Massimo Introvigne, Cristianità n. 353 (2009)
1. Il Papa in pellegrinaggio
Preoccupati di esaminare al microscopio ogni dichiarazione relativa ai rapporti fra Chiesa Cattolica ed ebraismo, o fra israeliani e palestinesi, molti mass media internazionali sono — per così dire — passati accanto al messaggio fondamentale del viaggio di Papa Benedetto XVI in Palestina, che si è svolto dall’8 al 15 maggio 2009, senza fermarsi a cercare di comprenderlo. Questo viaggio è stato, come il Pontefice ha ripetutamente spiegato, un “pellegrinaggio”. “Il pellegrinaggio è un elemento essenziale di molte religioni. Lo è anche dell’islam, della religione ebraica, del cristianesimo. È anche l’immagine della nostra esistenza, che è un camminare in avanti, verso Dio” (1). Per chi crede nel peccato originale la vita stessa è un pellegrinaggio dalle tenebre alla luce, dal male al bene: “[…] ognuno di noi è un pellegrino” (2), e tutta l’umana esistenza è un “dinamico movimento dalla morte alla novità della vita, dalle tenebre alla luce, dalla disperazione alla speranza” (3).
Il pellegrinaggio in Terra Santa, peraltro, non è uguale a ogni altro pellegrinaggio: offre la possibilità “[…] di vedere, toccare e gustare in preghiera e in contemplazione, i luoghi benedetti dalla presenza fisica del nostro Salvatore, della sua Madre benedetta, degli Apostoli e dei primi discepoli che lo videro risorto dai morti” (4). “La storia del Vangelo, contemplata nel suo ambiente storico e geografico, diviene viva e ricca di colore, e si ottiene una comprensione più chiara del significato delle parole e dei gesti del Signore” (5).
Il pellegrinaggio di Papa Benedetto XVI in Terra Santa ha anche avuto lo scopo di ravvivare la fede delle Chiese cristiane presenti in quei Paesi, che si trovano in una situazione molto difficile. “L’antico tesoro vivente delle tradizioni delle Chiese Orientali arricchisce la Chiesa universale e non deve mai essere inteso templicemente come oggetto da custodire passivamente” (6). Le comunità cattoliche della Terra Santa “[…] sono come delle candele accese che illuminano i luoghi santi” (7) e “un segno delle molteplici forme di interazione fra il Vangelo e le diverse culture” (8), ma il Papa ha voluto incontrare anche gli Ortodossi, rilevando con gioia che “questa terra è davvero un terreno fertile per l’ecumenismo” (9).
La tentazione per i cristiani di Terra Santa, di fronte alle difficoltà, è quella di emigrare: ma “[…] questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento spirituale e culturale” (10). Il Papa vuole “[…] soprattutto incoraggiare i cristiani in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente a rimanere” (11), non limitandosi alla pura esortazione ma offrendo forme di aiuto “molto concrete” (12).
In un certo senso, tutti i viaggi del Pontefice sono pellegrinaggi. Ma ogni viaggio di Papa Benedetto XVI ha anche un tema. Quello in Terra Santa ha al centro le critiche — un autentico processo — che il relativismo rivolge alla religione, accusata di essere nemica della pace, e una risposta che mostra come il vero nemico della pace non sia la religione ma lo stesso relativismo.
2. Processo alla religione: l’accusa
Dall’ex docente di filosofia francese — in un istituto tecnico — Michel Onfray (13) al divulgatore scientifico — questo il titolo, “divulgazione scientifica”, del corso universitario da lui tenuto in passato a Oxford — britannico, nato in Kenya, Richard Dawkins (14) e al giornalista inglese, oggi residente negli Stati Uniti d’America, Christopher Hitchens (15) — per tacere degli epigoni più o meno rozzi in Italia —, gli ultimi anni hanno visto tutta una serie di autori scagliarsi contro la religione e promuovere aggressivamente l’ateismo con libri trasformati da una sapiente opera di promozione da parte di numerosi mass media in best seller internazionali. Pur senza indulgere a “teorie del complotto”, è difficile non vedere in questo attacco da più parti alla religione un’operazione culturale promossa da chi è infastidito da un imprevisto “ritorno” qualitativo e quantitativo delle religioni sulla scena mondiale (16), e ancor più dall’impegno di molte istituzioni religiose — Chiesa Cattolica in testa — contro l’aborto, l’eutanasia e il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, cause tutte sostenute da lobby transnazionali e potenti.
Se si esaminano con attenzione le campagne contro la religione, ci si avvede che al cuore della loro accusa sta l’argomento secondo cui le religioni creano identità forti che fomentano l’aggressività, l’odio e la guerra. La Terra Santa offrirebbe l’esempio più evidente di questa tesi. Solo un’identità debole, fondata sull’ateismo e sul relativismo, permetterebbe di sfuggire alla violenza e di costruire la pace.
Papa Benedetto XVI ha dedicato una parte importante del suo viaggio a discutere quest’accusa, di cui del resto si è più volte occupato nel corso del suo pontificato. Il Pontefice la riassume in termini che colpiscono per la concisione e il rigore nel suo incontro di fronte alla moschea di Re Hussein ad Amman, in Giordania, con i capi religiosi musulmani, del 9 maggio 2009: “Non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è” (17).
