di Massimo Gandolfini
Non è la prima e purtroppo non sarà neppure l’ultima, ma certamente è una triste vicenda quella del piccolo Charlie Gard. Vicenda complessa in cui si sono sovrapposti aspetti di varia natura, da quello scientifico a quello affettivo, e forse proprio per questo emblematica di un tempo come il nostro segnato dallo smarrimento di una verità sicura cui riferirsi e guardare tutti insieme. Fermo restando il doveroso rispetto della sofferenza dei genitori, e proprio per evitare che la morte di Charlie e il dolore della famiglia siano eventi accaduti invano, qualche considerazione abbiamo il dovere proporla. Possiamo limitarci a due aspetti, che riguardano entrambe il valore della vita. Di Charlie come di ogni altro bimbo sulla faccia della terra.
Resta ancora un passaggio che merita una delicata attenzione. Si dice che ora si deciderà quando e come interrompere il sostegno vitale. Charlie è affetto da una patologia che progressivamente spegnerà la fabbrica energetica del suo corpicino. E, quindi, morirà di morte naturale. Perché non accompagnarlo con tutto l’amore che i genitori gli hanno donato fino a quel naturale momento? Non c’è dolore fisico da lenire, magari accelerando la morte. C’è invece il coraggio di attendere, la forza di accompagnare e condividere. Siamo proprio sicuri che la morte di un uomo, qualsiasi uomo, possa essere imposta e comminata per legge? Esiste una vita talmente indegna di essere vissuta, da legittimare di negarle il nostro rispetto totale fino al momento della morte naturale? Sento i brividi, ma purtroppo – una volta di più – è la “cultura dello scarto” che segna un punto a suo favore.
Intervento pubblicato su “InTerris”, giornale on-line il 26 luglio 2017.