Di Ernesto Galli della Loggia da Il Corriere del 18/07/2021
Ignoro se il ministro degli esteri Luigi Di Maio — grande fautore dell’arrivo in Italia della Via della Seta promossa dal governo cinese per favorire la propria influenza mondiale, e in generale animato dalla più viva simpatia per il governo di Pechino — sia stato informato dai suoi collaboratori di una recente dichiarazione stilata da una dozzina di esperti di diritti umani delle Nazioni Unite. Nel dubbio cercherò di farlo io.
Dunque, gli esperti dell’Onu hanno lanciato l’allarme per le notizie che giungono loro circa una pratica atroce che sarebbe sempre più adottata dalle autorità cinesi: il prelievo forzato di organi ai danni di prigionieri appartenenti alle minoranze perseguitate dal regime comunista. In questo caso, oltre agli Uiguri musulmani, ai buddisti tibetani e ai cattolici non allineati, in particolare anche i praticanti del Falun Gong.
Un certo numero di disgraziati appartenenti a questi gruppi verrebbero sottoposti a forza ad una serie di esami (analisi del sangue, ecografie e radiografie dei vari organi interni, ecc.) i cui risultati, se positivi, sarebbero poi immessi in una grande banca dati per decidere l’attribuzione degli stessi organi (pare specialmente il cuore, i reni, il fegato e le cornee ) a coloro che oltre ad averne bisogno siano anche, si può facilmente presumere, nelle grazie del Potere. Pechino naturalmente smentisce. Ammette sì di aver adottato tale pratica: ma ai condannati a morte, e solo fino al 2015 ed esclusivamente «su base volontaria» (sic!).
Non spiega però quale origine abbia, allora, l’altissimo numero di trapianti che anche dopo quella data continuano ad esserci in Cina, privi di ogni procedura di tracciabilità internazionalmente riconosciuta.
Ma chissà, se Di Maio lo chiedesse all’ambasciatore cinese a Roma forse lui sarebbe così fortunato da venirlo a sapere.