3. L’accusatore
In questo processo alla religione chi è l’accusatore? Quali sono i suoi scopi? È credibile? Occorre riconoscere, risponde Papa Benedetto XVI, che esistono “[…] forze del male che sono all’opera per creare oscurità nel nostro mondo” (18). “Gli oppositori della religione cercano non semplicemente di tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro” (19), la voce del relativismo e dell’ideologia. Sono forze insieme antiche e nuove. Antiche, perché rimandano al mondo oscuro che — con la felice eccezione del popolo ebraico, che aveva ricevuto l’Antico Testamento — invecchiava apparentemente senza speranza nel vizio, nella schiavitù e nella decadenza prima della venuta di Gesù Cristo. A Betlemme il Papa ricorda che qui “[…] Dio ha scelto di divenire uomo, per concludere il lungo regno del peccato e della morte e per portare vita nuova ed abbondante ad un mondo che era divenuto vecchio, affaticato, oppresso dalla disperazione” (20). E al Santo Sepolcro “[…] la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo” (21).
Ma le oscure forze del male sono nello stesso tempo molto antiche e molto moderne, perché oggi — oltre ai consueti “incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove” (22) — dispongono di nuovi mezzi di corruzione e di morte, “[…] compresi gli elementi distruttivi dell’industria del divertimento che con tanta insensibilità sfruttano l’innocenza e la fragilità della persona vulnerabile e del giovane” (23).
Queste forze diffondono “modi di pensare che giustificano lo “stroncare” vite innocenti” (24). Si situa qui anche la riflessione del Papa sull’Olocausto e il suo modo di “onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah“ (25). A chi avrebbe voluto accenni a fatti di cronaca o polemiche recenti, il Pontefice ha risposto come gli è consueto volando molto più in alto e denunciando, nella sua visita al museo-memoriale dell’Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme e nella cerimonia di congedo da Israele all’aeroporto internazionale Ben Gurion, gli orrori di un’ideologia che ha cercato di portare via alle vittime non solo la vita e l’onore, ma persino il nome. Queste visite, ha ricordato Papa Benedetto XVI, si situano in continuità con quella del 2006 del Pontefice ad Auschwitz, “[…] dove così tanti ebrei — madri, padri, mariti, mogli, fratelli, sorelle, amici — furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che diffondeva un’ideologia di antisemitismo e di odio. Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato” (26); una condanna senza appello, dunque, del cosiddetto “negazionismo”. E tuttavia da un certo punto di vista l’ideologia ha fallito: i morti dell’Olocausto “[…] persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia sopravvissuti e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente. Uno può derubare il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di un altro essere umano” (27).
Un “regime senza Dio”, non la religione, perpetrò l’Olocausto. E anche oggi, se “[…] l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo” (28), la principale responsabilità non è della religione — certamente, non del cristianesimo — ma delle ideologie.
Non sono consentiti equivoci riguardo all’identità dell’accusatore. Siamo di fronte al “[…] relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana” (29). Questo accusatore mira a creare un vuoto in cui diventi impossibile per l’uomo avvertire la voce di Dio. “La voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca” (30). Ma dove manca la voce di Dio più nessuno si leva a difendere persuasivamente l’uomo. “Quando la dimensione religiosa della persona umana viene negata o posta ai margini, viene messo in pericolo il fondamento stesso di una corretta comprensione dei diritti umani inalienabili” (31).
4. La parola alla difesa
Prendendo idealmente la parola per la difesa nel processo che il relativismo intenta alla religione, accusata di essere nemica della pace, dopo avere messo in luce con un argomento ad hominem i vizi dell’accusatore, Papa Benedetto XVI comincia con l’ammettere che, come talora avviene, l’accusa indica anche problemi reali che le religioni devono affrontare. Ciascuna religione — anche quelle che hanno radici comuni, come l’ebraismo e il cristianesimo — vive in “un “cosmo semantico” molto diverso (32) rispetto alle altre, così che “[…] non c’è da meravigliarsi che ci siano malintesi” (33).
“Ovviamente la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente” (34). Ma “evidentemente, un simile risultato non è inevitabile” (35).
“Si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società” (36). Dunque la religione — che coinvolge uomini segnati dal peccato originale — può corrompersi. E di fatto si corrompe, tanto più quando è aggredita da tentativi esterni di manipolazione ideologica. Tuttavia in questo caso la radice della corruzione non sta nella religione — per quanto alcune religioni si rivelino più permeabili di altre allo sforzo corruttore —, ma nell’ideologia. La religione, se riesce a resistere alle manipolazioni di chi intende sfigurarla, si rivela il più saldo presidio dei diritti fondamentali della persona e della pace. La religione, infatti, è anche la sola forza oggi capace di “[…] parlare alla ragione” (37). Entriamo qui nel cuore del messaggio del Pontefice in Terra Santa.
5. L’argomento centrale della difesa: il rapporto costitutivo fra religione e ragione
L’argomento centrale che Papa Benedetto XVI usa nel suo ruolo di avvocato della religione contro l’attacco del relativismo si riferisce, in particolare, alle tre religioni che rivendicano una discendenza da Abramo: cristianesimo, ebraismo e islam. Queste religioni, in modo diverso, durante la loro storia hanno diffuso e custodito anche elementi fondamentali dell’eredità greca: la tesi secondo cui esiste la verità e la ragione è in grado di conoscerla. “La fede religiosa presuppone la verità” (38): se la verità non esiste, o se essa è del tutto inconoscibile, neppure proposizioni che costituiscono il presupposto delle religioni dette rivelate — “Dio esiste”, “Dio si è rivelato” — possono essere dichiarate e vissute come vere.
