I giornali “progressisti” di mezzo mondo sostenevano il peronista Sergio Massa, ma a trionfare è stato l’ennesimo “impresentabile”, Javier Milei, la cui confusione ideologica è però emblema della crisi antropologica in atto in tutto l’Occidente. Come ha scritto il 20 novembre Carlo Pagni sulla versione online del quotidiano di Buenos Aires La Nacion, l’Argentina si avvia ora verso una «terra sconosciuta» («tierra desconocida»)
di Stefano Nitoglia
Il 19 novembre si è tenuto il ballottaggio delle elezioni presidenziali argentine tra il candidato Sergio Massa, peronista, presidente della Camera dei deputati della nazione argentina e ministro dell’Economia, della Produzione e dell’Agricoltura e l’outsider Javier Milei, fino ad ora sconosciuto ai più, politico, economista e conduttore radiofonico, che ha incentrato la sua campagna elettorale sulle idee ultraliberiste del libertarismo di destra, che vedono nello Stato la principale minaccia alle libertà dei cittadini e che si inquadrano, grosso modo, anche se con differenze, nella filosofia della scuola austriaca di economia di Friedrich von Hayek (1899-1992) e Ludwig von Mises (1881-1973). Javier Milei ha vinto con 11,39 punti di scarto rispetto all’avversario, raccogliendo il 55,69% delle preferenze, pari a 14.476.462 milioni di voti, contro il 44,30% di Massa, pari a 9.853.492 milioni di voti, mentre le schede bianche sono state 417.515, pari al 1,55% degli aventi diritto al voto. Un risultato che ha sconvolto tutte le previsioni dei più noti tra i sondaggisti sudamericani. Federico Aurelio aveva previsto uno scarto di soli 6 punti; Poliarchia, 5; Isonomia, 3; Marcelo Escolar, 3.
Il declino dell’Argentina, una volta terra ricchissima, dura da oltre ottant’anni, da quando nel 1943 il generale Juan Domingo Perón (1895-1974) strinse un’alleanza con i sindacati di sinistra, che gli aprirono le porte del potere, fondando quello che non è né un partito, né una ideologia, ma una fede: il peronismo. Un movimento populista e pragmatico, che ha conosciuto, nella sua storia, molteplici fasi e cambiamenti. Come scrive Sara Gandolfi sul Corriere della Sera del 17 novembre, non bisogna etichettare il peronismo con le categorie ideologiche tradizionali. «Bisogna comprenderlo come un movimento politico dinamico, perché dentro il peronismo si può incontrare un po’ di tutto, la destra, la sinistra, il liberismo e il collettivismo». Dalla fase iniziale del movimento, all’inizio degli anni ‘40, quella del Generale Perón e della moglie Evita (Maria Eva Duarte de Peron, 1919-1952), caratterizzata da un populismo estremo, i famosi descamisados, si è passati al peronismo degli anni ’90, con le privatizzazioni e la “deregulation” economica del presidente Carlos Menem, poi al kirchnerismo di sinistra del defunto presidente Nestor Kirchner, fino a quello ancora più radicale della moglie Cristina, senza dimenticare quello di Mauricio Macri, politico di ispirazione più liberista, fino a giungere alla figura incolore dell’ultimo presidente, Alberto Fernández.
La profonda crisi economica che ha prodotto ottant’anni di peronismo nelle sue varie salse, l’aumento della criminalità, la corruzione, che ha raggiunto livelli stratosferici, hanno indotto la maggioranza degli argentini al cambiamento, più per stanchezza che per convinzione nelle idee del neopresidente Milei, che sono piuttosto contraddittorie e singolari, per usare un eufemismo. Javier Milei vuole abolire la banca centrale argentina e “dollarizzare” l’economia, è favorevole ai Bitcoin, è contro l’istruzione pubblica, vuole privatizzare la sanità e, addirittura, legalizzare il libero commercio di organi umani, ma è contro l’aborto, sebbene favorevole ai “matrimoni” tra persone dello stesso sesso e alla liberalizzazione delle droghe. Non è neppure contrario alla vendita di bambini, anche se, per via della delicatezza del tema, ha detto che se ne potrà parlare solo tra 200 anni…
Posizioni che gli hanno valso il titolo di “loco”, pazzo come ripetuto dalla campagna, fallimentare, del candidato dell’opposizione. Gli argentini si sono trovati di fronte alla scelta, assai difficile, tra la conferma della politica rovinosa del peronismo e quella, un po’ folle, del neopresidente. E hanno scelto il cambiamento. Cambio drastico senza gradualismo, come ha detto nel suo primo discorso alla nazione Milei.
Quello che è accaduto in Argentina è sintomatico della crisi che ha colpito l’Occidente da 500 anni a questa parte. Con la Rivoluzione che, secondo le categorie del pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), nel suo lungo percorso ha conosciuto la fase dell’Umanesimo, quella religiosa del Protestantesimo, quella politica della Rivoluzione francese, quella economica della Rivoluzione sovietica comunista e, infine, quella in interiore homine del 1968, fino a raggiungere un’evidente crisi antropologica. Per questo, più che piangere sulla memoria di Evita (come suggeriva una celebre canzone di Andrew Lloyd Webber, Don’t cry for me, Argentina), bisognerebbe piangere proprio sull’Argentina e, più in generale, sul mondo occidentale, con le fosche nubi di guerra che si addensano su di esso e sul mondo intero. Sempre, però, speranzosi nella promessa di Fatima: «infine il mio Cuore Immacolato trionferà».
Martedì, 21 novembre 2023