GIOVANNI CANTONI, Cristianità n. 309 (2002)
1. Giovanni Fornero, allievo e continuatore delle opere del massimo esponente della corrente esistenzialista italiana, Nicola Abbagnano (1901-1990), nella terza edizione aggiornata e ampliata del Dizionario di filosofia integra la voce Moderno — termine indicante il periodo della storia occidentale che comincia dopo il Rinascimento, cioè a partire dal secolo XVII — tracciando un quadro delle interpretazioni della costellazione linguistico-concettuale — e degli ismi —, che si riferiscono a “moderno”, o meglio a “la modernità” (1). Fra le più note interpretazioni di tale modernità nel secolo XX, ricorda in primo luogo quella del sociologo tedesco Max Weber (1864-1920), che l’identifica con l’epoca della razionalizzazione tecnico-scientifica e con il conseguente “disincantamento del mondo” (2). E la nozione di “disincantamento” o “disincanto del mondo” — nota lo storico della filosofia — è una delle più ricorrenti del linguaggio filosofico odierno e funziona da cifra della modernità e delle sue tendenze più profonde (3).
Dunque, la formula è usata dal sociologo tedesco per indicare il processo di razionalizzazione del mondo proprio della modernità. Tale processo si accompagna al venir meno degli aspetti magico-religiosi e metafisico-sacrali della vita, e coincide con la riduzione dell’esistente a “oggetto” scientificamente comprensibile e tecnicamente manipolabile: “Non è più necessario — afferma Weber —, come faceva il selvaggio (per il quale quelle forze esistevano), ricorrere agli strumenti della magia per dominare o ingraziarsi gli spiriti. A ciò sopperiscono la ragione e i mezzi tecnici” (4). In conseguenza di questa razionalizzazione, che s’identifica con “[…] la consapevolezza, o la fede, che se solo lo si volesse, si potrebbe sempre giungere a conoscenza“ (5) e che è prodotto di una mentalità efficientistica che privilegia la dimensione strumentale dell’agire e identifica le sue colonne portanti nell’industria, nell’amministrazione burocratica e nella scienza, l’uomo occidentale, l’uomo-soggetto, finisce per chiudersi in una “gabbia di acciaio” (6). A questo proposito lo stesso sociologo scrive: “Nessuno sa ancora chi nell’avvenire vivrà in questa gabbia e se alla fine di questo enorme svolgimento sorgeranno nuovi profeti od una rinascita di antichi pensieri ed ideali o, qualora non avvenga né l’una cosa né l’altra, se avrà luogo una specie di impietramento nella meccanizzazione” (7). Comunque — sentenzia — chi sarà incapace di vivere in un mondo senza Dio e senza profeti, quindi preferirà tornare nelle braccia delle antiche chiese, dovrà prepararsi a un inevitabile “sacrificio dell’intelletto” (8).
2. Non è forse necessario sottolineare come gli esiti del processo descritto da Weber non mettano in questione né l’uso di ragione né la ricerca scientifica con le sue controllate ricadute tecnologiche, ma costituiscano prova — secondo una felice formula del filosofo polacco Stanisùaw Grygiel — della “[…] ideologizzazione dei loro risultati, che si basa sull’errore chiamato pars pro toto“ (9). E la razionalizzazione e la gabbia tecnocratica nella quale rinchiude sono certificate dalla condizione del mondo occidentale contemporaneo al termine del plurisecolare processo rivoluzionario, messo tutto in questione, questo sì, dal crollo del comunismo e sfociato nella palude della Rivoluzione culturale (10).
3. Il corrispondente descrittivo del mondo intero rinchiuso nella gabbia tecnocratica è stata ed è, per certo fino al 1989 ma purtroppo anche oltre, una visione bicolore del mondo tutto, su cui gli europei hanno steso nei secoli un’effimera copertura ideologica, appunto bicolore, cioè dialettica. Gli europei, infatti, hanno praticato i propri contrasti, la propria “guerra civile europea”, non solo nel Vecchio Continente, ma hanno trasformato tale conflitto in guerra — guerre — mondiale, conclusa con l’implosione dell’ideocrazia imperiale socialcomunista (11).