Di qui il rapporto costitutivo fra le religioni e la verità: “Colui che crede è colui che cerca la verità e vive in base ad essa. Benché il mezzo attraverso il quale noi comprendiamo la scoperta e la comunicazione della verità differisca in parte da religione a religione, non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità” (39). Emerge qui la falsità dell’accusa rivolta alle religioni di voler limitare l’umana ricerca della conoscenza: “in realtà, la fede in Dio non sopprime la ricerca della verità: essa l’incoraggia” (40).
La fede, mentre incoraggia l’uso della ragione, esercita su di essa una funzione di controllo: non, come insinua l’accusatore relativista, nel senso che le vieti degli ambiti di ricerca ma nel senso che le indica i suoi limiti. “In realtà, quando la ragione umana umilmente consente ad essere purificata dalla fede non è per nulla indebolita; anzi, è rafforzata nel resistere alla presunzione di andare oltre ai propri limiti. In tal modo, la ragione umana viene rinvigorita nell’impegno di perseguire il suo nobile scopo di servire l’umanità, dando espressione alle nostre comuni aspirazioni più intime, ampliando, piuttosto che manipolarlo o restringerlo, il pubblico dibattito. Pertanto l’adesione genuina alla religione — lungi dal restringere le nostre menti — amplia gli orizzonti della comprensione umana. Ciò protegge la società civile dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l’infinito; fa sì che la libertà sia esercitata in sinergia con la verità, ed arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che riguarda tutto ciò che è vero, buono e bello” (41).
Quando la ragione e lo stesso soggetto umano non riconoscono i loro limiti nascono le ideologie, con le tragiche conseguenze che il comportamento dell’accusatore nella storia dimostra. La scienza stessa — il cui ruolo la ragione e la fede riconoscono come positivo — rischia di diventare ideologia se non riconosce di avere dei limiti. “La scienza e la tecnologia offrono benefici straordinari alla società ed hanno migliorato grandemente la qualità della vita di molti esseri umani. […] Allo stesso tempo, le scienze hanno i loro limiti. Non possono dare risposta a tutte le questioni riguardanti l’uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini della scienza. […] L’uso della conoscenza scientifica abbisogna della luce orientatrice della sapienza etica” (42).
Certo — e il Papa torna qui, implicitamente, sul suo discorso del 2006 a Ratisbona (43), del resto oggetto di un dialogo cui hanno partecipato membri della famiglia reale della Giordania che lo ha accolto ad Amman — il fondamento del rapporto fra fede, ragione e verità non è lo stesso nel cristianesimo, nell’ebraismo e nell’islam. L’islam, in particolare, ha intrattenuto con l’eredità greca un rapporto che è stato intenso, ma si è interrotto quando una reazione fideista si è ritratta di fronte al rischio che l’uso della filosofia greca portasse verso il razionalismo e l’ateismo. Così, almeno secondo le linee oggi maggioritarie, le due visioni, cristiana — cui assomiglia, pur non essendo identica, quella prevalente nell’ebraismo — e islamica non sono identiche: “I Cristiani in effetti descrivono Dio, fra gli altri modi, come Ragione creatrice, che ordina e guida il mondo. E Dio ci dota della capacità di partecipare alla sua Ragione e così di agire in accordo con ciò che è bene. I Musulmani adorano Dio, Creatore del Cielo e della Terra, che ha parlato all’umanità” (44).
Papa Benedetto XVI lo ha detto più volte, e lo ribadisce in Giordania: c’è, afferma, “un compito che ho indicato in diverse occasioni e che credo fermamente Cristiani e Musulmani possano assumersi […]. Tale compito costituisce la sfida a coltivare per il bene, nel contesto della fede e della verità, il vasto potenziale della ragione umana” (45). È questa quella che molti commentatori hanno definito come la svolta di Benedetto XVI nella concezione del dialogo interreligioso. Se ciascuno argomenta dalla sua fede e dal suo libro sacro ne nascono confronti certamente interessanti per i congressi internazionali, ma è difficile che si pervenga a un consenso. Se invece si argomenta dalla “ragione umana [che peraltro] è in se stessa dono di Dio” (46) allora il consenso è possibile, dal momento che la ragione umana è comune a tutti e di per sé non è né cristiana né musulmana, né ebrea né atea.
La frattura indicata a Ratisbona che si è determinata nella storia dell’islam — per cui i musulmani, pur adorando un unico Dio creatore, non lo descrivono normalmente come Ragione creatrice, né pensano che l’uomo abbia la capacità di partecipare alla Ragione di Dio — obbliga a un paziente lavoro di esercizio della ragione il quale, prescindendo appunto dai rispettivi libri sacri, giunga a identificare alcune verità come evidenti per tutti. Anzitutto, si potrà convenire sul fatto che “la creazione ha una ragione ed uno scopo. Lungi dall’essere il risultato di un fato cieco, il mondo è stato voluto da Dio e rivela il suo splendore glorioso” (47).
Papa Benedetto XVI insiste nel corso del viaggio in Terra Santa su un elemento che ai cattolici è stato ribadito solennemente dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) e oggi è ripetuto al n. 36 del Catechismo della Chiesa Cattolica, che cita appunto tale Concilio: “La santa Chiesa, nostra madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create” (48). Che esista un Dio creatore è dunque cosa che può essere conosciuta con certezza dalla ragione. Sulla base della ragione, prima ancora del riferimento ai rispettivi libri sacri, “insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature e che Egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo” (49).
