Michele Brambilla, Cristianità n. 391 (2018)
«Cristo è un ignoto nella cultura contemporanea». Paolo VI e l’ideale missionario
La mattina del 6 febbraio 2018, con il voto favorevole della Congregazione delle Cause dei Santi sulla Positio super miro riguardante il pontefice Paolo VI (1963-1978), già beatificato in piazza San Pietro da Papa Francesco il 18 ottobre 2014, si è definitivamente aperta la strada che condurrà Giovanni Battista Montini (1897-1978) alla gloria della canonizzazione, prevista per il 14 ottobre di quest’anno. È un avvenimento che assume un rilievo straordinario per diversi motivi.
A salire agli onori degli altari è infatti il Pontefice che ha concluso e applicato per primo il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), ha scritto le lettere encicliche Populorum progressio (1967), tuttora una pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa, e Humanae vitae (1968), nella quale fulminò la Rivoluzione sessuale scaturita dal cosiddetto Sessantotto e, contro la ribellione al principio di autorità, ha lanciato il Credo del popolo di Dio, nel 1968. Proprio per questi motivi è risultato all’epoca, come pure posteriormente, inviso a chi perseguiva a tutti i costi una «ermeneutica della discontinuità» (1) nei confronti degli eventi conciliari e a chi, da sempre, ha giurato guerra alla legge naturale e alla civiltà cristiana.
Ai troppi critici del magistero di Papa Montini sfugge, infatti, il filo conduttore che lo ha guidato in questi passaggi: uno spirito autenticamente e drammaticamente missionario, che lo spingeva a un dialogo sincero con il mondo moderno, affinché esso si apra a Cristo e riconosca la radice evangelica di molte delle proprie aspirazioni.
Rispondere con «garbo». Il giovane Montini nella Brescia di Zanardelli
Le radici della missionarietà di Paolo VI si possono reperire nell’epoca e nell’ambiente in cui nacque il 30 settembre 1897, lo stesso giorno in cui moriva colei che un giorno sarebbe stata proclamata patrona delle missioni, santa Teresa di Lisieux (1873-1897).
La Brescia di fine Ottocento era sostanzialmente un «feudo» del garibaldino Giuseppe Zanardelli (1826-1903), più volte alla guida del ministero di Grazia, Giustizia e Culti, secondo la teoria che concepiva la libertà della Chiesa esercitabile entro limiti imposti dallo Stato. Allo strapotere laicistico provava a contrapporsi, ma con «garbo», il giornale Il Cittadino, del quale, nel 1881, divenne direttore un giovanissimo Giorgio Montini (1860-1943), il padre del futuro Papa, nominato, giusto nell’anno in cui Giovanni Battista nacque, rappresentante di Brescia all’interno dell’Opera dei Congressi in sostituzione del beato Giuseppe Tovini (1841-1897). L’Opera era un’associazione di associazioni e rappresentava uno dei primi tentativi di dare una direzione solida ai cattolici italiani nell’azione politica e sociale dopo la Rivoluzione francese (2). La madre di Giovanni Battista, Giuditta Alghisi (1874-1943) (3), figlia di una famiglia nobile del comune bresciano di Verolavecchia, era stata educata a Milano dalle suore «marcelline» — di santa Marcellina (330 ca.-400), sorella di sant’Ambrogio (339/340-397) —, fondate dal beato Luigi Biraghi (1801-1879). Coltissimo sacerdote ambrosiano, mons. Biraghi era stato interdetto dall’insegnamento nel Seminario arcivescovile per volere degli austriaci nel 1848 nel corso delle «purghe» seguite alla partecipazione di chierici milanesi alle cosiddette Cinque Giornate del 18-22 marzo — il movimento insurrezionale antiaustriaco d’ispirazione liberale in quella che allora era la capitale del Regno Lombardo-Veneto, dipendente dall’impero asburgico —, ma era anche uomo del dialogo, fedelissimo al Papa, che lo incaricò nel 1862 di portare la pace nel faziosissimo clero cittadino (4).
