Giovanni Cantoni, Cristianità n. 126 (1985)
Oltre le polemiche, le ragioni della «verifica» e della «promozione», doverose e indispensabili, dell’eredità conciliare a fronte dei guasti del postconcilio, costantemente denunciati dal Magistero ordinario e di recente ampiamente esposti e catalogati dal cardinale Joseph Ratzinger nel suo «rapporto sulla fede», nella prospettiva di un’autentica restaurazione.
A vent’anni dalla chiusura dell’assise ecumenica
Dal Concilio Ecumenico Vaticano II al secondo Sinodo straordinario
Da quando, il 25 gennaio 1985, Papa Giovanni Paolo II ha indetto la seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi (1) – che si svolgerà a Roma dal 24 novembre all’8 dicembre, nel ventennale della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II – il cosiddetto mondo cattolico – ma non soltanto questo – è entrato in ebollizione. E l’agitazione si è accentuata dopo la pubblicazione dell’attesissimo Rapporto sulla fede del cardinale Joseph Ratzinger (2).
Da allora. con diverso ritmo e con diversa modalità, si sono susseguiti attacchi al Pontefice e al cardinale prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, talora dialetticamente contrapposti, più spesso accumunati come promotori di una «restaurazione» della Chiesa, sostanzialmente giocata attorno alla interpretazione del corpo documentale del Concilio.
Scopo dell’assemblea straordinaria del Sinodo – ha spiegato l’arcivescovo Jan Schotte, che ne è il segretario generale – è «celebrare» il Concilio, quindi «verificare» la sua applicazione a tutt’oggi e «promuovere» l’inserimento di esso nella vita della Chiesa (3). Di questi tre propositi la «celebrazione» non ha fatto particolare problema e l’attenzione si è principalmente rivolta alla «verifica» che può – e logicamente deve – condizionare l’ulteriore «promozione».
In questa prospettiva mi pare di indubbia utilità presentare sinotticamente una catena di giudizi pontifici sul postconcilio, che si stende dalla chiusura dell’assise ecumenica ai nostri giorni, a fondazione del confessato proposito non solo di «celebrare» il Concilio, ma anche di procedere alla «verifica» della sua applicazione e quindi all’orientamento autorevole e autoritativo della sua seguente «promozione».
L’8 dicembre 1965 Papa Paolo VI chiude il Concilio Ecumenico Vaticano II, convocato da Papa Giovanni XXIII e da questi personalmente inaugurato l’11 ottobre 1962. A tre anni di distanza da tale chiusura, nel 1968, parlando agli alunni del Pontificio Seminario Lombardo, lo stesso Papa Paolo VI afferma che «la Chiesa attraversa […] un momento di inquietudine. Taluni si esercitano nell’autocritica, si direbbe perfino nell’autodemolizione. È come un rivolgimento interiore acuto e complesso, che nessuno si sarebbe atteso dopo il Concilio. […] La Chiesa è colpita pure da chi ne fa parte» (4).
Poco tempo dopo, all’inizio del 1969, il Pontefice, in occasione di una udienza generale, sollecita a «notare che l’interesse per il rinnovamento [conciliare] è stato da molti rivolto alla trasformazione esteriore e impersonale dell’edificio ecclesiastico, e all’accettazione delle forme e dello spirito della Riforma protestante, piuttosto che a quel rinnovamento primo e principale che il Concilio voleva, quello morale, quello personale, quello interiore» (5).
Nel novembre del 1970, a un Angelus, esclama: «E che diremo delle condizioni interne della Chiesa? […] non è forse per tutti motivo di stupore, di dolore, di scandalo vedere che proprio dal di dentro della Chiesa nascono inquietudini e infedeltà, e spesso da parte di chi dovrebbe, per impegno professato e per carisma ricevuto, essere più aderente e più esemplare? […].
«Talvolta perciò la sofferenza interiore della Chiesa, per certe aberrazioni dottrinali, per certi scandali morali, per certe spregiudicatezze disciplinari, provenienti dai suoi figli, è più acerba che non quella delle difficoltà esteriori» (6).
Sempre nel 1970, celebrando i cinque anni dalla chiusura dell’assise ecumenica, Paolo VI constata che «molti fedeli sono turbati nella loro fede da un cumulo di ambiguità, d’incertezze e di dubbi che la toccano in quel che essa ha di essenziale. Tali sono i dogmi trinitario e cristologico, il mistero dell’Eucarestia e della presenza reale, la Chiesa come istituzione di salvezza, il ministero sacerdotale in mezzo al popolo di Dio, il valore della preghiera e dei sacramenti, le esigenze morali riguardanti, ad esempio, l’indissolubilità del matrimonio o il rispetto della vita umana. Anzi, si arriva a tal punto da mettere in discussione anche l’autorità divina della Scrittura, in nome di una radicale demitizzazione.
«Mentre il silenzio avvolge a poco a poco alcuni misteri fondamentali del cristianesimo, vediamo delinearsi una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un cristianesimo avulso dalla Tradizione ininterrotta che lo ricollega alla fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di riferimenti religiosi» (7).