La ragione, come può dimostrare che vi è una verità universale valida per tutti e che esiste Dio, così può portare uomini di diverse fedi religiose a convenire sull’esistenza di leggi morali iscritte nella natura del mondo e ugualmente universali. “Non possiamo fare con il mondo tutto quello che ci piace; anzi, siamo chiamati a conformare le nostre scelte alle complesse e tuttavia percettibili leggi scritte dal Creatore nell’universo” (50). C’è una “legge inscritta nel cosmo ed inserita nel cuore dell’uomo” (51). “Coloro che onorano l’Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni. I Cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro e a servirlo nella carità” (52). “La verità deve essere offerta a tutti; essa serve a tutti i membri della società. Essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica, e permea la ragione” (53).
Dunque la religione — e in particolare le tre religioni presenti nella Terra Santa — possono e devono custodire, come legato prezioso ed elemento che smonta l’argomento dell’accusatore relativista, un rapporto costitutivo con la verità e con la ragione. Questo rapporto non rimane teorico. Una volta che la ragione è riconosciuta come universale, la stessa universalità coinvolge le verità di ragione dell’esistenza di un Dio creatore e di leggi — non solo naturali, ma anche morali — che il Creatore ha iscritto nell’universo, che la ragione può conoscere e che s’impongono a tutti.
6. Un’obiezione: il relativismo culturale
Papa Benedetto XVI affronta in modo approfondito una delle più insidiose obiezioni che provengono dall’accusatore relativista: la tesi secondo cui non esistono verità universali, ma ogni affermazione è vera solo all’interno della sua cultura di riferimento. Quello che è vero per gli europei potrebbe non essere vero per gli arabi, e viceversa. L’obiezione è rivolta in particolare a quelle che per l’accusatore sono le presunte verità religiose. Esse sarebbero sempre figlie di una cultura, e non potrebbero dunque mai essere universali e valide per tutte le culture.
Certo, ammette Papa Benedetto XVI, “la fede è sempre vissuta in una cultura. La storia della religione mostra che una comunità di credenti procede per gradi di fedeltà piena a Dio, prendendo dalla cultura che incontra e plasmandola” (54). Peraltro, il rapporto fra fede e cultura è più complicato di quanto pretenda la rappresentazione più corrente. Sarebbe per esempio sbagliato, spiega il Pontefice, riferire la fede dell’Antico Testamento alla sola cultura del popolo d’Israele. In realtà questa fede “[…] fu plasmata, non nell’isolamento, ma attraverso l’incontro con la cultura Egiziana, Hittita, Sumerica, Babilonese, Persiana e Greca” (55). “Oggi, circa quattro mila anni dopo Abramo, l’incontro di religioni con la cultura si realizza non semplicemente su un piano geografico” (56) e le cose si prestano ancora meno alla templificazione. “Certi aspetti della globalizzazione ed in particolare il mondo dell’internet hanno creato una vasta cultura virtuale il cui valore è tanto vario quanto le sue innumerevoli manifestazioni. Indubbiamente molto è stato realizzato per creare un senso di vicinanza e di unità all’interno dell’universale famiglia umana. Tuttavia, allo stesso tempo, l’uso illimitato di portali, attraverso i quali le persone hanno facile accesso a indiscriminate fonti di informazioni, può divenire facilmente uno strumento di crescente frammentazione: l’unità della conoscenza viene frantumata e le complesse abilità di critica, discernimento e discriminazione apprese dalle tradizioni accademiche ed etiche sono a volte aggirate o trascurate” (57).
Che però si tratti del complesso intreccio di cultura ebraica, egizia, greca e persiana nella storia dell’antico Israele o dei mondi virtuali aperti da Internet, la domanda è sempre la stessa: la religione è un prodotto — si potrebbe dire, non esportabile — di una determinata cultura o ha un valore universale che, senza negare quella cultura, la trascende? “[…] ogni cultura — risponde Papa Benedetto XVI — con la sua specifica capacità di dare e ricevere dà espressione all’unica natura umana” (58). La natura umana è sempre la stessa, ma ciascuna cultura la esprime in modo diverso. “Tuttavia, ciò che è proprio dell’individuo non è mai espresso pienamente attraverso la cultura di lui o di lei, ma piuttosto lo trascende nella costante ricerca di qualcosa al di là. Da questa prospettiva, cari Amici, noi vediamo la possibilità di un’unità che non dipende dall’uniformità” (59). Perché ci sia unità, cioè rivendicazione di verità e valori universali, non è necessaria l’uniformità, cioè la negazione di quanto è specifico alle varie culture. Possiamo infatti distinguere le culture, al plurale, ciascuna con le sue caratteristiche specifiche, dalla cultura, al singolare, un insieme di verità e di valori che — pure espressi in mille modi diversi — non mutano: “una cultura non definita dai limiti del tempo o del luogo” (60), la cui “[…] verità può essere scoperta all’interno dell’universalità della ragione” (61).
La risposta al relativismo culturale di Papa Benedetto XVI è dunque che la verità è una perché — come la ragione — è universale, anche se i suoi modi di espressione sono diversi e collegati alle diverse culture. Questa ricchezza delle differenti culture è un fatto positivo, purché si sappiano pure trascendere le diversità in una costante ricerca dell’unità, cioè delle verità e dei valori che vivono concretamente nelle culture ma nello stesso tempo, in quanto universali, sono al di là di ogni singola cultura.
