Wlodzimierz Redzioch, Cristianità n. 429 (2024)
1. Don Jerzy Popiełuszko, patrono della libertà della nazione
Quarant’anni fa, nell’ottobre del 1984, il sacerdote polacco don Jerzy Popiełuszko (1947-1984) venne assassinato dagli agenti dei servizi di sicurezza del Paese. San Giovanni Paolo II (1978-2005), nel decimo anniversario della morte, definì questo martire del comunismo «impavido difensore della verità, della giustizia, della libertà e della dignità dell’uomo» (1) e la Chiesa lo dichiarò beato il 6 giugno 2010.
In occasione del 40° anniversario del martirio l’episcopato polacco ha pubblicato una Lettera pastorale, letta in tutte le chiese del Paese il 29 settembre (2). Ricordando la figura del beato, i vescovi sottolineano che attraverso la sua vita si è realizzato il disegno di salvezza di Dio, perché nelle sue parole e nelle sue azioni si può ritrovare una santità che trascende la sua epoca. Ma si pongono anche delle domande: don Jerzy può essere oggi d’esempio? La nostra epoca è molto diversa dalla sua?
2. Verso il sacerdozio
All’inizio della Lettera si ricorda la strada di Popiełuszko verso il sacerdozio. «Veniva dal villaggio di Okopy nella regione Podlasie [nord-est della Polonia]. La profonda fede dei suoi genitori e le difficoltà della vita quotidiana hanno plasmato la forza del suo carattere. A casa imparò a distinguere il bene dal male, la verità dalla menzogna e imparò a rispettare le persone. La madre iniziava la loro preghiera quotidiana. Il futuro sacerdote, ispirato da padre Maksymilian Kolbe [1894-1941], dopo l’esame di maturità nel 1965, fece domanda al seminario teologico di Varsavia».
Purtroppo, nella Polonia comunista le autorità sottoponevano i seminaristi a due anni di servizio militare in un’unità loro destinata. Era un periodo di grande prova. Così i vescovi scrivono del servizio militare di Popiełuszko: «Chiunque non riconoscesse l’ordine socialista dovette affrontare la persecuzione. I chierici furono sottoposti a indottrinamento e le pratiche religiose furono proibite. Forse Popiełuszko non capiva quanto fossero grandi le forze del male a cui stava resistendo. Ogni giorno pregava con insistenza ad alta voce e si rifiutava di abbandonare la sua medaglietta e il suo rosario. In una delle sue lettere scrisse che avrebbe potuto evitare la persecuzione in cambio di concessioni, ma voleva vivere più a fondo. Quindi è stato umiliato e sottoposto a brutali pressioni. Tuttavia, ha mantenuto la sua libertà interiore e ha persino attratto molti dei suoi colleghi. Tutta la sua successiva vita sacerdotale divenne un campo di drammatica lotta per i valori fondamentali nella vita dell’uomo e della società».
3. Cappellano dei lavoratori delle acciaierie
Jerzy Popiełuszko fu ordinato sacerdote dal cardinale beato Stefan Wyszyński (1901-1981) nel maggio del 1972. Nei primi anni svolse il servizio di vicario in diverse parrocchie nell’arcidiocesi di Varsavia e si occupò della pastorale degli infermieri e degli studenti di medicina. Nel 1980 fu assegnato alla parrocchia di San Stanisław Kostka, a Varsavia.
Gli anni Ottanta furono cruciali nella storia contemporanea della Polonia. La visita di Giovanni Paolo II nella sua patria fu un momento di svolta per la società polacca, che acquistò il coraggio di opporsi al sistema totalitario comunista. Nasceva Solidarnosc, il primo sindacato libero del blocco comunista. Nell’agosto del 1980 un’ondata di scioperi di Solidarnosc si diffuse in tutta la Polonia. La chiesa di San Stanisław Kostka si trovava vicino a un grande complesso siderurgico, Huta Warszawa, i cui operai avevano aderito allo sciopero. Chiesero a don Jerzy di celebrare per loro una Messa nella fabbrica, all’aperto. In seguito, il sacerdote scrisse: «Ho ascoltato le confessioni di persone che erano inginocchiate sul marciapiede, esauste oltre ogni sopportazione. E lì, credo, queste persone hanno capito che sono forti, sono forti proprio nell’unità con Dio, con la Chiesa» (3).
Dopo questa prima Messa, don Popiełuszko spalancò le porte della sua casa agli operai.
4. Voce della libertà
La «rivoluzione» pacifica di Solidarnosc fu interrotta il 13 dicembre 1981 con l’introduzione della legge marziale da parte del generale Wojciech Jaruzelski (1923-2014). Cominciò la persecuzione degli attivisti dell’opposizione e molti amici di don Popiełuszko furono arrestati. «Ero con loro durante il trionfo, sono rimasto con loro nella notte nera di dicembre» (4), disse il sacerdote.
