Di Michele Brambilla
«Il Vangelo di oggi (cfr Mt 4,12-23)», spiega Papa Francesco all’inizio dell’Angelus del 26 gennaio, III domenica del Tempo ordinario secondo la liturgia romana, «ci presenta l’inizio della missione pubblica di Gesù. Questo avvenne in Galilea, una terra di periferia rispetto a Gerusalemme, e guardata con sospetto per la mescolanza con i pagani», che avevano costellato il territorio di colonie greco-romane presso le quali anche gli Ebrei trovavano lavoro.
Il Papa invita a considerare il fatto che «da quella regione non ci si aspettava nulla di buono e di nuovo». Così, infatti, avrebbero un giorno risposto i farisei a Nicodemo: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!» (Gv 7,52). «[…] invece», rimarca Francesco, «proprio lì Gesù, che era cresciuto a Nazaret di Galilea, incomincia la sua predicazione». Cerca i primi ascoltatori lì dove il popolo ebraico è costretto, volente o nolente, ad aprirsi all’interazione con altre genti.
In quel contesto particolare il Messia «[…] proclama il nucleo centrale del suo insegnamento sintetizzato nell’appello: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Questo annuncio», osserva il Pontefice, «è come un potente fascio di luce che attraversa le tenebre e fende la nebbia, ed evoca la profezia di Isaia che si legge nella notte di Natale: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che camminavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1). Con la venuta di Gesù, luce del mondo, Dio Padre ha mostrato all’umanità la sua vicinanza e amicizia». E rimarca: «Esse ci sono donate gratuitamente al di là dei nostri meriti. La vicinanza di Dio e l’amicizia di Dio non sono un merito nostro: sono un dono gratuito di Dio», che supera a piè pari tutte le distinzioni tra “circoncisi” e “incirconcisi” nella carne.
Afferma il Pontefice: «l’appello alla conversione, che Gesù rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, si comprende in pienezza proprio alla luce dell’evento della manifestazione del Figlio di Dio, su cui abbiamo meditato nelle scorse domeniche. Tante volte risulta impossibile cambiare vita, abbandonare la strada dell’egoismo, del male, abbandonare la strada del peccato perché si incentra l’impegno di conversione solo su sé stessi e sulle proprie forze, e non su Cristo e il suo Spirito. Ma la nostra adesione al Signore non può ridursi ad uno sforzo personale, no». Infatti, «credere questo anche sarebbe un peccato di superbia. La nostra adesione al Signore non può ridursi ad uno sforzo personale», errore nel quale sono già caduti, nei secoli passati, pelagiani, catari, puritani e giansenisti, ma «deve invece esprimersi in un’apertura fiduciosa del cuore e della mente per accogliere la Buona Notizia di Gesù. È questa – la Parola di Gesù, la Buona Notizia di Gesù, il Vangelo – che cambia il mondo e i cuori!».
È quindi richiesta, anzitutto, una fede “fiduciale”, frutto di un incontro personale con il Signore. «È da qui che comincia il vero percorso di conversione. Proprio come è capitato ai primi discepoli: l’incontro con il Maestro divino, col suo sguardo, con la sua parola ha dato loro la spinta a seguirlo, a cambiare vita mettendosi concretamente al servizio del Regno di Dio».
Lunedì, 27gennaio 2020