La famiglia Montini trasmise al figlio Giovanni Battista l’ideale di un cattolicesimo incarnato, fondato su una pietà robusta e metodica, come richiedeva l’impostazione borromaica che permea tuttora parte significativa del clero lombardo, operoso e «moderato». Questa impostazione venne rafforzata dalla direzione spirituale dell’oratoriano padre Giulio Bevilacqua (1881-1965), creato cardinale nel 1964 da Paolo VI, significativamente senza spostarlo d’incarico. L’ambiente dell’Oratorio confermò nel futuro Pontefice l’idea che la cultura cattolica si dovesse diffondere per attrazione positiva, con l’eleganza e la letizia proprie di san Filippo Neri (1515-1595).
L’apostolato fra gli universitari. Prodromi di responsabilizzazione dei laici
Il momento in cui il sacerdote Montini propone per la prima volta il proprio ideale missionario a un uditorio giovanile è durante il ministero nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI), di cui sarà assistente dal 1923 al 1933, in un mondo cattolico e curiale romano ancora molto restio a riconoscere autonomia all’azione del laicato.
«Don Gibiemme», come veniva affettuosamente soprannominato dai giovani, comincia l’opera di responsabilizzazione dei laici introducendo l’uso di recitare la Liturgia delle Ore e proponendo lo studio accurato di argomenti teologici e filosofici avanzati (5). Si era infatti accorto, come scriveva nel 1934, che «Cristo è un ignoto, un dimenticato, un assente in gran parte della cultura contemporanea» (6) e che bisognava riportarcelo valorizzando quanto di propedeutico si potesse trovare nella cultura moderna. Occorreva, cioè, compiere una nuova inculturazione della fede, come nei primi secoli della Cristianità, accettando di entrare nel gioco democratico per riportare i princìpi cristiani al centro dell’agone pubblico (7).
La simpatia del futuro Paolo VI nei confronti di molti esponenti del partito della Democrazia Cristiana (8) — fino a celebrare personalmente, da Pontefice, il 13 maggio 1978, i funerali del presidente del partito on. Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse —, di cui era stato direttore spirituale nella FUCI, deriva quindi sia da una naturale vicinanza umana nei confronti di chi aveva conosciuto in gioventù, sia dalla condivisione profonda del pensiero formulato dal servo di Dio don Luigi Sturzo (1871-1959), secondo cui «i cattolici debbono ormai agire a tutti i livelli della vita pubblica e per farlo debbono accettare le regole e la logica dell’azione politica» (9), così come si sono configurate nella realtà concreta dell’epoca storica.
La missionarietà poteva essere intesa anche come impegno politico, a patto che non si tornasse al clima di diffidenza reciproca e di giurisdizionalismo — cioè la politica ecclesiastica volta ad estendere il controllo dello Stato sulla vita e sull’organizzazione delle Chiese — esistente prima dei Patti Lateranensi del 1929, che aveva posto ostacoli all’azione evangelizzatrice della Chiesa. I duri contrasti tra la FUCI montiniana e il regime fascista, specialmente nel 1931, quando gli squadristi chiusero e incendiarono sedi dell’Azione Cattolica, oratori e tipografie, mostra come il rapporto fra il cattolicesimo «impegnato» e i regimi autoritari in Europa tra le due guerre non fosse certo idilliaco. Papa Pio XI (1922-1939), con la lettera enciclica Non abbiamo bisogno sulla libertà educativa dei cattolici italiani, del 1931, dà sostanzialmente ragione al proprio collaboratore mons. Montini e così, negli anni del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), il Vaticano divenne un rifugio sicuro per gli oppositori del regime. Molta parte della riflessione, non esente da un qualche desiderio di autentica renovatio christiana della nazione (10), sulle forme che l’Italia avrebbe dovuto adottare nel dopoguerra ha luogo entro i confini di uno Stato straniero e sotto lo sguardo, spesso favorevole, del sostituto alla Segreteria di Stato.
