L’autentica libertà dei figli di Dio, che seguono i Comandamenti perché portano a Cristo
di Michele Brambilla
Aprendo l’udienza generale del 18 agosto, Papa Francesco ricorda: «san Paolo, innamorato di Gesù Cristo e che aveva capito bene cosa fosse la salvezza, ci ha insegnato che i «figli della promessa» (Gal 4,28) – cioè tutti noi, giustificati da Gesù Cristo -, non stanno sotto il vincolo della Legge, ma sono chiamati allo stile di vita impegnativo nella libertà del Vangelo». Come spiegato nell’udienza precedente, la Legge mosaica, con il suo insegnamento morale, continua ad avere un valore, «ma esiste con un altro modo: la stessa Legge, i Dieci Comandamenti, ma con un altro modo, perché da se stessa non può giustificare una volta che è venuto il Signore Gesù. E perciò, nella catechesi di oggi io vorrei spiegare questo», ovvero che «l’Apostolo sembra suggerire ai cristiani di dividere la storia della salvezza in due, e anche la sua storia personale. Sono due i momenti: prima di essere diventati credenti in Cristo Gesù e dopo avere ricevuto la fede. Al centro si pone l’evento della morte e risurrezione di Gesù, che Paolo ha predicato per suscitare la fede nel Figlio di Dio, fonte di salvezza e in Cristo Gesù noi siamo giustificati», vale a dire redenti dal peccato originale, che la Torah non aveva la forza di vincere. Il Pontefice precisa: «siamo giustificati per la gratuità della fede in Cristo Gesù. Dunque, a partire dalla fede in Cristo c’è un “prima” e un “dopo” nei confronti della stessa Legge, perché la legge c’è, i Comandamenti ci sono, ma c’è un atteggiamento prima della venuta di Gesù e poi dopo. La storia precedente è determinata dall’essere “sotto la Legge”. E chi andava sulla strada della Legge si salvava, era giustificato; quella successiva – dopo la venuta di Gesù – va vissuta seguendo lo Spirito Santo (cfr Gal 5,25). È la prima volta che Paolo utilizza questa espressione: essere “sotto la Legge”. Il significato sotteso comporta l’idea di un asservimento negativo, tipico degli schiavi: “essere sotto”», perché era come mettere il giogo ad un animale recalcitrante.
Per il cattolico le cose stanno diversamente: «la relazione tra la Legge e il peccato verrà esposta in maniera più sistematica dall’Apostolo nella sua Lettera ai Romani, scritta pochi anni dopo quella ai Galati. In sintesi, la Legge porta a definire la trasgressione e a rendere le persone consapevoli del proprio peccato: “Hai fatto questo, pertanto la Legge – i Dieci Comandamenti – dice questo: tu sei in peccato”», ma non offre la soluzione definitiva, pertanto rimanere sotto la Legge equivale a dire di non essere ancora redenti.
Gesù, nella sua Pasqua, ha vinto alla radice il contagio del male. Durante il Battesimo siamo immersi nella morte di Cristo per morire a nostra volta al peccato: è questa la simbologia dell’immersione battesimale del neofita. «In questo contesto acquista», allora, «il suo senso pieno il riferimento al ruolo pedagogico svolto dalla Legge. Ma la Legge è il pedagogo, che ti porta, dove? A Gesù. Nel sistema scolastico dell’antichità il pedagogo non aveva la funzione che oggi noi gli attribuiamo, vale a dire quella di sostenere l’educazione di un ragazzo o di una ragazza. All’epoca, si trattava invece di uno schiavo che aveva l’incarico di accompagnare dal maestro il figlio del padrone e poi riportarlo a casa. Doveva così proteggerlo dai pericoli, sorvegliarlo perché non assumesse comportamenti scorretti. La sua funzione era piuttosto disciplinare». La Torah aveva esattamente la medesima funzione: custodire, per quanto possibile, l’uomo fino all’arrivo del Messia, il vero Maestro. Teologicamente parlando, «riferirsi alla Legge in questi termini permette a san Paolo di chiarificare la funzione da essa svolta nella storia di Israele. La Torah, cioè la Legge, era stata un atto di magnanimità da parte di Dio nei confronti del suo popolo. Dopo l’elezione di Abramo, l’altro atto grande è stata la Legge: fissare la strada per andare avanti. Certamente aveva avuto delle funzioni restrittive, ma nello stesso tempo aveva protetto il popolo, lo aveva educato, disciplinato e sostenuto nella sua debolezza, soprattutto la protezione davanti al paganesimo; c’erano tanti atteggiamenti pagani in quei tempi», ma anche ai giorni nostri, pertanto è sbagliato disfarsi dell’insegnamento morale della legge divina. Il Papa lo ribadisce con forza: «questo cosa vuol dire? Che finita la Legge noi possiamo dire: “Crediamo in Gesù Cristo e facciamo quello che vogliamo? “No! I Comandamenti ci sono», restano in vigore. Per evitare lo scoglio del legalismo, bisogna solo ricordarsi che la Legge si comprende meglio alla luce di Cristo stesso, perché è Dio che salva.
Francesco ripete: «questo insegnamento sul valore della legge è molto importante e merita di essere considerato con attenzione per non cadere in equivoci e compiere passi falsi. Ci farà bene chiederci se viviamo ancora nel periodo in cui abbiamo bisogno della Legge, o se invece siamo ben consapevoli di aver ricevuto la grazia di essere diventati figli di Dio per vivere nell’amore. Come vivo io? Nella paura che se non faccio questo andrò all’inferno? O vivo anche con quella speranza, con quella gioia della gratuità della salvezza in Gesù Cristo? È una bella domanda», che prelude alla considerazione della misericordia di Dio. Il Papa chiede ancora: «disprezzo i Comandamenti? No. Li osservo, ma non come assoluti, perché so che quello che mi giustifica è Gesù Cristo» e non l’applicazione più o meno esatta dei precetti mosaici.
Giovedì, 19 agosto 2021