Nel gennaio del 1972, a un Angelus, il Pontefice denuncia che «fra le tante difficoltà ne incontriamo una molto grave, che era inattesa specialmente dopo il Concilio […]. Si notano fenomeni disgregatori della compagine ecclesiastica, dovuti a piccole minoranze, ma audaci e fortemente dissolvitrici» (8).
Sempre nel 1972, nella omelia per il nono anniversario della sua incoronazione, Paolo VI afferma di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio», e confessa che «anche nella Chiesa regna […] incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza». «Crediamo – osserva il Santo Padre – in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo propria per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico»: si tratta «di un potere avverso. Il suo nome è il diavolo» (9).
Nel giugno del 1974, in occasione di una udienza generale, il Papa lamenta «il triste fenomeno di cattolici […] intenti ad affliggere la Chiesa di Dio, quasi facendo propria la profetica ed amara parola del Signore: “i nemici dell’uomo saranno i suoi familiari” (Matth. 10, 36)» (10).
Nel settembre dello stesso 1974, di nuovo in occasione di una udienza generale, riconosce che «la Chiesa è in difficoltà. Ecco perfino alcuni suoi figli, che le hanno giurato amore e fedeltà, che se ne vanno; ecco non pochi seminari quasi deserti, famiglie religiose che trovano a stento nuovi seguaci; ed ecco fedeli che non temono più di essere infedeli … L’elenco di questi malanni, che affliggono oggi, nonostante il Concilio, la Chiesa di Dio, potrebbe continuare, fino a riscontrare che grande parte di essi non assale la Chiesa dal di fuori, ma l’affligge, l’indebolisce, la snerva dal di dentro» (11).
Ancora nel 1974, nell’esortazione apostolica Paterna cum benevolentia, denuncia «i fermenti di infedeltà allo Spirito Santo che qua e là si trovano nella Chiesa ai nostri giorni, e tentano purtroppo di minarla dall’interno» (12).
Nel 1975, in occasione di una udienza generale, Papa Paolo VI esclama: «Basta con il dissenso interiore alla Chiesa; basta con una disgregatrice interpretazione del pluralismo; basta con l’autolesione dei cattolici alla loro indispensabile coesione; basta con la disubbidienza qualificata come libertà! Bisogna, oggi più che mai, costruire, non demolire la Chiesa, una e cattolica» (13).
Nel 1976, il Pontefice torna a mettere in relazione l’esito del Concilio Ecumenico Vaticano II con la Riforma protestante, indicando come «la novità» del Concilio stesso «sembra aver favorito l’esplosione di dubbi e di inquietudini che l’eredità contestatrice della Riforma aveva depositato nella subcoscienza di alcuni studiosi e di non pochi fedeli» (14).
Nel 1978, nel suo pur brevissimo pontificato, Giovanni Paolo I, parlando «dell’eredità del Concilio Vaticano II», si propone di vegliare «a che una spinta, generosa forse ma improvvida, non ne travisi i contenuti e i significati» (15).
Nel 1980, scrivendo a tutti i vescovi a proposito dell’eucarestia, Giovanni Paolo II ritiene di dovere «chiedere perdono – in nome mio e di tutti voi, venerati e cari Fratelli nell’Episcopato – per tutto ciò che per qualsiasi motivo, e per qualsiasi umana debolezza, impazienza, negligenza, in seguito anche all’applicazione talora parziale, unilaterale, erronea delle prescrizioni del Concilio Vaticano II, possa aver suscitato scandalo e disagio circa l’interpretazione della dottrina e la venerazione dovuta a questo grande Sacramento. E prego il Signore Gesù perché in futuro sia evitato, nel nostro modo di trattare questo sacro Mistero, ciò che può affievolire o disorientare in qualsiasi maniera il senso di riverenza e di amore dei nostri fedeli» (16).
Nel 1981, parlando ai partecipanti al primo convegno nazionale sul tema Missioni al popolo per gli anni ‘80, il regnante Pontefice dichiara: «Bisogna ammettere realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani oggi in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa anche la Liturgia; immersi nel “relativismo” intellettuale e morale e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva» (17).
Nel maggio del 1985, in un discorso alla conferenza episcopale belga, il Santo Padre ammette che «il Concilio Vaticano II […], nella misura in cui certuni l’hanno studiato male, male interpretato, male applicato, può aver causato qua e là scompiglio, divisioni e non si è potuto impedire un cedimento religioso» (18).
Il 7 ottobre 1985, rivolgendosi ai canonici regolari premostratensi, il Sommo Pontefice ricorda che «l’anelito e il comando del divin Maestro di rimanere tutti uniti nella verità e nella carità si sono fatti particolarmente pressanti ed esigenti nell’attuale periodo della storia della Chiesa, in cui […] serpeggiano venti di opposizione e di discordia» (19).
L’11 ottobre 1985, nel discorso ai partecipanti al VI Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, Giovanni Paolo II rileva come «il dissenso dottrinale e morale», forse «originato da una trasposizione nel campo religioso ed ecclesiale di modelli di vita civile e di contestazione politica», «rappresenta un grosso ostacolo alla evangelizzazione» (20).
