di Leonardo Gallotta
Alla fine del canto XX, Dante Alighieri (1265-1321) e Publio Virgilio Marone (70 a.C.-19 d.C.) avevano sentito un forte terremoto che aveva scosso la montagna del Purgatorio e da tutte le anime si era levato il Gloria in excelsis Deo. Ancora pensoso e ansioso di conoscere le cause di ciò che era successo, Dante e la sua guida avanzano tra le anime distese a terra della quinta cornice e, stando dietro di loro, si manifesta un’anima che li saluta. Virgilio risponde al saluto e però quando confessa di essere relegato nel Limbo, l’anima si meraviglia e il poeta latino spiega che così non è per Dante che, per grazia concessa da Dio, è vivo. E lui gli fa solo da guida. Chiede poi all’anima il perché del terremoto e del canto di lode che si era levato.
Al di sopra dei tre gradini dell’Angelo portiere del Purgatorio, risponde l’anima, non vi sono alterazioni atmosferiche e il terremoto che hanno sentito non ha origini naturali. Infatti la montagna trema quando un’anima si sente purificata e capisce, senza che nessuno glielo dica, che può salire oltre. Rivela poi di esser lei l’anima purificata, da cui, per la gioia, il canto di lode a Dio delle altre anime. Alla richiesta della sua identità risponde di essere stato un famoso e celebrato poeta ai tempi dell’imperatore Tito, di essere originario di Tolosa e di chiamarsi Stazio. Attratto dal fascino culturale di Roma vi si recò e lì compose la Tebaide, poema della guerra dei Sette contro Tebe, grazie al quale ottenne la corona poetica. Morì mentre stava scrivendo l’Achilleide. Dichiara poi di essere debitore all’Eneide per la sua poesia e conclude dicendo, iperbolicamente, che per essere vissuto ai tempi di Virgilio sarebbe disposto a rimanere ancora un anno in Purgatorio. E qui ha inizio una scenetta ricca di equivoci. Virgilio, di fronte a queste parole di lode sperticata, fa un cenno a Dante come per invitarlo a tacere. E Dante gli fa un sorriso ammiccante, cosa che insospettisce Stazio che ne chiede ragione. Dante è in grande imbarazzo e così Virgilio dà il via libera allo svelamento della sua identità. Si tratta proprio di lui, è proprio Virgilio. Al che Stazio si getta ai piedi del Maestro, in atto di venerazione, subito però invitato da Virgilio a ricordarsi che sono entrambi spiriti inconsistenti: «Frate / non far chè tu se’ ombra e ombra vedi».
Inizio del canto XXII. In pochi versi Dante liquida il rito della cancellazione della quinta P dalla sua fronte e l’Angelo guardiano li avvia su per la scala che conduce alla sesta cornice. Riprende il dialogo tra i due poeti latini. Virgilio ricorda che nel Limbo era stato un altro poeta, Giovenale (secc. I-II d.C.), a svelargli la grande ammirazione di Stazio per la propria opera, ma è preso da un dubbio e gli chiede come abbia potuto albergare in lui il peccato di avarizia che è proprio di anime meschine, ma Stazio risponde che il suo peccato fu invece di prodigalità, il contrario cioè dell’avarizia, di cui si sconta ugualmente la pena nella quinta cornice. Furono due versi dell’Eneide (III, 56-57) sulla esecranda fame di ricchezze (evidentemente da godere e sperperare) che lo fecero pentire di questo peccato. Virgilio ancora incalza. Stazio è salvo in Purgatorio, ma nelle sue opere non c’è traccia di fede cristiana. Che cosa lo avvicinò a essa? Stazio risponde che anche per questo è debitore a Virgilio, quando nella IV egloga delle Bucoliche parlò di una nuova età che si apriva con un nascente «puer»; insomma una nuova “età dell’oro” con una nuova stirpe discendente dal Cielo. Cominciò a frequentare i cristiani e ad aiutarli durante la persecuzione dell’imperatore Domiziano (51-96), ricevette il battesimo, ma fu un cristiano nascosto, mostrandosi esteriormente ancora pagano. Questa sua timidezza gli costò quattrocento anni di pena nella cornice degli accidiosi. A questo punto Stazio chiede notizia di altri grandi poeti latini a Virgilio e questi risponde che essi, assieme a lui, al principe dei poeti Omero e a tanti altri personaggi cantati dallo stesso Stazio nei suoi poemi, si trovano nel Limbo. Giunti alla sesta cornice Virgilio e Stazio stanno davanti e Dante dietro, tutto attento “ai lor sermoni”.