Mons. Montini si tiene tuttavia tendenzialmente lontano dalla politica partitica e, da Pontefice, si limita a indicare alcuni princìpi inderogabili, lasciando la loro applicazione alla legittima autonomia dei laici appena proclamata dal Concilio Ecumenico vaticano II. «Infatti — scrive — la libertà difesa dal cristianesimo non è il libero corso dato al capriccio, agli impulsi, allo scandalo e al vizio, a detrimento altrui e in spregio della legge» (11), specialmente naturale. Il Papa non esita, dunque, a condannare le decisioni di parlamenti a guida democristiana quando cedono su punti fondamentali come il divorzio (1970) e l’aborto (1978), impegnando tutta la Chiesa italiana nei relativi referendum abrogativi e ritenendo una forma di testimonianza inderogabile alla Verità denunciare la manomissione delle fondamenta della dimensione umana (12).
Il Magistero episcopale e pontificio
Il periodo dell’episcopato milanese (1954-1963) permette a mons. Montini di esplicitare ancora una volta la propria idea di missione in tre forme: in primo luogo, con il motto episcopale In nomine Domini, che indicava come il riconoscimento della signoria di Gesù da parte di tutti fosse il fine di ogni sua azione; poi con la lettera quaresimale del 1957, Sul senso religioso, ritenuto innato nell’uomo e da risvegliare; infine con l’indizione, quello stesso anno, della Missione di Milano. Sebbene questa non avesse avuto il successo sperato sul piano numerico, soprattutto nelle periferie operaie segnate dalla povertà e dominate dalla politica comunista, si trattò di un primo tentativo di scuotere ambienti arroccati, in nome di una «Chiesa in uscita», per utilizzare un’espressione cara a Papa Francesco (13). Non a caso proprio allora un giovane sacerdote brianzolo, don Luigi Giussani (1922-2005) — poi monsignore e oggi Servo di Dio —, avvia una nuova modalità di apostolato nelle scuole, dalla quale, dopo il 1968, nascerà il movimento — successivamente internazionale — di Comunione e Liberazione (14).
Paolo VI esplicita il proprio pensiero ecclesiale in due documenti fondamentali: la lettera enciclica Ecclesiam suam, programmatica del pontificato, del 1964, e l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, pubblicata nel 1975, tre anni prima di morire.
Nell’Ecclesiam suam formula la teoria dei «cerchi concentrici»: la Chiesa, cuore e anima del mondo, è chiamata a un dialogo evangelizzatore che si deve sviluppare come le onde le quali, generate da un sasso gettato in uno stagno, raggiungono le sponde più lontane.
Il primo fautore del dialogo è stato Dio stesso nel giardino dell’Eden: «Il colloquio paterno e santo, interrotto tra Dio e l’uomo a causa del peccato originale, è meravigliosamente ripreso nel corso della storia. La storia della salvezza narra appunto questo lungo e vario dialogo che parte da Dio, e intesse con l’uomo varia e mirabile conversazione. […] Il dialogo si fa pieno e confidente; il fanciullo vi è invitato, il mistico vi si sazia» (15). L’ottimismo missionario non significa considerare il mondo perfetto in sé stesso: il dialogo della Chiesa sarà tanto più efficace quanto più approfondirà e testimonierà integralmente la dottrina consegnata dalla Tradizione (n. 64). Il secolo XX, il secolo degli uomini traditi e spogliati dai totalitarismi, rappresenta «l’ora della carità» (16) nel senso precipuamente paolino (1 Cor. 13,7.): «Ciò sia detto della carità verso Dio, che la sua Carità riversò sopra di noi, come della carità che di riflesso noi dobbiamo effondere verso il nostro prossimo, vale a dire il genere umano. La carità tutto spiega. La carità tutto ispira. La carità tutto rende possibile. La carità tutto rinnova» (17).
