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Convegno Internazionale Contro l’Ottantanove. Miti, interpretazioni e prospettive, promosso da Alleanza Cattolica e da Cristianità (Roma, 25 e 26 febbraio 1989). Introduzione alla terza sessione (26 febbraio 1989)

7 Ottobre 2011 - Autore: Alleanza Cattolica

Luigi Negri

 

 

1. Gli “immortali princìpi dell’ Ottantanove” sono stati proclamati come diritti di un uomo che si concepisce “contro” o, comunque, “indipendentemente” dalla dimensione religiosa dell’esistenza e dall’annunzio cristiano della salvezza in Gesù Cristo. Sono stati pertanto raccolti dentro quel formidabile e drammatico progetto di autocoscienza ed autorealizzazione “ateistica” dell’uomo, che caratterizza la cultura e la vita sociale dell’umanità europea — e quindi mondiale — in questi ultimi duecento anni della sua storia.

Intendiamoci bene: i princìpi dell’Ottantanove hanno potuto essere proclamati con quella forza e con quella pretesa di definitività perché esisteva, prima e oltre la posizione laicistico-ateistica, il grande flusso della tradizione cristiana, che aveva definitivamente fondato il valore della persona umana nel Mistero di Gesù Cristo e aveva quindi posto al centro della storia, come fattore dinamico e creativo di essa e in essa, l’uomo, nella pienezza della sua libertà e responsabilità, in quanto interlocutore di Dio, e solo di Dio.

L’aver legato i diritti dell’uomo a un contesto laicistico e ateistico, che è responsabile della violenta e profonda scristianizzazione della cultura e della società, li ha obbiettivamente inseriti in un contesto culturale e vitale che li ha rapidamente e inesorabilmente svuotati e negati. Ad esempio, le preoccupazioni di garantire la libertà personale del cittadino di fronte allo Stato sono state negate dall’introduzione in pochi anni della “legge dei sospetti”, vergognoso strumento di innominabili ingiustizie e addirittura vendette.

 

2. Nel processo di scristianizzazione della cultura e della società europea non è l’uomo a essere affermato come valore assoluto, ma lo stesso processo di creazione sociale e quindi, ultimamemnte, l’obbiettivo di ogni creazione sociale: lo Stato come strumento di organizzazione razionale e definitivo dei rapporti sociali. Questo è l’unico frutto storico della Rivoluzione francese: la creazione di uno Stato teoricamente “assoluto”, che non riconosce cioè nessuna istanza superiore a sé — né la legge di Dio, né la coscienza personale dei cittadini — e che si concepisce come dotato di un potere “che non ammette confini” (1).

Se assoluto è lo Stato, il soggetto della storia è lo Stato, e quindi le forze ideologiche e politiche che si votano alla sua costruzione. L’uomo enfatizzato come soggetto della storia, diviene, invece, oggetto delle più diverse manipolazioni.

Nella penetrante analisi della situazione dell’uomo nella società contemporanea contenuta nella Gaudium et spes si dice sostanzialmente: in una società irreligiosa l’uomo rischia di essere considerato come “una particella di natura o un elemento anonimo della città umana” (2).

I drammatici tempi in cui viviamo, segnati dalla vergogna delle manipolazioni genetiche e dalle colossali tragedie di genocidi perpetrati con l’istaurazione di sistemi politici ideologicamente totalitari, confermano l’esattezza di questa disamina.

 

“[…] partendo da sistemi e da scelte che intendevano assolutizzare l’uomo e le sue conquiste terrene, si è arrivati oggi a mettere in discussione precisamente l’uomo stesso, la sua dignità ed i suoi valori intrinseci, le sue certezze eterne e la sua sete di assoluto. […]

 

“Le tragiche vicende di questo secolo, che hanno insanguinato il suolo d’Europa in spaventosi conflitti fratricidi; l’ascesa di regimi autoritari e totalitari, che hanno negato e negano la libertà e i diritti fondamentali dell’uomo; i dubbi e le riserve che pesano su un progresso che, mentre manipola i beni dell’universo per accrescere l’opulenza ed il benessere, non solo intacca l’habitat dell’uomo, ma costruisce anche tremendi ordigni di distruzione; l’epilogo fatale delle correnti filosofico-culturali e dei movimenti di liberazione chiusi alla trascenedenza: tutto questo ha finito per disincantare l’uomo europeo, spingendolo verso lo scetticismo, il relativismo, se non anche facendolo piombare nel nichilismo, nella insignificanza e nell’angoscia esistenziale” (3).

Se l’esito storico e sociale della Rivoluzione francese e dei processi politici cui essa ha dato luogo è la creazione di uno Stato teoricamente ed eticamente “assoluto”, tale esito pregiudica gravemente anche un innegabile sforzo compiuto, a partire dalla Rivoluzione francese stessa, di individuare “modalità tecniche” dell’esercizio del potere statale più partecipate e, quindi, più democatiche.

La democrazia non può essere soltanto una struttura di garanzia formale: come ci ricorda Giovanni Paolo II i “diritti dell’uomo” non possono essere semplicemente “lettera”: debbono diventare “spirito” (4).

 

3. In tale direzione mi permetto un ultimo suggerimento.

Occorre ritrovare al più presto una base antropologica sifficiente a fondare la libertà e i diritti dell’uomo e a iniziare il processo culturale del loro riconoscimento e della loro tenta attuazione nella società.

Il senso religioso e la presenza della realtà ecclesiale nel mondo sono ,la condizione obbiettiva della possibilità di una democrazia sostanziale e non formale. La democrazia è un costume — prima e più profondamente che una tecnica — che deve garantire il riconoscimento delle diversità culturali esistenti e promuoverne la presenza in funzione del massimo di libertà, di ciascuno e di tutti, nel rispetto reciproco dei diritti e dei doveri.

L’errore della Rivoluzione francese è stato quello di avere violentemente imposto “una sola base culturale” come fondamento della vita sociale e come forma delle istituzioni e delle strutture.

La “nuova evangelizzazione” cristiana, che ha in Giovanni Paolo II il Maestro e il Testimone (5), tende a superare questa presunta unità di partenza e a richiamare ciascun soggetto culturale e sociale al compito della propria identità e della propria responsabilità sociale storica.

Nell’orizzonte della nuova evangelizzazione prende forma non l’utopia di uno Stato perfetto, ma il processo, eminentemente umano perché sostanzialmente etico, della creazione della “civiltà della verità e dell’amore” (6): il massimo della giustizia e della pace per tutti gli uomini.

Luigi Negri

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