Del 26/04/2018.
Queste mie parole sorgono dal cuore del vescovo ma anche dell’uomo e del
cittadino.
La vicenda drammatica del piccolo Alfie non può lasciarci solo pensosi e tristi. Deve,
piuttosto, portare ad una riflessione pacata e che aiuti a maturare una posizione per cui i
diritti dei deboli – innanzitutto di un bambino e poi dei due giovani genitori – non siano
“diritti deboli”.
La vicenda del piccolo e fragilissimo Alfie ha faticato a catturare l’attenzione di molti,
ma, alla fine e contro tanti ostacoli, vi è riuscita. E questo bambino, anche grazie ai media, è
diventato davvero “figlio nostro” e “figlio del mondo”.
La vicenda è molto triste perché chiama in causa la civiltà e la cultura, il diritto e la
giustizia, le istanze etiche attorno a cui si fonda la vita di un intero Paese, di molti popoli, di
una nazione e di un intero continente – l’Europa – che purtroppo, ancora una volta, ci lascia
profondamente delusi per come non riesce a trattare una questione delicatissima e così
lancinante. L’Europa si spende per l’euro, per le banche, per i parametri economici… ma
sembra continuare a balbettare in altri fondamentali ambiti.
Il nostro Paese, l’Italia, concedendo ad Alfie la cittadinanza e offrendo la
disponibilità ad accoglierlo e curarlo in alcune nostre strutture ospedaliere d’eccellenza (il
Bambino Gesù di Roma e il Gaslini di Genova), ancora una volta – come per il salvataggio
di migliaia di uomini in mare – ha saputo e soprattutto voluto cantare fuori dal coro,
mostrando in tale vicenda un’attenzione, una sensibilità e, in una parola, un’umanità che, in
fondo, da sempre appartiene all’Italia, alla sua storia e alla sua cultura e che viene
continuamente attestata da varie e attuali situazioni contingenti e strutturali.
Certo, non sono mancate e non mancano in Italia ambiguità e incoerenze – alcuni
recenti provvedimenti legislativi lo dimostrano – ma in questi casi (il piccolo Alfie e i
salvataggi in mare) – e quindi sia nel rispetto della vita che, più in generale, nel prendersi
cura delle persone – si è evidenziata un’incoraggiante “originalità” propria della cultura e
della civiltà italiana, anche rispetto ad altri filoni di pensiero anglosassoni ed europei.
Un’originalità di cui dovremmo andare umilmente fieri, non dimenticando di trascurarla e
praticarla per il futuro.
Con le parole che ha usato pochi giorni fa Papa Francesco, vorrei anch’io ribadire
che “l’unico padrone della vita, dall’inizio alla fine naturale, è Dio” e che, sempre, “il nostro
dovere è fare di tutto per custodire la vita”.
Anche chi non è credente può convenire sul fatto che nessun potere umano
(politico) può arrogarsi il diritto di impedire che altri Stati ed istituzioni scientifiche
riconosciute come eccellenze – nel campo della ricerca e della cura medica – si facciano
carico del piccolo Alfie ed intervengano in luogo di chi non ha più nulla da dire o da dare.
Senza accanimento terapeutico, senza cioè trattamenti sproporzionati, ma anche
senza abbandono terapeutico, cioè senza mai venire meno al dovere-diritto di prendersi
cura e di accompagnare la persona malata e i suoi familiari con alta professionalità, con
grande umanità e con… amore, veramente disinteressato e non ideologico.
Si tratta perlomeno di risparmiare il dolore – come ora è possibile, con le opportune
e preziose cure palliative – fino al momento della morte naturale. Solo così una società
“vive” e progredisce, solo così si cresce in civiltà e umanità.
Affidiamo nella preghiera il piccolo Alfie e i suoi genitori alla Madonna – che è
Madre di misericordia – perché non faccia mancare luce e speranza anche nei momenti più
bui e continuiamo a chiedere ed invocare umanità perché finalmente, come ha detto
ancora il Santo Padre, “venga ascoltata la sofferenza dei suoi genitori”.