Rino Cammilleri, Cristianità n. 72 (1981)
L’analisi del socialismo, considerato come ideologia successiva e conseguente, ma più rigorosa e coerente, rispetto a quella liberale. Il giudizio negativo sul concetto rivoluzionario di bontà naturale dell’uomo, non più bisognoso della Redenzione, della grazia santificante e quindi della Chiesa. Il cattolicesimo come unica, radicale alternativa alla Rivoluzione, in una lotta all’ultimo sangue e senza confini, di fronte alla quale risulta impraticabile ogni posizione neutrale.
Per la critica di una ideologia rivoluzionaria
Donoso Cortés e il socialismo
«Con le rivoluzioni e senza Dio, io non comprendo né l’Umanità né la Storia» (1).
Troppo nitido è, infatti, per Donoso Cortés (2), il carattere metafisico della Rivoluzione e altrettanto chiare gli appaiono, ormai, le fasi del processo.
Ho già dato i tratti essenziali della sua confutazione del liberalismo (3). Seguiamo adesso il nostro autore nella analisi di quella che ai suoi tempi era la punta avanzata della Rivoluzione: il socialismo.
Socialismo e comunismo sono conseguenze degli stessi errori teologici da cui trae origine il liberalismo, con la differenza che le prime due dottrine portano questi errori alle loro estreme conseguenze. Il liberalismo, derivante dall’errore deista, si limita a operare nella società trasformazioni politiche, annettendo ogni importanza alle questioni economiche e di governo, le quali, rispetto alle questioni religiose, hanno in realtà importanza secondaria. Intento del socialismo, di derivazione ateistica, è la trasformazione radicale della società, passando da un’anarchia individualista a un panteismo politico e sociale. In questa fase subentra il comunismo, che richiede, per la sua attuazione un dispotismo totale.
Se la credenza nel peccato originale è frutto di superstizione, se la ragione e la volontà dell’uomo sono in grado, senza l’ausilio della grazia, di conoscere la verità e di perseguire il bene, la causa del male nella società è da ricercarsi nelle pastoie che intralciano l’umano volere: Dio, la gerarchia sociale, la proprietà, la famiglia.
«[…] la vera causa del male grave e profondo che corrode l’Europa è che è venuta meno l’idea dell’autorità divina e umana» (4).
Questa è la via che porta all’anarchismo di Bakunin e soci.
Il comunismo deriva, invece, dalle eresie panteiste: Dio è tutto, moltitudine, quindi, e democrazia; gli individui sono atomi perpetuamente dal tutto generati e riassorbiti. Ciò che non è Dio è nulla. Da qui il disprezzo per l’individuo e la necessità di confondere le famiglie, i ceti, i popoli, le nazioni. Ne emerge un Dio unico, universale, distruttore del vario e del particolare.
«Questo è il vero tutto, il vero Dio armato di un solo attributo, l’onnipotenza, e vincitore delle tre grandi debolezze del Dio cattolico: la bontà, l’amore, la misericordia.
Chi non riconoscerà in questo Dio Lucifero, il Dio dell’orgoglio?» (5).
Il grande impero anticristiano che ne risulterà «sarà un colossale impero demagogico, retto da un popolano di satanica grandezza, che sarà l’uomo del peccato» (6).
Il socialismo esasperatamente ugualitario dissolve la famiglia, cellula base della società naturale e cristiana. La dissoluzione della famiglia porta con sé quella della proprietà. Infatti, nella Cristianità, i gruppi di famiglie si riuniscono in municipi e questi in nazioni, simboleggiate dal trono e personificate dal re. I re sono, poi, fratelli nel seno della Chiesa, che è madre di tutti.
Ma se gli uomini sono uguali, affermano le scuole socialiste, è assurdo dividerli in gruppi. Visto, poi, che se l’uomo è transitorio la terra non lo è, l’unico ad avere titolo per essere proprietario è lo Stato, perpetuo per natura. Ed è facile per Donoso prevedere che il socialismo avrà la meglio sul liberalismo, in quanto di questo è di gran lunga più coerente, «anzitutto perché affronta decisamente tutti i grandi problemi e tutte le questioni fondamentali e poi perché propone sempre una soluzione perentoria e decisiva. Il socialismo è forte perché è una teologia», ma una teologia dell’uomo, cui il Serpente instilla sempre la solita tentazione: «Sarete come dei».
«I capiscuola del socialismo sono sostanzialmente d’accordo con quanto noi stiamo sostenendo: per averne la prova basti pensare che riservano tutto il loro odio per il cattolicesimo, mentre si limitano a guardare con disprezzo i liberali» (7), conclude Donoso.
