Mai come in questo tempo drammatico la Chiesa deve essere capace di non perdere contatto con i fedeli e ancora di più di entrare in sintonia con i cosiddetti “lontani”, affinché ne vedano e ne sentano la presenza. Alleanza Cattolica chiede ai vescovi italiani di raccontare come stanno operando nelle proprie diocesi per combattere il coronavirus e le sue conseguenze nella vita quotidiana.
Ecc. mons. Corrado Sanguineti, lo scopo principale delle interviste ai vescovi che Alleanza Cattolica sta raccogliendo è aiutare i fedeli a comprendere che la Chiesa non ha abbandonato il popolo cristiano al proprio destino, come può suggerire erroneamente l’assenza di partecipazione popolare alle Messe, ma che in ogni diocesi, anche nelle più piccole, si cerca in tutti i modi di stare accanto alla gente nel modo in cui la situazione drammatica del Paese, dal punto di vista sanitario, consente.
Che cosa succede ora nella sua diocesi?
Innanzitutto, come pastore, condivido la preoccupazione per la situazione grave di epidemia diffusa, che sta portando alla morte tante persone, che sta creando difficoltà pesanti alle strutture sanitarie, soprattutto ai reparti di terapia intensiva, e diffonde ansia nelle famiglie e nella società. Sono davvero ammirato e commosso dell’impegno immenso dei nostri infermieri, medici e di tutto il personale che lavora nella sanità e delle testimonianze di un’umanità bella, capace di spendersi fino in fondo per chi sta male.
Sento anche una profonda sofferenza per l’interruzione delle messe con i fedeli, e di ogni forma di vita pastorale e liturgica nelle comunità cristiane, e avverto questo tempo come tempo di purificazione e occasione di maturazione nella fede.
Per questo motivo, come Diocesi di Pavia, stiamo offrendo momenti di preghiera e di catechesi attraverso l’emittente locale di TelePavia e il canale YouTube del nostro Sito: ogni settimana la messa celebrata da me alle 11, una catechesi al martedì sera alle 21 e il venerdì sera la Via Crucis alle 21. Inoltre nelle singole parrocchie i sacerdoti e i catechisti offrono materiale per la preghiera in famiglia e per la catechesi con i bambini e i ragazzi, sia facendo avere degli stampati, sia attraverso i moderni social (molte parrocchie hanno una pagina Facebook dove possono postare scritti e video). Ho chiesto ai miei preti di tenere le chiese aperte, almeno alcune ore della giornata, di rendersi disponibili per le confessioni e i colloqui in luoghi adeguati e non ristretti (anche se in questi ultimi giorni, le persone che escono di casa sono veramente in numero ridottissimo e per motivi giustificati), di restare vicino alle famiglie dei malati telefonando, mantenendo i contatti, e per i malati più gravi di portare loro nelle case, in accordo con i familiari, l’Unzione degli infermi e il Viatico, con le dovute precauzioni per non contagiare (uno potrebbe avere il virus ancora in incubazione) e per non essere contagiati. Infine, ho composto una “Supplica a Maria” che sta circolando anche oltre i confini nella Diocesi, con l’invito a tutte le famiglie che ogni sera alle 21 venga pregata insieme nelle case, come gesto di affidamento alla Madonna e come richiesta di protezione e di vittoria contro il male, e so che molte persone stanno pregando in questo modo, e non sono mancate espressione di gratitudine da parte di parecchie famiglie.
Come ho scritto ai miei sacerdoti, credo che è essenziale non vivere questo tempo quasi “sospeso” come un tempo vuoto e d’assenza e far sentire, come possiamo, la nostra vicinanza di pastori e che la Chiesa continua a vivere e a sostenere il cammino delle persone. La ripresa del cammino ordinario, quando sarà possibile, dipenderà molto da come abbiamo saputo esprimere una chiesa comunque vicina alla gente, che si prende cura del cammino di fede delle persone e delle famiglie.
Quali sono le ragioni culturali e storiche che hanno contribuito a estromettere la dimensione religiosa dalla vita pubblica del nostro Paese e quindi a far sì che dalle classi dirigenti sia assente il richiamo alla preghiera e alla penitenza come mezzi per superare l’emergenza sanitaria e sconfiggere il coronavirus?
