Giovanni Cantoni, Cristianità n. 78-79 (1981)
Una lettura «integrale» del recente documento pontificio, con elementi di approfondimento sia storico che dottrinale, alla luce della Tradizione della Chiesa e della situazione della Cristianità, contro l’«auto-demolizione» e al di sopra di tutte le ideologie moderne, nella prospettiva della costruzione di una società a misura di uomo e secondo il piano di Dio.
Dopo la terza enciclica di Giovanni Paolo II
Dottrina sociale e lavoro umano nel messaggio della «Laborem exercens»
I. “Nova et vetera” in conformità con la tradizione del Magistero sociale
Nel novantesimo anniversario della enciclica Rerum novarum un altro documento papale è venuto ad arricchire il già cospicuo deposito di verità cattoliche sulla società e sulle sue strutture, approfondendo particolarmente un aspetto della vita economica, cioè quello relativo al lavoro umano.
Il giorno 14 dello scorso mese di settembre, festa della Esaltazione della Croce, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha resa pubblica la sua terza enciclica, dopo la Redemptor hominis e la Dives in misericordia, cioè l’enciclica Laborem exercens (1).
Il recentissimo documento è, con ogni evidenza, espressione del Magistero «sociale» e ciò si può affermare almeno per due ragioni, una estrinseca e l’altra intrinseca.
1. Un nuovo capitolo della dottrina sociale «in collegamento organico» con i precedenti
La ragione estrinseca consiste nel fatto che il testo pontificio si presenta come inteso, tra l’altro, a ricordare il 90º anniversario della enciclica Rerum novarum, pubblicata da Leone XIII il 15 maggio 1891, e definita prima da Pio XI «come la “Magna Charta”, sulla quale deve posare tutta l’attività cristiana del campo sociale come sul proprio fondamento» (2), poi da Pio XII «la “Magna Charta” dell’operosità sociale cristiana» (3). E precisamente nella decennale ricorrenza di tale data i Romani Pontefici si sono espressi su temi socio-economici, accompagnando e seguendo lo svolgimento della relativa problematica, sia dal punto di vista teorico che di fatto: così, nella scansione di tali pronunciamenti, si sono susseguite l’enciclica Quadragesimo anno, di Pio XI, nel 1931; il radiomessaggio di Pentecoste, di Pio XII, nel 1941; l’enciclica Mater et Magistra, di Giovanni XXIII, nel 1961; quindi la lettera apostolica Octogesima adveniens, di Paolo VI, nel 1971, e oggi, finalmente, l’enciclica Laborem exercens, del regnante Pontefice Giovanni Paolo II.
La ragione intrinseca che qualifica il documento di recente pubblicato come «sociale» è il fatto che verte tematicamente «sul lavoro umano», «che ha come tema principale il lavoro umano» (n. 14), e che, secondo il Pontefice, «il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale» (n. 3), per la cui «graduale soluzione […] acquista un’importanza fondamentale e decisiva» (n. 3). E l’intenzione pontificia non prende corpo tanto per «raccogliere e ripetere ciò che è già contenuto nella dottrina della Chiesa, ma piuttosto per mettere in risalto – forse più di quanto sia stato compiuto finora» (n. 3) – tale importanza, «senza per altro avere l’intenzione di toccare tutti gli argomenti che lo concernono» (n. 3). Quindi, anche se l’argomento messo a tema del pronunciamento pontificio è soltanto il lavoro umano, ciò non rende l’intervento meno importante, dal momento che il lavoro umano «è, in qualche modo, una componente fissa come della vita sociale, così della dottrina della Chiesa» (n. 3), e all’interno di questa dottrina «gli approfondimenti del problema del lavoro hanno avuto un continuo aggiornamento, conservando sempre quella base cristiana di verità, che possiamo chiamare perenne» (n. 3).
Quanto al metodo della trattazione, poi, il Pontefice dice di volere riflettere sul tema che ha prescelto «non in modo difforme, ma piuttosto in collegamento organico con tutta la tradizione di questa dottrina e di queste iniziative» (n. 2), cioè con «la dottrina della Chiesa e le molteplici iniziative connesse con la sua missione apostolica» (n. 2) a proposito della «questione sociale». «Al tempo stesso, però – afferma -, faccio questo, secondo l’orientamento del Vangelo, per estrarre dal patrimonio del Vangelo “cose nuove e cose antiche” (Mt. 13, 52)» (n. 2).
2. Un’occasione per i fedeli e per gli «uomini di buona volontà»
La nuova espressione del Magistero della Chiesa costituisce una occasione di meditazione, di revisione intellettuale e di rinnovamento di propositi operativi per ogni uomo di buona volontà, e quindi, a maggiore titolo, per ogni cattolico necessariamente in ascolto filiale e attento di quanto viene proposto dalla cattedra di Pietro. Per chi, poi, della diffusione della dottrina sociale naturale e cristiana fa la sostanza della propria vocazione umana e cattolica, tali meditazione, revisione intellettuale e rinnovamento di propositi hanno un momento individuale, privato, ma anche un momento pubblico, che costituisce pure un modo per provare la comprensione del messaggio contenuto nel documento e per farsi di detto messaggio eco e veicolo. Con questo spirito mi accingo, per parte mia, a estrarre «nova et vetera», «cose nuove e cose antiche», dal recente testo pontificio, che premetto di volere leggere «alla luce di tutta la Santa Tradizione e sulla base del costante Magistero della Chiesa» (4), cioè del «magistero autentico del Romano Pontefice, anche quando non parla “ex cathedra”, […] secondo che fa conoscere la sua intenzione e la sua volontà, che si palesano specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore della espressione verbale» (5).
Se poi, in questa lettura, non mancherò di aggiungere passi non esplicitamente citati nel nuovo testo, questo farò non per integrare in qualche modo il documento – alla cui totalità evidentemente rimando – ma per contribuire a colmare, almeno in una certa misura, le lacune che chiaramente presenta la modalità corrente di fruire del Magistero pontificio, sociale e non, dal momento che tale modalità è solitamente dialettica, quando non radicalmente alternativa, rispetto al patrimonio dottrinale della Chiesa e quindi – per diverse ragioni, la cui gamma si stende da quelle maliziose e volontarie a quelle indotte e involontarie – raramente, se non mai, «in collegamento organico con tutta la tradizione di questa dottrina» (n. 2).
Giovanni Cantoni
Note:
(1) GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Laborem exercens, del 14-9-1981, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1981. Per la traduzione, salvo modifiche, ho seguito quella pubblicata, senza data, dalla stessa Tipografia Poliglotta Vaticana. I riferimenti all’enciclica contenuti nel testo rimandano alla suddivisione in paragrafi, la cui indicazione non ho messo in nota, ma ho lasciato al fianco della citazione, per facilitarne il reperimento.
(2) PIO XI, Enciclica Quadragesimo anno, del 15-5-1931, in Le encicliche sociali dei Papi. Da Pio IX a Pio XII (1854-1956), a cura di Igino Giordani, 4ª ed. corretta e aumentata, Studium, Roma 1956, p. 446.
(3) PIO XII, Radiomessaggio di Pentecoste, dell’1-6-1941, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. III, p. 111.
(4) GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla riunione plenaria del Sacro Collegio, del 6-11-1979, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. II, 2, p. 1064.
(5) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 25.