di Marco Invernizzi
Mi pare ci sia stata un po’ di confusione nelle celebrazioni del Quattro Novembre da parte di certe testate e delle istituzioni italiane. Una confusione che nasce peraltro da una contraddizione, che si ripete da cent’anni. Per contribuire a comprendere quanti danni, non solo materiali, abbia provocato la Prima guerra mondiale (1914-1918), Alleanza Cattolica ha pubblicato articoli di Oscar Sanguinetti e di Daniele Fazio. Ma qui s’impone semplicemente una domanda: perché le istituzioni italiane e i media continuano a celebrare una guerra “nazionalista” per definizione e contemporaneamente si scagliano con forza contro il nazionalismo risorgente nel mondo e in particolare contro il “nazionalismo” del ministro dell’Interno Matteo Salvini?
Il preteso “nazionalismo” di Salvini potrà anche sfociare in un nazionalismo inaccettabile, che fra l’altro smentirebbe la storia autonomista e federalista di quella che è stata la Lega Nord, ma al momento mi sembra sia soltanto l’espressione di una legittima difesa di interessi nazionali minacciati. Il nazionalismo invece che spinse l’Italia a entrare in guerra nel 1915 contro gli alleati di solo dieci mesi prima non aveva nessun fondamento ideale. Infatti, l’Italia avrebbe potuto ottenere anche rimanendo neutrale quei territori che gli costarono 680mila morti e oltre un milione tra feriti e mutilati più una crisi morale e politica che la portò dritta al fascismo. E comunque nessuna conquista territoriale avrebbe mai potuto giustificare una guerra di quelle proporzioni.
Che fare dunque? Smettere di celebrare la giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate? Mi rendo conto della portata del problema. Chi per decenni ha sventolato il Tricolore (e continua a farlo) contro l’internazionalismo comunista aveva dei valori da proporre e una patria da onorare. Chi ha riscoperto la bandiera nazionale con il presidente Carlo Azeglio Ciampi (1920-2016) lo ha fatto per cercare di colmare il vuoto lasciato dalla fine delle ideologie e dei partiti politici che le incarnavano. Ma non è possibile costruire l’identità di un popolo su una vittoria nata da un tradimento e costruire l’amore per la patria senza riconoscerne gli errori che l’hanno portata in una direzione sbagliata. Senza quella guerra probabilmente non ci sarebbe stato il fascismo, ma certamente non sarebbe potuta avvenire, almeno così come si è realizzata, la Rivoluzione bolscevica in Russia nel 1917 e l’avvento al potere, attraverso libere elezioni, del nazionalsocialismo in Germania nel 1933.
Allora, appunto, che fare? La ricetta non c’è. Certamente bisogna prima convincersi che quella guerra fu una «inutile strage» come scrisse Papa Benedetto XV (1854-1922). E poi correggere lentamente e progressivamente la lettura della storia nazionale, senza dimenticare il valore e l’importanza delle Forze armate (il corpo degli alpini, in particolare), ma senza neanche pensare che questo aspetto culturale della vita nazionale non abbia una grande importanza. Il “governo del cambiamento” forse potrebbe avviare un cambiamento anche in questa direzione.
Lunedì, 5 novembre 2018