Tale implosione — annunciata, a partire dagli anni 1950, dagli scricchiolii prodotti dall’incipiente crollo delle ideologie — ha inferto un danno strutturale a questa situazione, che ha svelato tutta la sua portata mistificante quando, l’11 settembre 2001, è stato lacerato non il velo del tempio ma il tendone del circo ideologico che copriva il mondo tutto ed è apparsa chiara l’esistenza, sotto l’effimero appunto ideologico, di un mondo umano e storico, il mondo “scoperto” e descritto, non inventato o auspicato, dal politologo statunitense Samuel P. Huntington (12): un mondo costituito da esseri umani e non da manichini in attesa di divise partigiane né radicalmente tasformati da abiti altrui; da etnie e non da improbabili partiti politici; da organizzazioni politiche e non da Stati, o almeno non da “Stati moderni”, che non equivalgono a “Stati contemporanei”. Il Martedì Nero ha dunque reso fisicamente evidente la sopravvivenza, invisibile per l’uomo ideologico, del mondo variamente colorato prodotto dagli uomini nella storia; è stato il primo flash, un primo lampo alla cui luce vedere il mondo reale, un mondo “reincantato”. Non sfat-tume no global, coerente e omogeneo con la prospettiva ideologica e irrealistica e in cui si mescolano la ruggine della gabbia tecnocratica e il sangue raggrumato delle ferite che tale gabbia ha prodotto sugli uomini nei secoli della modernità, ma umanità post peccatum in articolazioni plurisecolari o plurimillenarie: per esempio — è ovvio, ma s’impone dirlo —, il colpo sferrato contro gli “europei d’America” l’11 settembre 2001 viene da un mondo umano non costituito per la bisogna né il 10 settembre né nelle settimane precedenti, ma quattordici volte secolare.
4. Il crollo del circo ideologico e il drammatico flash del Martedì Nero non solo costringono a ri-formarsi un giudizio sui mondi storici costituiti dalle culture e dalle civiltà diverse da quella occidentale e cristiana, prendendo anzitutto atto della loro esistenza e della loro consistenza, quindi della loro qualità, ma inducono pure a riesaminare lo stato del nostro mondo, dopo cinque secoli di visione appiattita, quando gli occhiali con le lenti falsificanti sono caduti e le lenti si sono finalmente rotte. Fra i rischi della ritrovata luminosità, alimentati dallo stupore per il reincanto del mondo, di cui il Martedì Nero costituisce drammatica espressione oggettiva, sta quello di un giudizio esclusivamente negativo sulla “fabbrica degli occhiali”, quando — piuttosto, secondo il filosofo canadese della politica Charles Taylor —, in relazione al passato che avanza fagocitando anche la modernità, “quel che ci occorre non è […] né una condanna totale né un elogio acritico; e neppure un compromesso scrupolosamente bilanciato. Quel che ci occorre è un’opera di ripristino” (13).
“Cosa bisogna fare? — si chiedeva già nel 1935 lo storico, pensatore e letterato svizzero Gonzague de Reynold (1880-1970), e rispondeva: — Ritornare al punto di partenza da cui abbiamo preso la via sbagliata” (14).
Giovanni Cantoni
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(1) Cfr. voce Moderno, in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, terza edizione aggiornata e ampliata da Giovanni Fornero, UTET Libreria, Torino 2001, pp. 723-724.
(2) Cfr. voce Disincantamento del mondo, ibid., pp. 320-321.
(3) Cfr. ibid., p. 321.
(4) Max Weber, La scienza come professione, 1917, con testo tedesco a fronte e con introduzione, traduzione, note e apparati di Paolo Volonté, Rusconi, Milano 1997, pp. 82-91 (pp. 88-89).
(5) Ibidem.
(6) Idem, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1905, trad. it., con saggio introduttivo di Ernesto Sestan (1898-1986), Sansoni, Firenze 1983, p. 305.
(7) Ibid., p. 306.
(8) Idem, La scienza come professione, cit., pp. 130-131.
(9) Stanisùaw Grygiel, La voce nel deserto. Post-scriptum all’insegnamento di Giovanni Paolo II, CSEO biblioteca, Bologna 1981, p. 58, nota 2.
(10) Cfr. il mio Per la “nuova evangelizzazione” dell’Europa, in Cristianità, anno XIX, n. 200, dicembre 1991, pp. 3-9; sulla nozione di Rivoluzione culturale, cfr. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, con lettere di encomio di mons. Romolo Carboni (1911-1999) e con un mio saggio introduttivo su L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Cristianità, Piacenza 1977, parte III, capitolo III, pp. 189-195.
(11) Cfr. le problematiche sulla periodizzazione e sulle categorie filosofiche e politiche, in Domenico Losurdo, Il revisionismo storico. Problemi e miti, Laterza, Roma-Bari 1998.
(12) Cfr. Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, trad. it., Garzanti, Milano 2000.
(13) Charles Taylor, Il disagio della modernità, trad. it., Laterza, Roma-Bari 1994, p. 30.
(14) Gonzague de Reynold, L’Europe tragique, Éditions Spes, Parigi 1935, p. 463; cfr. pure il mio Cultura, Europa e “rieducazione”, in Cristianità, anno XVIIII, n. 180-181, aprile-maggio 1990, pp. 3-4.