Siamo a pochi giorni dall’inizio della Settimana Santa, nella memoria della Sofferenza che ha redento il mondo. Siamo anche a pochi giorni dalla ripresa della discussione, in Parlamento, sulle modalità di esprimere le proprie volontà in caso di malattia. Il nodo principale di quel disegno di legge non è politico, ma la politica alla fine sarà decisiva. Non è economico, eppure le spinte a risparmiare sulle cure per anziani e disabili avranno un peso importante. Non è medico, nonostante si voglia caricare sulle spalle degli operatori sanitari il fardello della rinuncia alla responsabilità e alla professionalità. Il vero nodo è antropologico: rispondere alla domanda sul senso della vita, della malattia e della sofferenza. La sofferenza nell’uomo è causata dalla sua natura: gli animali sentono dolore, ma nessuna angoscia. Non si può cogliere il senso della vita e della morte se non ci si pone davanti al Creatore e al Salvatore.
Al Creatore, per non pensarsi in una solitudine autodeterminata, che scimmiotta la libertà ma realizza la disperazione. Al Salvatore, per coltivare la speranza che ci sia una spiegazione al dolore. Ancora una volta, la risposta non è un insieme di parole retoriche, ma una Persona viva e vera che ci mostra una impensabile via: Dio che si fa uomo, e in questa natura soffre, sopporta dolore e angoscia, muore e poi risorge e sana, e salva.
Scriveva Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Salvificis doloris (1984): «Cristo ha operato la redenzione completamente e sino alla fine; al tempo stesso, però, non l’ha chiusa: in questa sofferenza redentiva, mediante la quale si è operata la redenzione del mondo, Cristo si è aperto sin dall’inizio, e costantemente si apre, ad ogni umana sofferenza. Sì, sembra far parte dell’essenza stessa della sofferenza redentiva di Cristo il fatto che essa richieda di essere incessantemente completata. In questo modo, con una tale apertura ad ogni umana sofferenza, Cristo ha operato con la propria sofferenza la redenzione del mondo. Infatti, al tempo stesso, questa redenzione, anche se compiuta in tutta la pienezza con la sofferenza di Cristo, vive e si sviluppa a suo modo nella storia dell’uomo. Vive e si sviluppa come corpo di Cristo, che è la Chiesa, ed in questa dimensione ogni umana sofferenza, in forza dell’unione nell’amore con Cristo, completa la sofferenza di Cristo.»
Quando quest’anno contempleremo Cristo sulla croce, paragoniamolo alle situazioni che una legge vorrebbe regolamentare, immedesimiamoci nell’esempio dei santi, guardiamo alla Madre dolorosa. C’è più di quello che gli uomini di oggi sono disposti ad ammettere, nel racconto della morte di Gesù. Rileggiamolo e meditiamolo.
«Quanto più l’uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d’oggi, tanto più grande è l’eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo.»
Non abbiamo bisogno della morte per togliere la sofferenza, abbiamo bisogno di Dio per darle pienezza di significato.
Chiara Mantovani