Il dogma della «immacolata concezione» dell’uomo porta come conseguenza la mancata accettazione della vita come «valle di lacrime» e, quindi, il rifiuto di ogni sistema penale repressivo. Il dolore come mezzo di riscatto della natura umana perde, così, ogni senso e questo porta, in ultima analisi, a negare ogni valore al sacrificio della Croce.
Ma allora, si chiede Donoso, il male donde proviene? Se esso è l’essenza della società, questa va distrutta radicalmente; la sola trasformazione di essa non sarebbe sufficiente. Se il male è invece accidentale, da dove trae origine? E ancora: su cosa si basano, se la fede è superstizione, i principi rivoluzionari di libertà, uguaglianza e fraternità? Non certo sulla storia, giacché prima dell’avvento del cristianesimo il genere umano era diviso in caste, in liberi e schiavi, in «civili» e «barbari».
«Senza la fede non so ciò che è la verità, e non comprendo che lo scetticismo» (8).
Solo il cattolicesimo può combattere il socialismo, perché è «l’unica dottrina che sia la contraddizione assoluta di quell’altra» (9).
Nel cattolicesimo la ragione cessa di essere «razionalismo» e la libertà transazione. La libertà cattolica non nasce da contratto, né si acquista con la forza, non si conserva con la guerra, non è vigilata da guardie nazionali e non si esporta con le rivoluzioni. Essa è «come la salute dell’organismo in generale, che vale più che un organo sano» (10).
«Date alla dottrina cattolica la forma che più v’aggrada, e qualunque sia questa forma che le darete, tutto sarà cambiato d’un tratto, e vedrete rinnovato l’aspetto della terra» (11).
Sarebbe, però, un errore grossolano credere Donoso Cortés un gretto difensore di interessi acquisiti. Egli sa bene che, grazie alla Rivoluzione borghese, la ricchezza nel mondo si trova a essere molto mal distribuita e che, se la questione rimane irrisolta, «ci penserà il socialismo, e la risolverà mettendo a sacco le nazioni» (12).
Ma combattere il socialismo con il metodo liberale, cioè a colpi di riforma economica, è semplicemente assurdo. Cos’è il socialismo se non una setta materialista che ha fatto dell’economia l’unica ragione dei rapporti umani? L’uomo avrà sempre poca scelta: o farsi sfruttare dai monopoli prodotti dal liberalismo economico, o farsi schiacciare dal monopolio di Stato propugnato dai socialisti.
Il problema è stato in realtà risolto dal cattolicesimo.
Esso ha riscoperto il mondo di istituzioni caritative, ha diffuso tra i ricchi lo spirito di carità, ha raccomandato l’uso del giusto prezzo, ha combattuto l’avidità e l’usura, sempre nel pieno rispetto per la libertà e per la natura umana.
Ma lasciamo la parola a Donoso: «Nella grande classe de’ bisognosi vi ha una zona superiore, una zona media, una zona infima […]. L’aristocrazia della miseria è composta di agricoltori, la classe media di artigiani, la plebe di mendicanti. Ebbene, la Chiesa […] agli agricoltori ha dato terre e li ha fatti proprietari, per gli artigiani ha ricoperta l’Europa di monumenti, per i mendicanti ha avuto pane, e non ha lasciato persona morir di fame. […] Coloro che erano agricoltori tenevano le terre per un fitto minimo, ed erano in realtà proprietari […]. È venuta la rivoluzione ed ha rovesciato ogni cosa. Spogliata la Chiesa, il fitto della terra aumentò; […] così il moto ascensivo impresso dal Cattolicismo alle classi povere fu cambiato dalla rivoluzione in una direzione contraria in un moto d’abbassamento. Gli agricoltori aggravati dall’enorme fitto che son costretti a pagare discendono dalla classe media negli operai: gli operai alla loro volta risospinti dalla numerosa concorrenza degli agricoltori che vengono ad aggiungersi ad essi vanno incessantemente ad ingrossare la plebe de’ mendicanti, i mendicanti da ultimo finiscono i loro giorni nella miseria e nella fame» (13).
Chi si è sempre opposto alla Rivoluzione, preservando in tutti i modi il gregge dall’errore? La Chiesa cattolica. Essa, infatti, è il vero bersaglio delle forze sataniche.