Senza dubbio alcuno, il «filo rosso» identificato – anche se in modo certamente non esauriente, ma forse non inadeguato al fine della sua presa in considerazione – costituisce la materia prima con la quale è stato tessuto articolatamente Rapporto sulla fede del cardinale Ratzinger e rappresenta un solido aggancio per quella «verifica» e per quella «promozione» da alcuni paventate e denunciate come macchinazioni e soprusi.
Quindi, se è certo che «resteranno delusi coloro che pensano che questo Sinodo dovrà risolvere tutti i problemi, dovrà rispondere a tutti gli interrogativi che circolano nella Chiesa» (21), è ugualmente certo che – prima o poi, presto o tardi – tutti questi problemi dovranno trovare soluzione e tutti questi interrogativi dovranno ricevere risposta, con la stessa autorevolezza con cui se ne riconosce l’esistenza, si dichiara di conoscerli e se ne stende un catalogo.
infatti, se esistono e sono conosciuti e catalogati, il loro permanere senza soluzione e senza risposta non fa che aggravarli e, di conseguenza, ostacolare l’opera evangelizzatrice della Chiesa.
Infatti, ancora, «la Chiesa, per essere riconciliatrice, deve cominciare con l’essere una Chiesa riconciliata», e «sotto questa semplice e lineare espressione soggiace la convinzione che la Chiesa, per annunciare e proporre sempre più efficacemente al mondo la riconciliazione, deve diventare sempre più una comunità (fosse anche il “piccolo gregge” dei primi tempi)» (22).
Non resta quindi che pregare la Vergine santissima, Mater Ecclesiae, affinché la seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi avvii a soluzione almeno qualcuno dei problemi che affliggono il corpo di cui il Signore Gesù è mistico capo e risponda almeno a qualcuno degli interrogativi che in esso circolano.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr. L’Osservatore Romano, 27-1-1985.
(2) Cfr. VITTORIO MESSORI, Rapporto sulla fede. A colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger, Edizioni Paoline, Torino 1985; e la mia recensione di questo volume in Cristianità, anno XIII, n. 122-123, giugno-luglio 1985.
(3) Cfr. la conferenza stampa di mons. Jan Schotte, segretario generale del Sinodo, in L’Osservatore Romano, 4-10-1985.
(4) PAOLO VI, Discorso al Pontificio Seminario Lombardo, del 7-12-1968 in Insegnamenti di Paolo VI, vol. VI, p. 1188.
(5) IDEM, Discorso all’udienza generale, del 15-1-1969, ibid., vol. VII, p. 849.
(6) IDEM, Discorso all’Angelus, del 15-11-1970, ibid., vol. VIII, p. 1137-1138.
(7) IDEM, Esortazione apostolica Quinque iam anni transacti, dell’8-12-1970, ibid., pp. 1410-1411 (1420).
(8) IDEM, Discorso all’Angelus, del 30-1-1972, ibid., vol. X, pp. 96-97.
(9) IDEM, Omelia per il nono anniversario della sua incoronazione, 29/30-6-1972, ibid., pp. 707-708.
(10) IDEM, Discorso all’udienza generale, del 26-6-1974, ibid., vol. XII, p. 597.
(11) IDEM, Discorso all’udienza generale, dell’11-9-1974, ibid., p. 815.
(12) IDEM, Esortazione apostolica Paterna cum benevolentia, del 16-2-1974, ibid., p. 1276 (1291).
(13) IDEM, Discorso all’udienza generale, del 16-7-1975, ibid., vol. XIII, p. 773.
(14) IDEM, Discorso all’incontro di Quaresima con il Clero Romano, del 15-3-1976, ibid., vol. XIV, p. 176.
(15) GIOVANNI PAOLO I, Radiomessaggio Urbi et Orbi, del 27-8-1978, in Insegnamenti di Giovanni Paolo I, p. 7 (15).
(16) GIOVANNI PAOLO II, Lettera Dominicae Cenae, del 24-2-1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 1, p. 608 (634).
(17) IDEM, Discorso ai partecipanti al primo Convegno nazionale sul tema Missioni al Popolo per gli anni ‘80, ibid., vol. IV, 1, p. 235.
(18) IDEM, Discorso alla Conferenza Episcopale Belga a Mechelen, del 18-5-1985, in L’Osservatore Romano, 19-5-1985.
(19) IDEM, Discorso ai partecipanti al Colloquio dell’Ordine dei Canonici Regolari Premostratensi, del 7-10-1985, ibid., 7/8-10-1985.
(20) IDEM, Discorso ai partecipanti al VI Simposio delle Conferenze Episcopali d’Europa, dell’11-10-1985, ibid., 12-10-1985.
(21) Un Sinodo, non un nuovo Concilio, intervista a mons. Jan Schotte, segretario generale del Sinodo, raccolta da Pier Giorgio Liverani, in Avvenire, 6-10-1985.
(22) GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, del 2-10-1984, n. 9.