7. Il relativismo, non la religione, è contro la pace
In Terra Santa Papa Benedetto XVI riprende pure un altro tema che gli è caro, sviluppato in particolare nel discorso che avrebbe voluto pronunciare — ma che, come è noto, per l’assurda e intollerante contestazione di una minoranza del corpo accademico non pronunciò — all’Università La Sapienza di Roma il 17 gennaio 2008 (62). In quel discorso il Pontefice affermava che secondo una vulgata corrente chi crede fermamente che esistano verità universali è intollerante e prepara il conflitto e la violenza. Al contrario, la pace sarebbe garantita dal relativismo che, non avendo verità da difendere, sarebbe mite e pacifico. Questa vulgata, affermava il Pontefice, è tanto diffusa quanto falsa. Infatti gli uomini sono fatalmente portatori d’interessi diversi. O questi uomini convengono sul fatto che esistono verità universali e comuni che non dipendono dai loro interessi e che possono fungere da regole del gioco valide per tutti, e allora sarà possibile una loro pacifica convivenza. Oppure, se non si crede che esistano verità che s’impongono a tutti, “la sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi” (63), e facilmente si arriva alla violenza e alla guerra.
Quanto il Papa avrebbe voluto pacatamente argomentare in una sede accademica acquista un’urgenza tutta particolare nel clima drammatico della Terra Santa in stato perenne di guerra. Ma il Pontefice ribadisce la stessa argomentazione: “Lungi dal minacciare la tolleranza delle differenze o della pluralità culturale, la verità rende il consenso possibile e mantiene ragionevole, onesto e verificabile il pubblico dibattito” (64).
Nel dialogo con i musulmani, e con le autorità dello Stato d’Israele, Papa Benedetto XVI ripete — come aveva fatto in Turchia, e in altre occasioni — quali sono in concreto le prime regole del gioco comuni su cui, argomentando dalla ragione, persone di fede religiosa diversa possono e devono convenire. Anzitutto, il ripudio della violenza e del terrorismo: per quanto ci si trovi in situazioni disperate, occorre sempre e comunque “[…] resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza e di terrorismo” (65). In secondo luogo, il riconoscimento dei diritti umani fondamentali per tutti, in particolare per le donne e per chi appartiene a minoranze religiose: la ragione esige che sia riconosciuta “la dignità di ogni uomo e di ogni donna” (66); e “[…] proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengono” (67). “La libertà religiosa è certamente un diritto umano fondamentale” (68): “[…] il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto — specie per le minoranze — di equo accesso al mercato dell’impiego e alle altre sfere della vita civile” (69). Fra i valori non negoziabili, infine, il Pontefice non dimentica mai la libertà di educazione, e anche in questo viaggio ricorda “il ruolo dello Stato chiamato a sostenere le famiglie nella loro missione educatrice, a proteggere l’istituto della famiglia e i suoi diritti nativi” (70).
Ma soprattutto Papa Benedetto XVI affronta con chiarezza il tema della pace. “La pace è prima di tutto un dono divino. La pace infatti è la promessa dell’Onnipotente all’umanità e custodisce l’unità” (71). Atteso al varco da chi era pronto a strumentalizzare ogni sua dichiarazione per fini politici di parte, il Papa anche in questo caso è salito più in alto, mostrando che esiste un unico fondamento reale per la pace: l’idea dell’unità fra tutte le persone umane che è radicata nella nozione di un unico Dio, una nozione — come si è visto — cui la ragione può pervenire indipendentemente dalla rivelazione, e che quindi s’impone a tutti. Se non c’è Dio, i tentativi di fondare filosoficamente l’unità fra le persone riposano su fondamenti molto precari. Se ci sono molti dèi, il dio etnico di un popolo si volgerà contro il dio etnico del popolo vicino. Invece “di fatto, il fondamento ultimo dell’unità tra le persone sta nella perfetta unicità e universalità di Dio” (72). “La fedeltà all’Unico Dio, il Creatore, l’Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l’uno all’altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune” (73). Il discorso vale per tutti ma in Terra Santa si rivolge con un tono particolare ai musulmani: “[…] prego affinché essi possano esplorare come l’Unicità di Dio sia inestricabilmente legata all’unità della famiglia umana” (74).
Intervenendo in Israele sul dibattito, particolarmente vivace in quel Paese, sulla nozione di sicurezza, Papa Benedetto XVI ne mostra i fondamenti ultimi e il collegamento necessario con la pace. “La Sacra Scrittura ci offre anche una sua comprensione della sicurezza. Secondo il linguaggio ebraico, sicurezza — batah — deriva da fiducia e non si riferisce soltanto all’assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza. […] Sicurezza, integrità, giustizia e pace: nel disegno di Dio per il mondo esse sono inseparabili. Lungi dall’essere semplicemente il prodotto dello sforzo umano, esse sono valori che promanano dalla relazione fondamentale di Dio con l’uomo, e risiedono come patrimonio comune nel cuore di ogni individuo” (75).
Il Pontefice non ha certamente voluto sottrarsi all’invito a dire quello che pensa sul conflitto israelo-palestinese. Non è un mistero che la diplomazia della Santa Sede predilige “la “two-state solution” (la soluzione di due Stati)” (76): “Ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti” (77). Al presidente palestinese Abu Mazen Papa Benedetto XVI dichiara: “La Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana Patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti” (78). Congedandosi da Israele, il Papa afferma: “Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo Palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente” (79). Nello stesso tempo, con profondo realismo, il Papa si chiede se nello stato attuale della diplomazia e della politica non vi sia il rischio che la two-state solution “[…] rimanga un sogno” (80). Il Pontefice non offre soluzioni immediate, che del resto non esistono, ma invita al confronto onesto e sincero in nome dell’universalità della ragione.