E già ai tempi di Donoso Cortés l’epidemia del virus rivoluzionario si diffondeva in modo spaventoso. «[…] ai nostri giorni l’errore non sta solo nei libri, ma anche fuori di essi: sta nei libri, nelle istituzioni, nelle leggi, nei giornali, nei discorsi, nelle conversazioni, nelle aule, nei circoli, nei focolari, nel foro, in ciò che si dice e in ciò che si tace» (14).
Purtroppo – o meglio, fortunatamente – il cattolicesimo è dottrina siffatta, che basta negarne un solo dogma per far diventare assurdo il tutto.
Alla Rivoluzione è bastato negare il peccato originale.
In questa prospettiva, se l’uomo è già «immacolato» non ha bisogno di santificarsi. Egli può, bensì, toccare le più alte perfezioni tramite il dogma del progresso indefinito. Naturalmente quel che la sua ragione non coglie non esiste ed è peccato quel che la ragione dice essere tale.
Sana la volontà, anche le passioni sono buone; allora, solo il piacere va ricercato, perché il tempo è posseduto dall’uomo per essere goduto. Senza il peccato originale, la Redenzione, se c’è stata, è stata inutile, così come l’azione santificante dello Spirito Santo. Tolta la SS. Trinità, cosa resta del cattolicesimo? E a che serve la Chiesa? Questa, anche come associazione filantropica, è più ingombrante che utile.
Ancora: se la volontà dell’uomo è sana, può perseguire il bene senza l’aiuto della grazia. Sono, quindi, inutili i sacramenti e chi li amministra. Lo stesso dicasi per l’orazione. Ma se l’orazione è oziosa, la è anche la vita contemplativa. Da qui la soppressione degli ordini religiosi e i massacri di frati e di monaci che sempre accompagnano la Rivoluzione. Satana sa quali sono i suoi peggiori nemici.
«Il Dio cattolico che in questa grande tragedia mondiale rappresenta la parte del tiranno, sarà fatto prigioniero, e l’antico dragone, oggi incatenato, salirà al potere illuminando l’orizzonte con il cangiante splendore delle sue squamme; il primo è il male vincitore del bene ne’ tempi del Paradiso terrestre! l’altro è il bene che prevarrà sul male ne’ tempi socialisti» (15). E Donoso è costretto a prendere dolorosamente atto del fatto che «il trionfo col volgere degli anni, sarà irremissibilmente della civiltà filosofica» (16). Pessimista? No. Egli non nega che l’uomo possa salvarsi, solo non gli sembra che abbia voglia di essere salvato. Né Dio, aggiunge Donoso, lo salverà a suo dispetto. La verità prima o poi trionferà, Nostro Signore lo ha promesso, ma il castigo dovrà essere consumato.
«Né mi si dica che se la vittoria è certa, la lotta è superflua, perché in primo luogo essa può ritardare la catastrofe; in secondo luogo essa è pe’ cattolici non solamente utile, ma doverosa» (17). «In quanto alla maniera di combattere, ne rinvengo una sola che possa oggi dare vantaggioso risultamento: il combattimento per mezzo della stampa periodica […]. I combattimenti dalla tribuna a poco giovano» (18). Dà più frutto, quindi, invertire il procedimento: ricristianizzare, cioè, la società e poi, per mezzo di questa, restaurare le istituzioni.
Questo lo scopo principale cui deve tendere lo sforzo costante dei cattolici. Essi non devono farsi abbindolare dalle menzogne e dalla demagogia. «Le rivoluzioni sono malattie dei popoli ricchi, dei popoli liberi» (19).
E nel perseguire il fine vanno usati tutti i mezzi leciti, tra i quali Donoso Cortés non esita ad annoverare, in situazioni disperate, la dittatura. «Quando la legalità basta per salvare la società, sia la legalità, quando non basta sia la dittatura» (20). A male estremi, estremi rimedi. Non si pensi però che Donoso Cortés sia una sorta di «paleofascista», o il teorico dell’autoritarismo.
In realtà, egli stesso chiarisce, se si trattasse di scegliere tra libertà e dittatura, non ci sarebbero problemi. Il fatto è che la scelta è obbligata. Si pone, infatti, fra due dittature: quella della Rivoluzione e quella del governo. E Donoso giudica la seconda la meno pesante e ingiuriosa.
Quello che si prepara, conclude Donoso, è lo scontro finale, una lotta all’ultimo sangue che ha per posta il Cielo. E non c’è posto ove fuggire, né luogo dove nascondersi. Il neutrale si è già schierato con i perdenti.