Sono questi i medesimi binari su cui si muove anche l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, che esprime la consapevolezza che i primi a dover essere evangelizzati sono proprio gli uomini secolarizzati dell’Occidente: «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre» (18). Il riferimento è proprio alla fase burrascosa delle cosiddette invasioni barbariche (secoli IV-IX) e della quasi totale tabula rasa che fecero dell’impero romano cristianizzato: «Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura» (19). Il tesoro da portare a ogni latitudine è Cristo e la dottrina cattolica, che «[…] è insostituibile. Non sopporta né indifferenza, né sincretismi, né accomodamenti» (20).
In un’epoca in cui i missionari europei, sedotti dal progressismo, dimenticavano spesso i princìpi che li avevano mossi, Paolo VI ha dato per primo l’esempio del dialogo autentico prendendo la parola nell’Aula dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, a New York, in un discorso che la propaganda pacifista e progressista tende spesso a ridurre alla ripetizione «mai più la guerra», estrapolata dal contesto e di cui invece il Pontefice offre un’ermeneutica precisa dicendo: «Voi sapete chi siamo; e, qualunque sia l’opinione che voi avete sul Pontefice di Roma, voi conoscete la Nostra missione; siamo portatori di un messaggio per l’intera umanità» (21).
Una riforma liturgica per la missione
Appare allora più comprensibile anche la discussa riforma liturgica del 1970, ispirata alle indicazioni contenute nella costituzione conciliare sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), richiamata dallo stesso Paolo VI durante l’Udienza generale del 19 novembre 1969 con la quale spiegava ai fedeli i cambiamenti in arrivo la I domenica di Avvento di quell’anno. Le modifiche al rito della Messa e all’anno liturgico, e l’ampliamento del Lezionario, furono ritenuti possibili solo una volta confermata la sostanza della dottrina eucaristica (22) e dopo aver preso atto che, a comandarne l’adozione, era l’autorità legittima del concilio ecumenico e del pontefice regnante.
«La riforma — scrive il Pontefice — […] corrisponde ad un mandato autorevole della Chiesa; è un atto di obbedienza; è un fatto della coerenza della Chiesa con se stessa» (23), che si riconosce in un’ecclesiologia che va al di là dell’accentuazione del ruolo del clero seguita alla Rivoluzione protestante (24), per recuperare la metafora del «corpo mistico» di origine patristica (25). Il Messale Romano, uscito dalla riforma del 1970, è uno strumento certamente perfettibile e lo stesso Paolo VI si accorse di alcuni difetti (26), ma preferì attenersi ai risultati della commissione che aveva curato la riforma poiché «vale di più l’intelligenza della preghiera, che non le vesti seriche e vetuste di cui essa s’è regalmente vestita; vale di più la partecipazione del popolo, di questo popolo moderno saturo di parola chiara, intelligibile, traducibile nella sua conversazione profana» (27).
Il Papa preferì seguire più attentamente la successiva riforma liturgica del rito ambrosiano, che si caratterizzò infatti per una maggiore accuratezza testuale, lasciando che fossero questi elementi a rendere più esplicita la sua volontà circa lo stesso rito romano (28). Il cosiddetto Novus Ordo Missae aveva certamente come obbiettivo la semplificazione della liturgia in vista della sua applicazione nella missione ad gentes: tuttavia, la sottolineatura dell’intelligibilità della lingua volgare fa comprendere come, in realtà, Paolo VI pensasse soprattutto alla nuova evangelizzazione dell’Occidente, alla sua restituzione al «pensiero di Cristo» (29).
Un’intenzione riscontrabile in maniera inequivocabile nelle preghiere dette «della riconciliazione», attribuite allo stesso Paolo VI. «Molte volte gli uomini hanno infranto la tua alleanza, e tu invece di abbandonarli hai stretto con loro un vincolo nuovo per mezzo di Gesù» (30). «Noi ti benediciamo, Dio onnipotente, Signore del cielo e della terra, per Gesù Cristo tuo Figlio venuto nel tuo nome: Egli è la mano che tendi ai peccatori, la parola che ci salva, la via che ci guida alla pace» (31).