Quaestiones
1) Perché Dante, tra tanti poeti latini, sceglie proprio Stazio a cui dedica addirittura due canti?
Publio Papinio Stazio è scelto da Dante innanzitutto perché è un grande ammiratore di Virgilio e le parole che dice su di lui danno pure conto della scelta che Dante fece di Virgilio come guida in Inferno e Purgatorio. Stazio sembra quasi consapevole dei limiti della sua poesia e già gli antichi lo dissero “scimmia di Virgilio”, anche se occorre tener presente che, sempre per gli antichi, l’imitazione, se era prova di grande abilità retorica, non era così limitativa come per noi moderni. Riuscire a far proprio lo stile di un grande era considerato un pregio e per questo infatti Stazio meritò l’alloro poetico. Infine l’incontro tra Virgilio e il poeta laureato, con il riconoscimento dei suoi peccati e la sua adesione al Cristianesimo, vuol far emergere la funzione della poesia e della letteratura in genere nella vita dell’uomo, anche in prospettiva etico – religiosa.
2) Perché Dante crede Stazio tolosano, quando in realtà era di Napoli?
Dante, come del resto gli altri medievali, confondeva Papinio Stazio con il retore tolosano Lucio Stazio Ursulo (I sec. d.C.), di età neroniana. Ai tempi di Dante non si conosceva un’altra opera di Papinio, le Silvae, il manoscritto delle quali fu ritrovato solo nel 1417. Da esse si ricava senza ombra di dubbio, come fece il Poliziano (1454 -1494), che il nostro poeta era originario di Napoli.
3) Da dove Dante ha tratto la notizia della laurea poetica?
Noi moderni sappiamo della corona poetica dalle stesse Silvae, non conosciute da Dante.E allora? Il problema è statodefinitivamente risolto da Scevola Mariotti (1920-2000). Infatti all’inizio dell’Achilleide Stazio invoca Apollo perché gli conceda una seconda fronda, visto che già un’altra volta era stato coronato, evidentemente grazie alla Tebaide.
4) Qual è la fonte di Dante per la notizia della prodigalità di Stazio?
Sappiamo che Giovenale parla della «mesta paupertas» di Stazio in contrasto, peraltro, col successo e il favore di pubblico altolocato raggiunto in Roma. Forse Stazio si ridusse in miseria per aver scialacquato i proventi derivanti da tale successo? Alcuni propendono verso una pura e semplice invenzione di Dante. Ma, secondo me, il motivo c’è ed è di tipo narrativo-strutturale. La quinta cornice non può rimanere solo quella degli avari. Nei canti precedenti, infatti, Dante ha parlato solo di avarizia e mai di prodigalità, tant’è che Virgilio dà per scontato che Stazio abbia peccato di avarizia, ma quest’ultimo dice invece di esser stato colpevole del peccato opposto e addirittura pensa che Virgilio sia stato indotto in errore a causa dei soli avari visti nella quinta cornice. Insomma Dante vuol mettere sullo stesso piano i due opposti vizi, se non altro per analogia col IV cerchio dell’Inferno e Stazio gli risolve, per così dire, il problema.
5) Da dove Dante ha tratto notizia del cristianesimo di Stazio?
Alcuni hanno voluto vedere un cripto-cristianesimo di Stazio in passi della Tebaide: quello sull’ara della Clemenza, identificata nel Trecento con l’ara al dio ignoto di cui parla San Paolo o l’altro dell’indovino Tiresia che fa riferimento a una divinità superiore e sconosciuta che non è possibile nominare e comunque definita triplicis mundi summum, coerente con la fede cristiana. Ma al di là di queste, anche sottili, interpretazioni, è Virgilio, soprattutto con la quarta egloga, il seme luminoso che avvicinò Stazio al cristianesimo. Invenzione di Dante? Leggende analoghe a questa si ebbero nel Medioevo per altri poeti latini. Oltre che per Stazio, anche per Seneca, per Orazio e pure per Ovidio. Una fonte? Forse lo Speculum del frate domenicano Vincenzo di Beauvais (1190-1264) che raccontava di tre pagani che si erano convertiti dopo aver letto la quarta egloga e della assidua lettura di Virgilio da parte di Stazio. Leggenda accolta da Dante per favorire questo schema: Virgilio, profeta pagano di una nuova era > Stazio, celebrato poeta, ma cristiano ancora “chiuso” > DANTE, poeta “aperto” della Chiesa e della Cristianità.
Sabato, 16 maggio 2020