Fra le poche battute di Papa Benedetto XVI in Terra Santa che la stampa internazionale ha riportato ci sono quelle relative al “muro”, cioè alla barriera di circa settecento chilometri costruita da Israele nel 2003 al confine con la Cisgiordania allo scopo d’impedire fisicamente l’ingresso di terroristi sul proprio territorio nazionale. Dal momento che la questione del “muro” è fra le più controverse, non è irrilevante esaminare che cosa ne ha veramente detto il Pontefice. Ecco dunque tutti i riferimenti. Per Papa Benedetto XVI “[…] è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri” (81): “benché i muri si possano costruire con facilità, noi tutti sappiamo che essi non durano per sempre. Possono essere abbattuti. Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo” (82). “[…] preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!” (83). “Una delle visioni più tristi per me durante la visita a queste terre è stato il muro. Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi reciprocamente e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione” (84).
Si vede qui come — evidentemente — a Benedetto XVI, come alle Chiese cristiane della Terra Santa, il “muro” non piaccia. Non solo crea difficoltà, insieme ai terroristi, a persone che hanno famiglie o luoghi di lavoro dall’altra parte della barriera. Simbolicamente, un “muro” rappresenta l’esatto contrario di quella fondamentale e primaria unità fra popoli e culture diverse che discende dall’unicità di Dio e che dovrebbe favorire un confronto pacifico. Tuttavia, in un contesto delicatissimo dove si può supporre che ogni singola parola sia stata pesata, il Papa non auspica che il “muro” sia abbattuto qui e ora, “senza se e senza ma”, ma che cessino “le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro” — dunque il “muro” nasce dalle “ostilità”, per definizione bilaterali, non dalla semplice crudeltà unilaterale di una parte — e che vi sia un futuro “senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione” — dunque, in attesa di tale “futuro”, si vive in un presente dove una certa “necessità” esiste.
8. Dopo il processo: la road map del Papa
Dal punto di vista del vigore logico, l’argomento dell’accusatore nel processo contro la religione si rivela molto debole. L’accusatore non è credibile, l’argomento è capzioso. Tuttavia, smontare dal punto di vista speculativo le tesi dell’accusatore non significa che la grancassa mediatica non continui a farle risuonare in tutto il mondo. Né una solida fondazione teorica delle ragioni ultime della pace fa di per sé avanzare un processo di pace in Terra Santa.
A che cosa è servito, allora, il viaggio del Papa? E che cosa fare dopo avere confutato l’accusatore? Contrariamente alla tesi marxista — che è penetrata così a fondo nella cultura da aver influenzato anche molti che dal marxismo si dichiarano lontani — secondo cui sono i fatti a generare le idee, in realtà nella storia le idee vengono prima dei fatti (85). La proclamazione d’idee è dunque decisiva perché sorgano i fatti, anche se il tempo necessario perché le idee si trasformino in fatti non può essere esattamente determinato a priori, sia dipende dallo zelo e dall’energia profusi perché questa trasformazione si realizzi e siano superati molteplici ostacoli.
In una regione dove per fare avanzare processi di pace più o meno illusori sono state proposte tante road map, “tabelle di marcia”, anche Papa Benedetto XVI ha voluto lasciare una sua mappa delle cose da fare, un po’ diversa da quella dei politici. Questa road map è stata enunciata, in tre punti, già durante il volo papale verso la Terra Santa, ed è stata poi ripetutamente illustrata durante il viaggio.
Il “primo livello” (86) è quello della preghiera. Il Pontefice, naturalmente, non ha difficoltà a immaginare le alzate di spalle di molti: a che cosa mai può servire raccogliersi in preghiera mentre fuori infuria la guerra? Eppure “[…] da credenti, siamo convinti che la preghiera sia una vera forza: apre il mondo a Dio. Siamo convinti che Dio ascolti e che possa agire nella storia. Penso che se milioni di persone, di credenti, pregano, è realmente una forza che influisce” (87). La preghiera, che testimonia l’unicità del Dio creatore, è un atto di fede che però contiene in sé anche la ragione: “La preghiera è speranza in azione. E di fatto la vera ragione è contenuta nella preghiera: noi entriamo in contatto amoroso con l’unico Dio, il Creatore universale, e nel fare così giungiamo a renderci conto della futilità delle divisioni umane e dei pregiudizi e avvertiamo le meravigliose possibilità che si aprono davanti a noi quando i nostri cuori sono convertiti alla verità di Dio, al suo progetto per ognuno di noi e per il nostro mondo” (88). E la preghiera funziona, perché “[…] anche i cuori induriti dal cinismo o dall’ingiustizia o dalla riluttanza a perdonare non sono mai al di là del raggio d’azione di Dio” (89).
Il “secondo livello” (90) è quello della “formazione delle coscienze” (91). Oggi “ma io seguo la mia coscienza” è diventato uno slogan per non seguire il diritto naturale o il Magistero della Chiesa, dimenticando che la coscienza dev’essere formata. Talora si presenta come voce della coscienza la semplice voce degl’interessi soggettivi. Invece “la coscienza è la capacità dell’uomo di percepire la verità, ma questa capacità è spesso ostacolata da interessi particolari. E liberare da questi interessi, aprire maggiormente alla verità, ai veri valori è un impegno grande: è un compito della Chiesa aiutare a conoscere i veri criteri, i valori veri, e a liberarci da interessi particolari” (92). La coscienza, ha ricordato Papa Benedetto XVI esaltando in Terra Santa “le solide famiglie cristiane di queste terre [che] sono una grande eredità tramandata dalle precedenti generazioni” (93) e concludendo solennemente l’Anno della Famiglia indetto dai vescovi cattolici della regione, si forma anzitutto nella famiglia, dove gli stessi “[…] bambini hanno un ruolo speciale nel far crescere i loro genitori nella santità” (94) e nella vita morale.