Nella Lettera si ricorda la sua intensa attività: «È stato uno dei primi ad organizzare un punto di scambio di informazioni sugli internati a Varsavia, ha assistito alle udienze dei metalmeccanici, il suo appartamento fu trasformato in un deposito di aiuti e le porte della sua casa erano sempre aperte ai bisognosi». Ma in quel drammatico periodo don Jerzy lanciò un’iniziativa che lo rese noto in tutta la Polonia: dal febbraio 1982 iniziò a celebrare le cosiddette «Messe per la patria». «Fu molto vicino alla gente, portandone i pesi e le tragedie e le sue omelie sono diventate estremamente perspicaci e potenti — scrivono i vescovi —. Ricordava che tutte le crisi provengono dalla mancanza di verità, e per vivere nella verità bisogna superare la paura. Insegnava la vera storia della Polonia, difendeva le persone offese. Decine di migliaia di credenti da tutta la Polonia vennero a Żoliborz [il quartiere della parrocchia di San Stanislao Kostka] e si verificavano molte conversioni e battesimi di adulti. La gente tornava a casa senza paura e odio, con un senso di dignità e con speranza. Ovunque arrivasse la sua voce, il sistema comunista, governato dalla paura e dalla manipolazione, perdeva la sua influenza». Perciò i comunisti lanciarono una campagna denigratoria tramite i media e iniziarono una vera persecuzione. Nella Lettera si ricorda che don Popiełuszko «era spiato costantemente, il suo appartamento fu messo sotto controllo, contro la sua casa fu lanciata una bomba, ha ricevuto minacce di morte e la sua auto è stata danneggiata». Ma don Jerzy non si lasciò intimidire, diventando sempre di più un’autorità morale e il simbolo della libertà in Polonia e all’estero. Era cosciente di rischiare la vita ma, come ripeteva, «i discepoli di Cristo dovrebbero essere pronti a dare la vita per la verità».
5. Il martirio e la missione dopo la morte
Il 19 ottobre 1984, don Popiełuszko, durante un incontro con i lavoratori a Bydgoszcz, disse: «Preghiamo affinché possiamo essere liberi dalla paura, dalle intimidazioni, ma soprattutto dal desiderio di vendetta e di violenza» (5). Furono le sue ultime parole in pubblico, una sorta di testamento in cui pregava per la libertà e perdonava i colpevoli. Poche ore dopo, mentre tornava a casa, venne rapito dagli agenti del servizio di sicurezza e picchiato selvaggiamente. Il suo corpo fu ritrovato nelle acque della Vistola il 30 ottobre. I vescovi ricordano che i funerali di don Popiełuszko furono i più affollati nella storia della Polonia: a Varsavia da 600.000 a un milione di persone parteciparono pacificamente all’ultimo saluto al cappellano di Solidarnosc. Le autorità comuniste furono sorprese dalla loro compostezza, perché temevano uno scontro con la folla.
Durante il processo di beatificazione i testimoni hanno sottolineato che don Popiełuszko non aveva carismi straordinari ma era un uomo normale, come tutti noi. La via che percorreva, la sua preghiera e la scelta della verità e del perdono sono a disposizione di ciascuno di noi. Questo è il percorso verso la trasformazione di sé stesso e del mondo, verso il regno di Dio. Nella Lettera si parla del culto del beato Popiełuszko che continua ad aiutare le persone, come lo faceva durante la vita. «Molte persone oggi segnalano trasformazioni interiori e grazie ricevute per intercessione del Beato. Le persone ringraziano per la liberazione dalla depressione e dalle dipendenze, per la risoluzione delle controversie familiari e per le guarigioni». I vescovi ricordano che «finora quasi 23 milioni di persone hanno pregato sulla sua tomba. Le sue reliquie sono venerate in 1.800 luoghi in sei continenti. L’umile figura del sacerdote oltrepassava i confini geografici, culturali e generazionali. Divenne il patrono del sindacato Solidarnosc, il patrono dei cristiani perseguitati e delle società in lotta contro il totalitarismo, il consumismo e il caos valoriale. Soprattutto, è il santo patrono delle persone che vogliono vivere una vita piena. È anche il santo patrono dei giovani che può guidare nel complicato mondo delle mezze verità, dei conflitti, della paura e dell’odio».
Il comunismo ha falsificato la storia, ha usato menzogna e violenza e ha tolto la libertà alle persone. Allora, nei tempi di don Popiełuszko, ci si scontrava sui valori. Ma la disputa sui valori è ancora in corso. Scrivono i vescovi: «Oggi, per alcuni, la libertà senza Dio e senza verità sta diventando un’attraente caricatura della libertà. Le manipolazioni introducono caos, divisione e odio. Anche oggi dobbiamo superare le paure». La Lettera finisce con un appello: «Nell’anno del 40° anniversario del martirio del beato Jerzy Popiełuszko, chiediamo a Dio il dono della verità e della libertà nei nostri cuori, nella nostra Patria e nel mondo. Chiediamo anche la canonizzazione del beato e umile sacerdote di Podlasie, affinché la sua testimonianza raggiunga il mondo intero».
Wlodzimierz Redzioch
Note:
1) Giovanni Paolo II, Telegramma al card. Józef Glemp [1929-2013], 19-10-1994, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, edizione polacca, n. 12, 1994.
2) Cfr. Conferenza Episcopale Polacca, Ksiądz Jerzy Popiełuszko, Patron Współczesnej Wolności [Don Jerzy Popiełuszko, patrono dell’odierna libertà], del 23-9-2024, e la versione inglese nel sito web <https://episkopat.pl/doc/218626.father-jerzy-popieluszko-the-patron-of-contemporary-freedom>, consultato il 4-11-2024. Tutti le citazioni senza riferimento rimandano a questo documento. Sul beato Popiełuszko, cfr. Wlodzimierz Redzioch e Górny Grzegorz, Jerzy Popiełuszko. Martire del comunismo, con Presentazione del cardinale Marcello Semeraro, Ares, Milano 2024.
3) Grazyna Sikorska, Vita e morte di Jerzy Popiełuszko, trad. it., Queriniana, Brescia 1986, p. 48.
4) Cit. in W. Redzioch e G. Grzegorz, op. cit., p. 92.
5) Ibid., p. 7.