Il miracolo che condurrà Paolo VI alla canonizzazione sintetizza molti aspetti salienti della sua visione del mondo. Si tratta del proseguimento fino al parto di una gravidanza a rischio dopo che un esame di villocentesi, volto ad appurare che non vi fossero nel feto anomalie cromosomiche, aveva causato «una perdita di acqua» (32), ovvero la perforazione della placenta. In questo miracolo non solo entra potentemente in gioco il valore dell’intangibilità della vita umana, da lui difeso strenuamente di fronte al varo della legge n. 194 del 1978 sull’aborto, ma è pure convocata sul banco degli imputati una visione della tecnica che pretende di sostituirsi a Dio in molti esami prenatali, imposti alle madri come «necessari», di cui si dimostra ancora una volta la pericolosità. Il mons. Montini educatore, diplomatico, arcivescovo ambrosiano e Papa hanno costantemente ripetuto che non vi può essere vero progresso laddove non si rispetta l’inalienabile dignità dell’uomo: «Si può prevedere che questo insegnamento non sarà forse da tutti facilmente accolto: troppe sono le voci, amplificate dai moderni mezzi di propaganda, che contrastano con quella della Chiesa. A dir vero, questa non si meraviglia di essere fatta, a somiglianza del suo divin fondatore, “segno di contraddizione”, ma non lascia per questo di proclamare con umile fermezza tutta la legge morale, sia naturale, che evangelica. Di essa la Chiesa non è stata autrice, né può, quindi, esserne arbitra; ne è soltanto depositaria e interprete» (33), oltre che instancabile testimone.
Michele Brambilla
Note:
1) «All’ermeneutica della discontinuità si oppone l’ermeneutica della riforma, come l’hanno presentata dapprima Papa Giovanni XXIII [1958-1963, santo] nel suo discorso d’apertura del Concilio l’11 ottobre 1962 e poi Papa Paolo VI nel discorso di conclusione del 7 dicembre 1965» (Benedetto XVI, Discorso ai Cardinali, agli Arcivescovi, ai Vescovi e ai Prelati della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, del 22-12-2005).
2) Cfr. Marco Invernizzi, I cattolici contro l’Unità d’Italia? L’opera dei Congressi (1874-1904), Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2002.
3) Cfr. il sito web <http://www.osservatoreromano.va/it/news/lanima-di-casa-montini>, consultato il 21-6-2018.
4) Cfr. Mons. Ennio Apeciti, Come il nardo. Biografia del beato mons. Luigi Biraghi, Centro Ambrosiano, Milano 2006.
5) Cfr. Profilo biografico del Beato, in Congregatio de Causis Sanctorum, Romana canonizationis beati Paoli VI (Ioannis Baptistae Montini) Summi Pontificis (1897-1978). Positio super miro, Roma 2017, p. 2.
6) Cit. in Card. Angelo Scola, Omelia dell’ingresso in Diocesi, del 25-9-2011, in Avvenire, Milano 26-9-2011.
7) Cfr. Mons. Hubert Jedin (1900-1980) (sotto la direzione di), Storia della Chiesa, trad. it., 10 voll. in 13 tomi, Jaca Book, Milano 1979, vol. IX, La Chiesa negli Stati moderni e i movimenti sociali (1878-1914), prefazione all’ed. it. di Mario Bendiscioli (1903-1998), vol. IX, p. 587.
8) Sull’azione politica della Democrazia Cristiana e sulle conseguenze dell’ideologia in essa prevalente — il cattolicesimo democratico — sulla mentalità del popolo italiano, cfr. Giovanni Cantoni, La «questione democristiana», in Cristianità, anno III, n. 10, marzo-aprile 1975, pp. 1-4, ora in Idem, La «lezione italiana». Premesse, manovre e riflessi della politica di «compromesso storico» sulla soglia dell’Italia rossa. In appendice l’Atto di consacrazione dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria, Cristianità, Piacenza 1980, pp. 41-54, e Marco Invernizzi, Origini e sviluppo della questione democristiana nella storia del movimento cattolico dopo la Breccia di Porta Pia: dall’intransigentismo alla subalternità, in Cristianità, anno XXVIII, gennaio-febbraio 2000, pp. 9-15.
