e soprattutto senza tenere conto che una legge oggettiva rimanda a un legislatore?
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Tra i nemici dell’aborto e del comunismo – disgiuntamente o congiuntamente – non mancano gli estimatori del pluralismo.
Con questo termine si può indicare la diversità e la organicità sociale, e in questa accezione non può che essere apprezzato.
Può però anche indicare la diversità ideologica tipica delle democrazie moderne, e non solo come fatto di cui prendere atto, ma anche come ideale da perseguire.
Il prendere atto di una situazione è segno di realismo e di saggezza, ma idealizzarla può non essere ugualmente lodevole, soprattutto nel caso del pluralismo ideologico.
Il pluralismo ideologico, infatti, fornisce all’uomo, al cittadino – nella scuola sedicente neutra e nel processo ininterrotto di educazione permanente svolto dai mezzi di comunicazione sociale – una molteplicità di punti di mira che non possono essere globalmente perseguiti e verificati dal singolo e che quindi producono esclusivamente scetticismo filosofico e soggettivismo morale.
Da questa situazione consegue che ogni tentativo di vincolare a una prospettiva stabile – fosse pure quella del diritto positivo – chi è affetto da soggettivismo morale, lo spinge quasi meccanicamente a difendere il proprio soggettivismo e a passare dall’indifeso scetticismo al relativismo dottrinale armato e militante.
Secondo questi schematici passaggi il pluralismo ideologico è terreno ideale di coltura per la immoralità e quindi per il comunismo, cioè per l’immoralità che non tollera più di essere corretta e che da caduta episodica è divenuta vizio, infrazione abituale.
Che credito dare, dunque, agli estimatori del pluralismo ideologico – autentici politeisti -, quando si dichiarino antiabortisti o anticomunisti, o entrambe le cose?
Qualcuno potrebbe rimproverarmi di avere tratto spunto dalla dichiarazione del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale e di essermene poi allontanato troppo, se non addirittura di essere uscito dal seminato. Non mi pare proprio. Credo piuttosto di essermi limitato a far venire in superficie e a mettere in luce i legami profondi che uniscono aborto e comunismo, sì che il testo si rivela pastoralmente puntuale anche perché dottrinalmente coerente, e costituisce un implicito appello ad anticomunisti e ad antiabortisti perché si rendano conto della fondatissima necessità di legarsi in una comune battaglia contro il relativismo morale e filosofico, che si appresta a trovare il proprio garante nello Stato totalitario, vigile, come Erode, affinché non nasca la verità, o, se nata, venga subito spenta dal veneficio pluralistico.
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Dopo avere tributato ogni lode alla dichiarazione e prima di chiudere queste mie considerazioni, per onestà e amore di completezza devo segnalare anche il fatto che il testo ha suscitato in me, nella sua ultima parte, una piccola incertezza pratica, che non voglio e non posso tacere.
Il documento, infatti, termina con un riferimento a realtà, nate “in questi ultimi anni“, che “danno alimento e sostegno alla speranza“. Ho meditato e ho volto intorno lo sguardo alla ricerca di queste “iniziative notevoli“, ma confesso di non averle identificate.
Qualcuno, in privato, mi ha suggerito Comunione e Liberazione, ma ho dovuto respingere l’indicazione, perché evidentemente contraddittoria con l’intima, profonda coerenza della dichiarazione. Sarebbe forse possibile indicare quale fonte di speranza un movimento che, per combattere l’aborto propugna la diffusione dei contraccettivi (1) e che inoltre è tanto ambiguo – o tragicamente chiaro! – a proposito del marxismo e nei suoi rapporti con ogni sorta di comunisti?
Altri mi ha invitato a pensare a una resipiscenza, a un raddrizzamento della DC, ma ho dovuto subito respingere anche questo suggerimento. Come posso ricordare i 23 democristiani assenti in sede di votazione dell’articolo 1 della nuova legge sull’aborto, e che quindi hanno permesso la pubblica affermazione secondo cui non è reato, e immaginare che il Consiglio Permanente veda nel tradimento una ragione di speranza? (2). Come posso pensare che vengano denunciate “forme di schiavitù […] già parzialmente in atto nello stesso nostro Paese“, per quindi indicare nei colpevoli i possibili liberatori?
Altri ancora mi ha perfino suggerito di esaminare l’ipotesi che il Consiglio Permanente della CEI abbia fatto riferimento al MSI-DN e forse più precisamente alla Costituente di Destra. Mi è parso un consiglio peregrino, ma, a parte l’anticomunismo spesso solo verbale, mi sono subito venuti in mente i 5 rappresentanti missini che hanno brillato per la loro assenza insieme ai succitati democristiani, e ho smesso l’esame dell’ipotesi (3).
In questa incertezza, colpito dalla chiarezza meridiana delle precedenti parti del documento, ho deciso di sperare solo in Dio, attendendo precisazioni maggiori sulla opportunità di affiancare una speranza umana a quella teologale. E sempre in attesa, poi, come dicevo al Signor Cardinale Poletti, scrivendogli a nome di Alleanza Cattolica, di vedere gli appelli trasformarsi in fervore di opere pastorali e apostoliche, “iniziative notevoli” in cui fin da ora sono disposto a sperare.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr. bambini di troppo – il problema dell’aborto in Italia, a cura di Emilio Bonicelli, quaderni di CL n. 1, Milano 1975, p. 57.
(2) Cfr. il Giornale nuovo, 5-12-1975.
(3) Ibidem.