Il “terzo livello” (95) è la formazione della ragione. La Chiesa vi si dedica, come sempre ha fatto nella sua storia, sia incontrando tutti — anche i non cristiani e i non credenti —, e a tutti indicando l’universalità della ragione, sia creando istituzioni educative non riservate ai soli cattolici. Da questo punto di vista il Papa è tornato ripetutamente sull’importanza di un gesto compiuto durante il suo viaggio: la benedizione della prima pietra dell’Università di Madaba, la prima università cattolica in Giordania. Formare la ragione significa insegnare “[…] ad aprire la nostra intelligenza alle illimitate possibilità del potere trasformante di Dio” (96).
Ne nascerà un rapporto fra fede e ragione non solo saldamente fondato dal punto di vista teologico e filosofico, ma anche esteticamente bello e gratificante. A Nazareth Papa Benedetto XVI — seguendo le Rivelazioni della mistica inglese beata Giuliana da Norwich (1342 ca.-1416 ca.) — rileva come “il racconto dell’Annunciazione illustra la straordinaria gentilezza di Dio (cfr Madre Julian di Norwich, Rivelazioni, 77-79). Egli non impone se stesso, non predetermina semplicemente la parte che Maria avrà nel suo piano per la nostra salvezza, egli cerca innanzitutto il suo assenso. Nella Creazione iniziale ovviamente non era questione che Dio chiedesse il consenso delle sue creature, ma in questa nuova Creazione egli lo chiede. Maria sta al posto di tutta l’umanità. Lei parla per tutti noi quando risponde all’invito dell’angelo. San Bernardo [di Chiaravalle (1090-1153)] descrive come l’intera corte celeste stesse aspettando con ansiosa impazienza la sua parola di consenso grazie alla quale si compì l’unione nuziale tra Dio e l’umanità. L’attenzione di tutti i cori degli angeli s’era concentrata su questo momento, nel quale ebbe luogo un dialogo che avrebbe dato avvio ad un nuovo e definitivo capitolo della storia del mondo. Maria disse: “Avvenga di me secondo la tua parola”. E la Parola di Dio divenne carne. Il riflettere su questo gioioso mistero ci dà speranza, la sicura speranza che Dio continuerà a condurre la nostra storia, ad agire con potere creativo per realizzare gli obiettivi che al calcolo umano sembrano impossibili” (97). Che la road map del Papa dia risultati concreti nella tormentata storia della Terra Santa può sembrare impossibile agli uomini. Ma nulla è impossibile a Dio.
Note
(1) Benedetto XVI, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo di ritorno dalla Terra Santa, del 15-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 17-5-2009.
(2) Idem, Visita al Centro Regina Pacis di Amman, dell’8-5-2009, ibid. 9-5-2009.
(3) Idem, Celebrazione dei vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i movimenti ecclesiali nella cattedrale greco-melkita di San Giorgio di Amman, del 9-5-2009, ibid. 11-5-2009.
(4) Idem, Visita all’antica Basilica del Memoriale di Mosè sul Monte Nebo, del 9-5-2009, ibid. 10-5-2009.
(5) Idem, Preghiera del Regina Cæli con gli ordinari di Terra Santa nel Cenacolo di Gerusalemme, del 12-5-2009, ibid. 13-5-2009.
(6) Idem, Celebrazione dei vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i movimenti ecclesiali nella cattedrale greco-melkita di San Giorgio di Amman, cit.
(7) Idem, Preghiera del Regina Cæli con gli ordinari di Terra Santa nel Cenacolo di Gerusalemme, cit.
(8) Ibidem.
(9) Idem, Cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, del 15-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 16-5-2009.
(10) Idem, Omelia durante la Messa nella Valle di Giosafat, del 12-5-2009, ibid. 14-5-2009.
(11) Idem, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, dell’8-5-2009, ibid. 10-5-2009.
(12) Ibidem.
(13) Cfr. Michel Onfray, Trattato di ateologia. Fisica della metafisica, trad. it., Fazi, Roma 2005.
(14) Cfr. Richard Dawkins, L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, trad. it., Mondadori, Milano 2007.
(15) Cfr. Christopher Hitchens, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, trad. it., Einaudi, Torino 2007.
(16) Cfr. un’inchiesta giornalistica singolarmente bene informata, i cui autori hanno peraltro sui temi morali posizioni lontane da quelle di Papa Benedetto XVI: John Micklethwait e Adrian Wooldridge, God Is Back. How the Global Rise of Faith Is Changing the World, Penguin, Londra 2009; cfr. un accostamento sociologico, in Rodney Stark e Massimo Introvigne, Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2003.
(17) Benedetto XVI, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all’esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, del 9-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 10-5-2009.
(18) Idem, Celebrazione dei vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i movimenti ecclesiali nella cattedrale greco-melkita di San Giorgio di Amman, cit.
(19) Idem, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all’esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit.
(20) Idem, Omelia durante la Messa nella piazza della mangiatoia di Betlemme, del 13-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 14-5-2009.
(21) Idem, Visita alla basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, del 13-5-2009, ibid. 16-5-2009.
(22) Idem, Benedizione della prima pietra dell’Università del Patriarcato Latino a Madaba, del 9-5-2009, ibid. 10-5-2009.
(23) Idem, Celebrazione dei vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i movimenti ecclesiali nella cattedrale greco-melkita di San Giorgio di Amman, cit.