9) Mons. Antonio Acerbi (1935-2004), Chiesa e democrazia da Leone XIII al Concilio Vaticano II, Vita e Pensiero, Milano 1991, p. 103.
10) Cfr. Maria Romana De Gasperi, De Gasperi. Ritratto di uno statista, Mondadori, Milano 2008, p. 142.
11) Paolo VI, La società democratica. Lettera «Les prochaines assises», Cristianità, Piacenza 1990, n. 7, p. 8.
12) Cfr. «[…] il corpo sociale persegue il suo fine, che è il bene comune temporale: prefigurazione e preparazione, per gli uomini redenti, di quella “società dei santi” alla quale è destinato il Corpo Mistico di Cristo» (ibid., n. 13, p. 11).
13) Cfr. Mons. Luigi Olgiati (1921-2006), La Missione di Milano, in Giovanni Battista Montini arcivescovo, NED. Nuove Edizioni Duomo, Milano 1983, pp. 247-250.
14) Cfr. Alberto Savorana, Vita di don Giussani, Rizzoli, Milano 2013, pp. 218-221.
15) Paolo VI, Lettera enciclica «Ecclesiam suam», del 6-8-1964, n. 72.
16) Ibid., n.58.
17) Ibidem.
18) Idem, Esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» circa l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, dell’8-12-1975, n. 20.
19) Ibid., n. 4.
20) Ibid., n. 5.
21) Idem, Discorso alle Nazioni Unite, New York 4-10-1965.
22) Cfr. Sacra Congregazione dei riti, Istruzione «Eucharisticum Mysterium» sul culto del mistero eucaristico, del 25-5-1967, e Paolo VI, Credo del popolo di Dio, del 30-6-1968.
23) Idem, Allocuzione in occasione dell’Udienza generale del 19 novembre 1969.
24) Cfr. Gabriele Cislaghi, Perché la Chiesa?, Àncora, Milano 2009, pp. 38-41.
25) «L’azione dello Spirito Santo, per Agostino, realizza una nuova presenza della vita divina nelle creature. Insieme al Padre e al Figlio, è dentro l’anima umana e unisce a sé il fedele rigenerato. La Trinità, dunque, è presente realmente nell’anima umana, realizzando molto più di una responsabilità etica o di un perfezionamento intellettuale» (Don Giovanni Poggiali, La divinizzazione dell’uomo in S. Agostino, D’Ettoris, Crotone 2017, p. 279).
26) Sui limiti della riforma liturgica, soprattutto in rapporto agli auspici dei Padri conciliari, cfr. card. Robert Sarah, Verso un’autentica attuazione di «Sacrosanctum Concilium», in Cristianità, anno XLIV, n. 382, ottobre-dicembre 2016, pp. 21-40.
27) Paolo VI, Allocuzione in occasione dell’Udienza generale del 26 novembre 1969, cit.
28) Cfr. Mons. Inos Biffi, La liturgia ambrosiana. La riforma del rito e il nuovo messale, Jaca Book, Milano 2013, vol. I, capp. 1 e 2.
29) Cfr. Card. A. Scola, Educarsi al pensiero di Cristo, Centro Ambrosiano, Milano 2015.
30) Preghiera eucaristica della riconciliazione I.
31) Preghiera eucaristica della riconciliazione II.
32) Congregazione per le Cause dei Santi, Canonizationis Beati Pauli VI (Ioanne Baptistae Montini) Summi Pontificis (1897-1978). Positio super miro, cit., p. 40.
33) Paolo VI, Lettera enciclica «Humanae vitae» sulla retta regolazione della natalità, del 25-7-1968, n. 18.