Per chi avverte l’urgenza, i tempi sono stretti: chi ha alternative le prospetti. Nella futura legislatura potrebbe non esserci più nessuno a difendere certi temi in Parlamento
Prima o poi si voterà. Più poi che prima: non c’è accordo sulla legge elettorale, ciascuno dei partiti punta a una riforma che si adatti alla propria attuale consistenza e alle proprie prospettive. È facile prevedere tempi non brevi, seguiti, a legge approvata, da ulteriori settimane per ridisegnare circoscrizioni e collegi. Se va bene si arriva all’autunno, altrimenti alla scadenza naturale.
Nel frattempo. Il voto sul referendum costituzionale ha confermato che il No al 60 per cento non coincide con la sommatoria dei simpatizzanti di M5S, Lega, di una parte di Forza Italia e della minoranza Pd; ha fatto emergere ulteriori componenti, fra cui quella costituita dalle tante famiglie italiane che hanno protestato contro la loro mortificazione avvenuta negli ultimi tre anni sul piano normativo, dell’azione di governo, delle crescenti difficoltà nella vita quotidiana. Sono quelle famiglie che per due volte in pochi mesi, con scarso preavviso e a proprie spese, hanno riempito piazza San Giovanni e il Circo Massimo. È una forza elettorale che, tradotta in voti, non va al di sotto dei due milioni, ma potrebbe anche raggiungere i quattro milioni.
Alla prossima chiamata alle urne, chi darà rappresentatività a questa forza? Vi è un rischio concreto. Fino alla legislatura conclusa nel 2013 la presenza in Parlamento di deputati e senatori sensibili a vita, famiglia ed educazione era cospicua: non maggioritaria ma tale da condizionare le scelte, sia per bloccare il varo di norme ostili a queste voci, sia per leggi di segno positivo, dalla fecondazione artificiale del 2004 a quella sulla droga del 2006. Nella legislatura in corso, in virtù di una rinuncia – non si sa quanto consapevole della posta in gioco – da parte del mondo cattolico, quelle presenze si sono ridotte ai minimi termini: hanno svolto testimonianza, senza avere la forza di impedire riforme pessime, dal divorzio breve al divorzio facile, dalle unioni civili alla droga. Se non cambia nulla, al prossimo turno, quale che sia la legge elettorale, non ci sarà più nessuno.
Può darsi che qualcuno lo valuti positivamente: da presidente della Cei il cardinale Ruini per i cattolici italiani coniò – e praticò – il motto “meglio contestati che ininfluenti”. Oggi il motto sembra “ininfluenti per aver scelto di non essere contestati”. Come potrebbe essere diversamente, quando, per esempio, si è accuratamente evitato di prendere posizione su una riforma costituzionale che aggrediva in via diretta il principio di sussidiarietà (quando non si è fatto l’occhiolino al Sì)?
Per chi invece ritiene che l’abbandono della politica e delle istituzioni rappresenti una grave omissione – soprattutto in un tempo che mette in discussione i fondamentali – porsi il problema non è fuori luogo. È immaginabile dare rappresentatività diretta con la costruzione di un cartello elettorale? Non un partito ma un gruppo identificabile, espressione delle associazioni e dei movimenti che – senza perdere identità e autonomia né trasformarsi in qualcosa d’altro rispetto a ciò che si è – accettino di contribuirvi per quota e per delega. Il che presuppone piena condivisione del Magistero sociale e altrettanta consapevolezza che la gravità del momento esige un passo impegnativo.
Va messo nel conto che non tutti ci staranno: se la nomina di un ministro dell’Istruzione portabandiera di quel gender che papa Francesco ha qualificato «colonizzazione ideologica» ha trovato come immediata e incredibile risposta l’offerta di collaborazione da parte di talune realtà ecclesiali italiane, è evidente che qualcuno preferisce altro. Per chi avverte l’urgenza dell’ora, i tempi sono veramente stretti: chi ha delle alternative le prospetti. La Provvidenza nel frattempo ci ha dato una mano: poco più di due mesi fa pochi dubitavano dell’elezione della Clinton a presidente americano e della vittoria del Sì. Diamo per scontato che dovesse andare così o pensiamo sia il caso di corrispondere all’aiuto ricevuto, e di darci una mossa?
Alfredo Mantovano
Da “Tempi” del 16 gennaio 2017. Foto da Il Velino