Neri Capponi, Cristianità n. 4 (1974)
Nell’attuale polemica sul divorzio uno degli argomenti più capziosi a favore di questo istituto è avanzato proprio da sedicenti cattolici fin troppo ansiosi di separare Stato e Chiesa, corpo e anima, ficcati ciascuno di essi in caselle ben separate fra loro e senza possibilità alcuna di comunicazione (salvo poi servirsi di queste “separazioni” per fare con più agio il proprio comodo!). Si dice da costoro che altra cosa è il matrimonio canonico e altra cosa quello civile, che l’uno non può aver influenze sull’altro e che se pure quello civile è solubile, quello canonico rimane indissolubile, per cui come cattolici si può benissimo credere a un matrimonio religioso che vincola gli sposi per tutta la vita e allo stesso tempo difendere il divorzio civile, tanto quest’ultimo istituto non può avere alcuna influenza sul matrimonio religioso.
Sta di fatto che la legge fa costume, soprattutto se è una legge permissiva, per cui se si toglie, ad esempio, il limite di velocità negli abitati, confidando che solo gli automobilisti più pressati ed esperti spingeranno al massimo i loro motori, si vedrà che purtroppo tutti approfitteranno della mancanza del limite e nessuno penserà a moderare la velocità, autodisciplinandosi. Se i divorzi sono stati finora pochi in Italia, gli è che finora il costume, sorretto dalla legge, faceva funzionare i matrimoni, ma ora che i matrimoni possono anche funzionare perché “tanto c’è il divorzio”, il numero di coloro che pensano di avvalersi di questo istituto tende ad aumentare, come dimostrano le cifre in continuo, impressionante, aumento delle separazioni legali in questi anni “divorzisti”, tutte fatte in vista della scadenza di quel fatale quinquennio che permette di trasformare la separazione in divorzio. Divorzio “chiama”, infatti, divorzio, come è ulteriormente dimostrato, sia dalle leggi sempre più permissive in materia di scioglimento del vincolo in quei paesi che hanno questo istituto giuridico da lungo tempo, sia dal crescente numero di divorzi in questi stessi paesi, fenomeno che si comincerà a registrare anche da noi, come ho detto, tra qualche anno, se la legge sul divorzio dovesse perdurare.
Ma, come è logico, anche se da pochi avvertito, il divorzio “chiama” anche nullità: cioè la presenza del divorzio in una legislazione provoca anche l’aumento dei matrimoni invalidi o nulli (cosa, come si sa, ben diversa dal divorzio, che significa lo scioglimento di un matrimonio valido); e quando si parla di matrimoni nulli non si intende solo quelli civili, ma anche quelli religiosi, la cui stabilità certi cristiani dicono non essere minacciata dal divorzio e dal conseguente costume che questo instaura. Come si sa, infatti, il matrimonio, secondo la dottrina cristiana, è dotato di alcune proprietà essenziali che, se respinte in tutto o in parte dai nubendi, rendono invalido il consenso matrimoniale: queste proprietà riguardano il fine del matrimonio (la prole) e il suo modo di costituirsi tra un uomo e una donna, a esclusione di altri (unità, cioè fedeltà reciproca) per tutta la vita (indissolubilità). Sta di fatto che l’allentamento dei costumi ha moltiplicato i matrimoni nulli per i motivi suindicati: l’uso dei contraccettivi ha permesso di escludere con più facilità la prole e perciò di fare un “pensierino” in proposito al momento delle nozze: il fatto che l’adulterio non sia più punito, ha favorito la pratica delle relazioni extra coniugali e perciò anche il poter fare propositi in quel senso, sempre al momento del consenso nuziale; l’introduzione del divorzio, poi, permette con assai più facilità di escludere la indissolubilità del vincolo al momento delle nozze.
A questo punto sentiremo dire da quegli stessi messeri di cui ho discorso all’inizio che i veri cristiani (tra cui naturalmente molti di essi si autocomprendono, con quale rispetto per l’umiltà non so…) certe cose non le fanno. E sia, ma ricordo che col criterio dei veri cristiani, dei forti, dei profondi, la Chiesa si riduce a setta e contraddice la volontà salvifica universale del Cristo che è venuto soprattutto per salvare i peccatori, cioè i deboli, e non i “giusti” che non hanno bisogno di penitenza … Si deve invece far sì che il costume renda facile anche ai deboli non solo l’osservanza della legge naturale, ma altresì la pratica cristiana che, già difficile di per sé, è, da un costume contrario, direttamente minacciata: questo lo sanno bene i nostri nemici che proprio su questo puntano per “schiacciare l’infame” di volterriana memoria! Né qui si tratta di imporre ad alcuno una determinata credenza, ma di salvaguardare un costume, cioè la stabilità della famiglia che prima di essere cristiana è semplicemente umana.
Che quanto ho detto sia vero si dimostra proprio dal fatto che quando in Italia non c’era il divorzio (anche prima del Concordato), difficilmente si sarebbe fatto il discorso, oggi, purtroppo, di moda: “ah, se non funziona vuol dire che divorzieremo”, discorso che, in quanto corrisponde a una vera intenzione, rende nullo il matrimonio. Oltretutto, come si sarebbe potuto mandare a effetto il proposito di escludere la indissolubilità, se non c’era modo di divorziare?
Ma c’è di peggio. Nei paesi ove il divorzio è di casa, si è creata addirittura una mentalità che non considera la “permanenza” del vincolo matrimoniale in sé e per sé, in modo assoluto, ma la considera solo “relativamente”, in quanto cioè si oppone a ciò che è meramente effimero e passeggero; per cui, in quelle nazioni, la indissolubilità delle nozze è sempre vista in modo condizionato, in modo, cioè, un po’ più stabile e più duraturo di un paio di scarpe vecchie o di un vestito usato, ma nulla più. Gli è che, come ho detto e ripetuto, siccome la legge crea costume, e il costume influenza il modo di credere, di vedere le cose, nel caso specifico del matrimonio, nei paesi divorzisti da lunga data, diventa, per un’assurda inversione di valori, estremamente difficile per l’uomo della strada (anche cristiano), concepire le nozze secondo lo schema proposto dalla dottrina della Chiesa, con la conseguenza che i matrimoni contratti in quei luoghi sono in moltissimi casi, sacrilegamente, nulli.
È bene pertanto che, anche se da un punto di vista strettamente giuridico la campagna contro il divorzio ha necessariamente un obbiettivo meramente civile (cioè l’eliminazione del divorzio dalla legislazione dello Stato), i cattolici che vi si impegnano non dimentichino che con l’abrogazione della Fortuna-Baslini, anche la stabilità del matrimonio canonico ne risulterà avvantaggiata.
NERI CAPPONI