Il Caravaggio si cimentò tre volte con la figura di san Francesco, fino ad individuare il carattere cristocentrico della spiritualità francescana, che non esclude la comunione con la Chiesa
di Michele Brambilla
Oggi si festeggia san Francesco d’Assisi (1182-1226) con il titolo di patrono d’Italia, attribuitogli nel 1939 da Papa Pio XII (1939-58). Michelangelo Merisi (1571-1610), detto “Caravaggio”, dedicò ben tre opere al Poverello, tutte su commissione del card. Francesco Maria Da Monte (1549-1626).
Il primo quadro fu realizzato nel 1595 e raffigura San Francesco in estasi, o meglio stimmatizzato. Nell’iconografia fino ad allora nota san Francesco riceveva le stimmate da un serafino con le braccia allargate a forma di croce o dallo stesso Gesù crocifisso. Il Caravaggio si distanziò dalle raffigurazioni precedenti dipingendo un angelo comune, peraltro molto “fisico” (ha le fattezze e quasi gli abiti di un normalissimo ragazzo della Roma seicentesca), che sorregge il capo del santo mentre, prostrato a terra dalla potenza dell’estasi, indica la ferita apertasi sul costato. Il miracolo è ancora in corso: infatti non si vedono ancora le ferite nelle mani e nei piedi. Merisi, pittore “carnale” come pochi, qui sembra lavorare di fino, creando un’atmosfera pacata, serena, onirica, amorosa. Ad alludere alla presenza misteriosa di Dio non è tanto l’angelo, quanto gli squarci di luce che fendono il buio della notte sullo sfondo. Il prato fiorito su cui san Francesco si adagia è un rimando ad un altro episodio della vita del santo, quando egli si gettò nudo su dei rovi per vincere le tentazioni della carne ed essi fiorirono per non ferire il suo corpo (il roveto in questione si trova oggi nel cortile della basilica di S. Maria degli Angeli ad Assisi).
Dieci anni dopo il primo quadro, il cardinale committente richiese un San Francesco in meditazione. Nell’opera del 1605 Caravaggio si focalizzò unicamente sulla figura del santo, ritraendolo sempre alla Verna, ma in un momento di meditazione. Non si vedono ferite da stimmatizzazione, ma c’è comunque uno squarcio nella veste, sulla spalla, per sottolineare la povertà di san Francesco.
Una povertà, però, non fine a se stessa, ma dettata dalla consapevolezza della caducità dei beni materiali, come indica il fatto che il santo sorregga un teschio, e sempre testimoniata in obbedienza alla Chiesa gerarchica, come indicherebbe lo strano posizionamento della croce ai suoi piedi, che prende la postura della croce petrina, trasparente riferimento al riconoscimento papale della regola francescana e, quindi, al Primato del Papa. La roccia che sorregge la croce ha la forma di un agnello: se ne riconoscono il muso, le orecchie e le zampe. Evidente il riferimento all’Agnello per eccellenza, che si può incontrare solo nella piena comunione con la Chiesa.
Pochi mesi dopo la conclusione del San Francesco in meditazione, Michelangelo Merisi fece un altro quadro con il medesimo soggetto: è il San Francesco che si trova ai Musei civici di Cremona. Nella sua terza riflessione sul Poverello di Assisi, Caravaggio inserì un breviario accanto al teschio. Il libro liturgico sorregge la croce, che qui è un vero e proprio Crocifisso. Mancano le stimmate, ma san Francesco appare “invecchiato”: sono gli ultimi anni della vita del santo, quando iniziavano a pesargli le discussioni che subito si accesero nell’ordine, specialmente tra “conventuali” e “spirituali”, ed era tormentato dai dubbi. Gli occhi, però, sono fissi su Gesù, che lo conforta attraverso il ministero della Chiesa, rappresentata dal libro d’Ore. Cristo e Chiesa sono strettamente uniti: chi si separa dalla seconda, rompe anche con il Primo.
Merisi colse quindi l’elemento fondante della spiritualità francescana: un cristocentrismo radicale che non esclude la comunione con il Corpo mistico del Signore, ovvero la Chiesa, come invece stava accadendo nel mondo protestante. Per questo motivo le opere di Caravaggio fecero da modello per l’iconografia dell’intera epoca tridentina.
Sabato, 4 ottobre 2025