«E non dirmi che non vuoi combattere, perché nel momento stesso in cui me lo dici stai già combattendo, né che non sai per chi parteggiare, ché nel momento stesso in cui dici questo hai già preso posizione; e non dirmi neppure che vuoi tenerti neutrale, perché nel momento stesso in cui pensi di esserlo già non lo sei più, né puoi dichiarare che te ne starai in disparte con indifferenza, poiché nel momento stesso in cui hai pronunciato tali parole, già hai fatto la tua scelta. Non sprecare le tue energie nel cercare un asilo sicuro che ti protegga dai rischi della guerra, perché ti stancherai inutilmente: questa guerra ha le dimensioni dello spazio e la durata del tempo. Solamente nell’eternità, patria dei giusti, potrai riposarti, perché solo lì non si conoscono battaglie: ma non potrai pretendere che ti vengano spalancate le porte dell’eternità se prima non avrai mostrato le tue cicatrici; quelle porte vengono aperte solamente a coloro che quaggiù presero parte ai combattimenti del Signore e a coloro che, come il Signore, vengono sottoposti al martirio della croce» (21).
Rino Cammilleri
Note:
(1) JUAN DONOSO CORTÉS, Obras Completas, vol. I, a cura di C. Valverde S. J., Madrid 1970, p. 513.
(2) Juan Donoso Cortés, marchese di Valdegamas e visconte del Valle (1809-1853). Più volte deputato per Badajoz, ricoprì importanti cariche e fu ambasciatore di Spagna a Parigi e a Berlino. Dopo una gioventù liberale si convertì al cattolicesimo e scrisse molte opere di critica agli errori del suo tempo. Tra le opere apologetiche fa spicco il Saggio sul cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo. Autore di diversi scritti storici, politici e letterari, conobbe vasta fama all’estero grazie ai discorsi da lui pronunciati in parlamento. Ebbe anche occasione di collaborare indirettamente alla preparazione del Sillabo, in base a una richiesta ufficiosa che la Curia gli aveva fatto pervenire.
(3) Cfr. il mio Donoso Cortés e il liberalismo, in Cristianità, anno IX, n. 71, marzo 1981.
(4) J. DONOSO CORTÉS, Il potere cristiano, a cura di Lucrezia Cipriani Panunzio, Brescia 1964, p. 89.
(5) Ibid., p. 135.
(6) Ibidem.
(7) IDEM, Saggio sul cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo, a cura di Giovanni Allegra, Rusconi, Milano 1972, p. 234.
(8) Scritti vari di Donoso Cortés volgarizzati da G. B. M., tipografia di Filippo Cairo, Roma 1861, p. 491.
(9) J. DONOSO CORTÉS, Il potere cristiano, cit., p. 98.
(10) Scritti vari di Donoso Cortés volgarizzati da G. B. M., cit., p. 336.
(11) Ibid., p. 334.
(12) J. DONOSO CORTÉS, Il potere cristiano, cit., p. 114.
(13) Saggio sul cattolicismo, il liberalismo, il socialismo di Donoso Cortés, marchese di Valdegamas, pubblicato in Parigi nel 1851, prima traduzione italiana, Fuligno, tip. Tommasini, 1852, pp. 390 ss.
(14) J. DONOSO CORTÉS, Il potere cristiano, cit., p, 122.
(15) Scritti vari di Donoso Cortés volgarizzati da G. B. M., cit., p. 292. Donoso Cortés non si faceva illusioni sulla reale capacità di penetrazione delle idee rivoluzionarie e già nel 1849 ammoniva coloro che vedevano nella Spagna un organismo immune: «Generalmente si crede che il socialismo non sia penetrato in Spagna: errore, errore profondo. Il giorno in cui si saranno rotte le dighe, vedrete qui più socialisti che a Parigi».
E ancora, con fine ironia: «Il carattere storico degli spagnoli è l’esagerazione in tutto: […] abbiamo esagerato nella perseveranza fino a lottare per sette secoli contro gli Arabi; abbiamo esagerato nel sentimento religioso fino a creare l’Inquisizione; ci manca solo di esagerare nel socialismo, e certamente lo faremo. Allora vedrete ciò che sono gli spagnoli innamorati di un’idea, buona o cattiva che sia» (J. DONOSO CORTÉS, Il potere cristiano, cit., pp. 77-78).
(16) Scritti vari di Donoso Cortés volgarizzati da G. B. M., cit., p. 55.
(17) Ibid., p. 56.
(18) Ibid., p. 57.
(19) J. DONOSO CORTÉS, Il potere cristiano, cit., p. 42.
(20) Ibid., p. 35.
(21) IDEM, Saggio sul cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo, cit., p. 168.