In effetti, non da oggi, colpisce come nella comunicazione politica delle classi dirigenti manca qualsiasi riferimento alla dimensione religiosa, alla preghiera, alle risorse spirituali della persona e delle comunità, soprattutto negli Stati dell’Europa occidentale: c’è un costume già diverso negli Stati Uniti e nelle nazioni dell’est europeo, compresa la Russia, anche se talvolta l’invocazione di Dio o l’appello a valori religiosi acquistano una veste un po’ retorica e formale. Le ragioni culturali e storiche sono complesse e attengono a un percorso di pensiero, di vicende, di contrapposizioni tra Stati moderni e Chiesa che è impossibile riassumere in una breve risposta. Certo è che noi assistiamo al predominio di una visione “laica”, non poche volte “laicista”, che esclude Dio dall’orizzonte della vita e della storia, confinando la fede in lui a una opzione privata, senza rilevanza sociale, e qui sta la debolezza profonda dei sistemi legislativi e politici delle moderne democrazie occidentali che di fatto sussistono in forza di premesse morali che, staccate da una vivente esperienza religiosa, non hanno fondamento. Così tende a realizzarsi una democrazia puramente procedurale, che potrebbe, in base al principio assoluto della maggioranza, legalizzare o giustificare azioni contro la dignità e la verità della persona, come accade! È il pericolo già messo in luce da San Giovanni Paolo II di una democrazia che si realizza nell’orizzonte di un totale relativismo e che si può capovolgere in “dittatura” o in forme d’intolleranza per chi non si adegua al “pensiero unico” spesso evocato da Papa Francesco.
In realtà, senza voler restaurare un regime confessionale, chiaramente improponibile e che ha avuto anche aspetti negativi e dannosi per la stessa testimonianza della Chiesa, uno Stato laico non solo non dovrebbe temere una dimensione anche pubblica e sociale della religione, incarnata concretamente dalle comunità dei credenti, ma dovrebbe riconoscere che per vivere e per affrontare le sfide più grandi – com’è quella che stiamo vivendo – la società, le famiglie, le persone hanno bisogno di attingere a energie e a motivazioni profonde che nascono da ogni autentica esperienza religiosa.
La Chiesa Cattolica rappresenta ormai una minoranza, ma in che modo potrebbe invece rafforzare la propria presenza nella vita pubblica? Quali gesti coraggiosi, che vadano oltre la pastorale ordinaria e che aiutino gli italiani a conoscere l’importante lavoro educativo e assistenziale svolto dai cattolici, potrebbe compiere?
Credo che il primo contributo che la Chiesa può dare alla vita del nostro paese è vivere fino in fondo la sua missione, che comporta l’annuncio e la testimonianza del Vangelo e della viva presenza di Cristo, attraverso la vita reale delle comunità cristiane: perché il cristianesimo è innanzitutto un avvenimento che si pone nel mondo e nell’esistenza degli uomini, attraverso una vita, fatta di parole (la Scrittura, la catechesi, il Magistero, la sapienza dei santi, la riflessione dei teologi, i percorsi di accompagnamento spirituale), di gesti (la celebrazione dei sacramenti, in particolare dell’Eucaristia domenicale, gesti di educazione, di condivisione e servizio, espressioni di vita comune, di fraternità, d’incontro, iniziative di varia natura che prendono forma nelle comunità) e di persone che sono testimoni e portatori di qualcosa che hanno incontrato e stanno sempre più scoprendo e assimilando.
Una Chiesa che si concepisce così, come vita e missione, entra in rapporto con tutto e con tutti, anche attraverso la proposta di un giudizio che riguarda le dimensioni essenziali dell’esistenza personale e sociale: da qui ha preso forma quel grande patrimonio di pensiero e di sapienza che è la dottrina sociale della Chiesa, punto di riferimento per i credenti nella loro concreta esistenza, nei loro impegni nel campo economico, professionale, sociale, culturale e politico (qualunque sia lo schieramento in cui un cattolico gioca la sua responsabilità). Da questo punto di vista, mi pare che ci sia un doppio lavoro da sostenere: noi pastori dovremmo con più coraggio e determinazione intervenire, offrendo una parola chiara su temi e questioni di rilevanza, che hanno una dimensione anche morale e toccano la verità della persona, e i laici cattolici, singolarmente, secondo la propria responsabilità, e in forma associata, dovrebbero esprimersi di più, entrare in modo critico e argomentato nell’agone del dibattito pubblico, tipico di una società pluralista e multiculturale, e là dove si reputa utile o necessario, si possono anche promuovere iniziative pubbliche (conferenze, dibattiti, meeting e raduni in luoghi aperti, ecc.). Purtroppo in questi ultimi anni, per la paura di essere “divisivi” su temi forti, rischiamo di essere silenti.
Sabato, 14 marzo 2020