La Regione Lombardia cambia pelle e si adegua al pensiero unico delle lobby progressiste e globaliste
di Cristina Cappellini
È bastata una votazione segreta, martedì scorso, 14 giugno, in Consiglio Regionale, per far rinnegare alla Lombardia quella tradizione politica pro-family e pro-life che aveva visto il suo apice nella scorsa legislatura, con l’adesione al Family Day nazionale del 2016, l’illuminazione del Pirellone a sostegno della manifestazione stessa, nonché la presenza al Circo Massimo del gonfalone regionale e del Presidente Maroni, accompagnato da alcuni rappresentanti della giunta e del consiglio.
I tempi cambiano, è vero, e come recita un passo della Bibbia «c’è un tempo per ogni cosa» (cfr. Qo 3,1), ma questa metamorfosi politica in salsa lombarda non può che stridere con la maggioranza politica, a trazione leghista, che governa la Regione. Che il passaggio dalla giunta Maroni alla giunta Fontana avesse fatto riporre nel cassetto alcune tematiche, considerate da qualcuno troppo divisive e politicamente scomode, è un dato di fatto, che già aveva comportato una certa amarezza e un certo disagio, soprattutto nell’elettorato cattolico, ma un passaggio così repentino, da far finire la Regione direttamente nelle braccia delle associazioni Lgbt, sembrava ancora lontano.
Certo, la Lega ha espresso una posizione contraria alla mozione presentata dal Movimento 5 Stelle a sostegno del Milano Pride (che prevede persino la partecipazione al corteo, con la fascia istituzionale, di un rappresentante della Regione), ma si sa che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, soprattutto quando c’è di mezzo un voto segreto. E si sa anche che le nuove leve del leghismo contemporaneo non sono particolarmente sensibili a certi temi. Ma se anche i consiglieri leghisti, com’è auspicabile, avessero votato compattamente contro la suddetta mozione, la sua approvazione dimostra che un problema nel centro destra che guida la Regione c’è e non è irrilevante. Quantomeno esiste un problema di visione e di condivisione, nonché del ruolo (marginale a quanto pare) dei capigruppo nel dettare la linea ai propri consiglieri. Ammesso che i partiti del centro destra abbiano ancora una linea politica, soprattutto in campo etico.
Sta di fatto che la Lombardia guidata dal Presidente Fontana e a trazione leghista quest’anno ha aderito e parteciperà al Pride milanese, insieme al Sindaco Beppe Sala e a quella sinistra che, negli anni, ha abbandonato operai e disoccupati per dedicarsi a tempo pieno all’agenda Lgbt, quell’agenda che vanta il sostegno, anche economico, proprio di quelle multinazionali e di quelle élite finanziarie mondiali che un tempo la sinistra combatteva, o almeno fingeva di combattere. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che in fondo sono gli stessi partiti che governano insieme il Paese, uniti in quella corte che si è formata repentinamente intorno a Mario Draghi e che va dalla Lega a Forza Italia e dal Pd a LEU, passando per il Movimento 5 Stelle (o quel che ne rimane). Dunque, in ossequio a una nuova stagione politica di omologazione e di linee politiche sempre più “liquide” (per usare l’efficace terminologia di Bauman), non ci si dovrebbe stupire se le prese di posizione cambiano, si smussano, si adeguano a quel sistema che consente a tutti di stare al governo e compiacere i poteri forti per tirare a campare. È la nuova “Ragion di Stato”. Spiace, infatti, constatare che anche chi ha votato (o dice di aver votato) contro la mozione grillina non si stia per nulla stracciando le vesti dopo questo grave incidente di percorso. Pare proprio di vedere tanti Ponzio Pilato tra i corridoi del Pirellone, dove il silenzio di troppi regna sovrano. Del resto, il voto segreto ha sempre il suo fascino (sinistro).
Non resta che prenderne atto, chiedendosi però che posizione prenderà la Regione quando si assisterà agli ennesimi atti di blasfemia che ad ogni Pride vengono perpetrati (l’esempio di Cremona è solo l’ultimo di tanti, in ordine di tempo) o quando i suoi rappresentanti si troveranno davanti alla richiesta sempre più forte di legittimazione della pratica dell’utero in affitto. Non sarà facile tenere il piede in due scarpe per una maggioranza di centro destra che già non ha brillato in quest’ultima legislatura e l’anno prossimo chiederà la conferma ai cittadini lombardi. Attenzione, perché quel «Renzi ci ricorderemo» che svettava al Family Day del 2016 (riferito all’approvazione della legge sulle unioni civili) non rimase affatto uno slogan.
Giovedì, 16 giugno 2022