Massimo Introvigne, Cristianità n. 62-63 (1980)
Intervista a Michel de Penfentenyo
Contro l’aborto e contro la Rivoluzione
In una intervista concessa a Cristianità, Michel de Penfentenyo prende spunto dalla lotta che, in Francia come in Italia, viene condotta dalle associazioni contro-rivoluzionarie contro la «legalizzazione» dell’aborto, per ricordare le caratteristiche metodologiche del processo rivoluzionario, che opera tanto nella sfera pubblica quanto in quella privata. In conseguenza di ciò viene indicata la necessità che i militanti contro-rivoluzionari impostino la strategia di riconquista della società sia unendo le forze delle singole persone coraggiose disposte a reagire, che non mancano certamente, sia proclamando pubblicamente la verità della dottrina sociale naturale e cristiana.
In occasione del Congresso Europeo Per la Vita svoltosi a Roma, Cristianità ha rivolto alcune domande a Michel de Penfentenyo, segretario e delegato generale del Centre d’Etudes pour une Politique de la Vie e autore di numerosi saggi sulla strategia della azione contro-rivoluzionaria.
D. La tragedia mondiale dell’aborto mostra come il processo rivoluzionario sia entrato in una fase nuova, per certi versi post-comunista, che discende in interiore homine ed estende la sovversione dal corpo sociale al corpo umano. A questo approfondimento dei fini della Rivoluzione corrisponde anche un approfondimento, o comunque una modifica, dei suoi metodi e delle sue strategie?
R. L’anno scorso, durante una tavola rotonda organizzata dalla televisione francese per commentare lo sceneggiato Holocaust, fu posta al ministro della sanità Sig.ra Veil, lei stessa ex-internata, la domanda perché tanti ebrei si fossero lasciati deportare senza opporre praticamente alcuna resistenza. Madame Veil rispose: «La deportazione non venne all’improvviso ma dopo tanti piccoli passi, dall’indicazione “ebreo” sulla carta d’identità fino alla stella gialla. Queste vessazioni furono accettate: si pensò che era meglio non reagire perché non capitasse di peggio. Così si arrivò alla deportazione, perché ogni piccolo consenso indebolisce la coscienza, ogni piccola concessione riduce la capacità morale di resistere».
Certamente senza volerlo, la Sig.ra Veil riscopriva così l’itinerario con cui, secondo la ricostruzione di sant’Ignazio, il demonio esercita la sua pressione su di noi: paura, silenzio, dubbio. Chi ha paura tace; chi tace, comincerà a dubitare.
Con questa metodologia la Rivoluzione ha imposto l’aborto: senza chiedere apertamente di aderire alle sue ideologie, ma chiedendo a ciascuno «piccoli fatti», piccole viltà di quartiere, quelle piccole concessioni che domanda al magistrato di provincia. Così, dunque, la contraccezione – tanto adatta a indebolire la resistenza morale – ha preceduto l’aborto: una statistica dimostra che in tutti i paesi d’Europa la Rivoluzione, prima di arrivare al libero aborto, ha atteso che i contraccettivi fossero diffusi almeno presso il 30% delle donne. Insieme la Rivoluzione conosce bene l’interazione tra il pubblico e il privato e organizza (con l’aiuto dei mass media) episodi clamorosi, come in Francia per l’aborto il processo di Babigny, per dare la scalata alla sensibilità popolare con una metodologia della manipolazione tipicamente sovversiva.
D. Di fronte a queste strategie rivoluzionarie, quali devono essere, a suo avviso, le principali linee di azione della Contro-Rivoluzione?
R. La lezione che noi dobbiamo trarre dalla meccanica del processo rivoluzionario è che la società è un tessuto di micropoteri (del capofamiglia, dell’imprenditore, delle autorità locali): quando questi perdono la loro coesione la Rivoluzione può permettersi tutto.
La battaglia sarà perduta se non sapremo impostare una strategia della riconquista, organizzare un processo di resistenza, suscitare a nostra volta «piccoli fatti», piccoli gesti di persone coraggiose che potranno avere una grande risonanza.
Qualche volta può sembrare di predicare nel deserto, ma Pascal cominciava col dire ai suoi conoscenti atei «prendi dell’acqua benedetta», e qualche volta si convertivano. Bisogna aver fiducia nell’efficacia di quello che facciamo: il disfattismo, come dice Thibon, cela una tentazione diabolica, è il «male morale che cerca di giustificarsi».
D. Questo significa forse che la battaglia contro-rivoluzionaria va combattuta oggi soprattutto nel privato?
R. No, naturalmente, ed è anzi opportuno dissipare gli equivoci che possono sorgere al riguardo. La Contro-Rivoluzione ha bisogno di «piccoli fatti» privati ma questi sono suscitati da fatti pubblici, dall’opera di militanti, che proclamano pubblicamente la verità sociale.
Questo soprattutto vorrei dire ai militanti di Alleanza Cattolica: ogni testimonianza pubblica alla verità sociale non è mai inutile, anche se non ne vediamo il riscontro immediato, perché in ogni caso fa sorgere decine di agere contra che ostacolano la marcia della Rivoluzione. E tutto questo si ripercuote anche sulle istituzioni pubbliche: non si tratta, infatti, di abbandonare i problemi politici generali rifugiandosi nel privato di ciascuno, ma di arrivare alle istituzioni attraverso una strategia realistica.
D. Delineata la strategia, quali pensa che siano le prospettive della Contro-Rivoluzione? Quali sono oggi i maggiori motivi di preoccupazione, e quali invece le ragioni che consentono di sperare?
R. Il maggior problema della Contro-Rivoluzione, che trova nella Chiesa il suo punto di riferimento naturale, è oggi la drammatica mancanza di coraggio delle dirigenze cattoliche «ufficiali» e di tanta parte del clero e della stessa Gerarchia. Forse solo il Pontefice potrebbe intervenire sul corpo episcopale e restituirci dei vescovi coraggiosi, che non siano soltanto membri di commissioni anonime, ma capi autentici delle loro diocesi.
Per contro, una ragione di speranza è rappresentata dalla presenza, talora insospettata, di superstiti energie sociali.
D. Alleanza Cattolica parla di una «Italia sommersa» che impedisce il totale affermarsi della Rivoluzione…
R. Anche noi, nella nostra campagna contro l’aborto, abbiamo scoperto una «Francia sommersa», sul presupposto che dove c’è gente che ha delle responsabilità personali, là ci sono ancora delle buone radici sociali. Abbiamo visitato su larga scala medici, avvocati, magistrati, sindaci: il trenta-quaranta per cento di queste persone ha aderito alla battaglia per la vita. Il successo ci ha riconfortato soprattutto presso le autorità locali dei piccoli centri. Si tratta di staccare questi uomini dai partiti politici, di indurli a considerarsi non come rappresentanti periferici di una ideologia, ma come detentori di una micro-autorità reale.
Naturalmente, per parlare a uomini come questi occorrono persone adeguate. Si torna così a quella che è la più evidente, ma anche la più importante, esigenza per la Contro-Rivoluzione: formare militanti adeguati, sul piano naturale come su quello soprannaturale della spiritualità e della preghiera.
a cura di Massimo Introvigne