(24) Idem, Omelia durante la Messa nell’International Stadium di Amman, del 10-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 11/12-5-2009.
(25) Idem, Cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, dell’11-5-2009, ibidem.
(26) Idem, Cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit.
(27) Idem, Visita al Memoriale di Yad Vashem di Gerusalemme, dell’11-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 13-5-2009.
(28) Idem, Cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit.
(29) Idem, Visita di cortesia ai due gran rabbini di Gerusalemme nel Centro Hechal Shlomo di Gerusalemme, del 12-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 13-5-2009.
(30) Idem, Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro di Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme, dell’11-5-2009, ibidem.
(31) Idem, Cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit.
(32) Idem, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, cit.
(33) Ibidem.
(34) Idem, Benedizione della prima pietra dell’Università del Patriarcato Latino a Madaba, cit.
(35) Ibidem.
(36) Idem, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all’esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit.
(37) Idem, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, cit.
(38) Idem, Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro di Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme, cit.
(39) Ibidem.
(40) Idem, Benedizione della prima pietra dell’Università del Patriarcato Latino a Madaba, cit.
(41) Idem, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all’esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit.
(42) Idem, Benedizione della prima pietra dell’Università del Patriarcato Latino a Madaba, cit.
(43) Cfr. Idem, Discorso ai rappresentanti del mondo scientifico nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg, del 12-9-2006, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. II, 2, 2006 (Luglio-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, pp. 257-267; cfr. pure don Pietro Cantoni, Il discorso di Ratisbona, in Cristianità, anno XXXV, n. 339, Piacenza gennaio-febbraio 2007, pp. 9-12.
(44) Benedetto XVI, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all’esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit.
(45) Ibidem.
(46) Ibidem.
(47) Idem, Saluto ai capi religiosi della Galilea nell’auditorium del Santuario dell’Annunciazione di Nazareth, del 14-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 16-5-2009.
(48) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 36.
(49) Benedetto XVI, Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro di Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme, cit.
(50) Idem, Saluto ai capi religiosi della Galilea nell’auditorium del Santuario dell’Annunciazione di Nazareth, cit.
(51) Idem, Visita di cortesia al Gran Mufti sulla spianata delle moschee di Gerusalemme, del 12-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 13-5-2009.
(52) Ibidem.
(53) Idem, Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro di Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme, cit.
(54) Ibidem.
(55) Ibidem.
(56) Ibidem.
(57) Ibidem.
(58) Ibidem.
(59) Ibidem.
(60) Ibidem.
(61) Ibidem.
(62) Cfr. Idem, Il testo su papato e Università che Benedetto XVI avrebbe letto all’Università “La Sapienza” di Roma, del 17-1-2008, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. IV, 1, 2008 (gennaio-giugno), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp. 78-86.
(63) Ibidem.
(64) Idem, Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro di Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme, cit.
(65) Idem, Cerimonia di benvenuto nel piazzale antistante il palazzo presidenziale di Betlemme, del 13-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 14-5-2009.
(66) Idem, Cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale Queen Alia di Amman, dell’8-5-2009, ibid. 9-5-2009.
(67) Idem, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all’esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit.
(68) Idem, Cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale Queen Alia di Amman, cit.
(69) Idem, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all’esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit.
(70) Idem, Omelia durante la Messa sul Monte del Precipizio di Nazareth, del 14-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 15-5-2009.
(71) Idem, Visita di cortesia al Presidente dello Stato di Israele nel palazzo presidenziale di Gerusalemme, dell’11-5-2009, ibid. 13-5-2009.
(72) Ibidem.
(73) Idem, Visita di cortesia al Gran Mufti sulla spianata delle moschee di Gerusalemme, cit.
(74) Ibidem.
(75) Idem, Visita di cortesia al Presidente dello Stato di Israele nel palazzo presidenziale di Gerusalemme, cit.
(76) Idem, Cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit.
(77) Idem, Cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit.
(78) Idem, Cerimonia di benvenuto nel piazzale antistante il palazzo presidenziale di Betlemme, cit.
(79) Idem, Cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit.
(80) Ibidem.
(81) Idem, Visita all’Aida Refugee Camp di Betlemme, del 13-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 15-5-2009.
(82) Idem, Cerimonia di congedo nel cortile del palazzo presidenziale di Betlemme, del 13-5-2009, ibidem.
(83) Idem, Visita all’Aida Refugee Camp di Betlemme, cit.
(84) Idem, Cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit.
(85) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione vent’anni dopo in prima edizione mondiale, con lettere di encomio di mons. Romolo Carboni (1911-1999), nunzio apostolico in Perù-oggi nunzio apostolico in Italia, e con un Saggio Introduttivo di Giovanni Cantoni, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 81-82.
(86) Benedetto XVI, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, cit.
(87) Ibidem.
(88) Idem, Visita al Centro Regina Pacis di Amman, cit.
(89) Ibidem.
(90) Idem, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, cit.
(91) Ibidem.
(92) Ibidem.
(93) Idem, Omelia durante la Messa nell’International Stadium di Amman, cit.
(94) Idem, Omelia durante la Messa sul Monte del Precipizio di Nazareth, cit.
(95) Idem, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, cit.
(96) Idem, Celebrazione dei vespri con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i movimenti ecclesiali e gli operatori pastorali della Galilea nella basilica superiore dell’Annunciazione di Nazareth, del 14-5-2009, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 16-5-2009.
(97) Ibidem; cfr. della santa inglese Giuliana di Norwich, Libro delle rivelazioni, con Introduzione e a cura di Domenico Pezzini, Àncora, Milano 2003.