di Maurizio Milano
1. Definizione
Il termine «economia» deriva dal greco οἰκονομία — da «οἶκος», «dimora» e «νομία», «legge» — e significa «amministrazione della casa». Con la voce «economia politica», dal greco «πόλις», «città», ci si riferisce allo studio delle interazioni materiali fra gli individui in quanto membri di una società. Le risorse sono sempre limitate, a fronte di bisogni, e ancor più di desideri, virtualmente infiniti: da qui la necessità di un loro utilizzo accorto, «economico», sia a livello privato, domestico o di impresa, sia a livello di conti pubblici.
2. Il fine dell’economia
L’economia è connotata da proprie leggi intrinseche e gode di un’autonomia relativa: essa deve però contribuire allo sviluppo completo della persona, «autore, centro e fine di tutta la vita economica»[1]. L’ambito economico è strettamente interconnesso con quello sociale e politico: occorre evitare la confusione tra la sfera politica e quella economica e l’indebita interferenza dell’una con l’altra. L’economia è un processo culturale e, come tale, è parte ed espressione della più ampia visione dell’uomo e del mondo della comunità politica di riferimento, la cui Weltanschauung (visione del mondo) condiziona lo svolgersi della vita economica. Specularmente, le modalità di organizzazione dell’attività economica influiscono sulla cultura della comunità e, quindi, sullo stesso contesto sociale e politico. Perciò, pur occupandosi direttamente di bisogni materiali, l’attività economica ha una valenza molto più ampia che la porta a interagire con le idee e i valori delle persone e delle collettività.
3. L’ordinamento dell’economia
Per conseguire il proprio fine, l’economia richiede un ordinamento conforme alle caratteristiche ontologiche della persona e rispettoso dei diritti naturali di questa, della famiglia e delle varie comunità intermedie. Fra i possibili ordinamenti economici — in un continuum di gradazioni caratterizzate da una crescente presenza dello Stato nell’economia e nella società — la dottrina sociale della Chiesa ha assunto posizioni di condanna dei due sistemi antitetici: il capitalismo «rigido»[2] e il collettivismo[3]. Entrambi sono viziati da una matrice ideologica materialistica ed economicistica e, quindi, non sono conformi alle esigenze morali di uno sviluppo economico e sociale libero, ordinato e secondo giustizia. Alla luce dei risultati positivi dell’economia libera rispetto ai danni prodotti dall’interventismo e dal dirigismo pubblico nella vita economica e sociale, la Chiesa ha espresso un crescente apprezzamento nei confronti dell’economia di mercato[4], insieme a perplessità e critiche sul modello di Welfare State[5] e di Stato-imprenditore[6]. Nel corso dell’ultimo trentennio, tuttavia, nei Paesi sviluppati si è assistito a un fenomeno crescente di finanziarizzazione dell’economia[7] e di capitalismo clientelare, con un intreccio crescente fra i grandi gruppi industriali e finanziari e il potere politico. Ciò ha portato a una falsificazione della libertà economica, con una progressiva restrizione degli spazi di autonomia della famiglia e della micro-, piccola e media impresa. L’insano connubio pubblico-privato, a livelli superiori agli stessi Stati, ha portato a una degenerazione clientelare, con concentrazione della ricchezza presso le nomenclature economico-finanziarie e politiche e conseguente contrazione della classe media: un inedito esempio di socialismo finanziario[8].
4. Il mercato
Il mercato è « […] un luogo dove convengono molti compratori e molti venditori, desiderosi di acquistare o di vendere una o più merci […], dal quale compratori e venditori possono uscire quando ad essi non convenga stipulare il contratto […e] le due parti siano libere di non mettersi d’accordo», senza subire un danno «troppo grave»[9] da questa loro decisione. Il libero scambio nasce dalla divisione, ancheinternazionale, del lavoro, e consente di specializzarsi in ciò che si riesce a fare meglio, acquistando il resto sul mercato: l’aumento dell’efficienza determinato dalla divisione del lavoro consente un incremento della ricchezza complessiva. Il prezzo che si determina dall’interazione di domanda e offerta è detto «prezzo di mercato», dove quantità domandata e quantità offerta si equivalgono e il mercato si vuota, portando a un equilibrio, seppur solo temporaneo. Nel caso di un prezzo inferiore, determinato politicamente, si creerebbe invece un eccesso di domanda rispetto all’offerta, dando vita a un «mercato nero» con prezzi anche superiori a quelli di mercato normali. I prezzi di mercato non sono arbitrari, in balìa delle decisioni dei produttori: infatti, «in un mercato libero nessuno fa quello che vuole, né i produttori, né i consumatori. […] il mercato, […] automaticamente, per il gioco dell’affluire dei venditori quando i prezzi, rialzando, lasciano un margine attraente di profitto e dell’uscire dei compratori quando il rialzo li costringe a non far seguire ai desideri una domanda effettiva, e per il corrispondente gioco dell’uscire dei venditori ed affluire dei consumatori a prezzi calanti, fa sì che si stabilisca quel tal prezzo, dato il quale la quantità domandata è uguale alla quantità offerta. E così si stabiliscono automaticamente i prezzi del lavoro (salari e stipendi), dei capitali (interessi), delle terre (fitti)»[10]. In un mercato concorrenziale, nel lungo termine «il prezzo di mercato tende al costo»[11], comprensivo di un livello normale di profitto, con l’eliminazione dal mercato dei produttori inefficienti: «il fallimento è la sanzione, la pena, necessaria e vantaggiosa, per quegli affittuari, per quegli industriali, per quei negozianti che non sono capaci a fare il loro mestiere, che utilizzano male terre, capitali, materiali, macchine, impiegati, operai»[12].
Riflettendo sulla grave crisi finanziaria internazionale degli anni 2008-2009, Papa Benedetto XVI (2005-2013; † 2022) scriveva: «Il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri. Il mercato è soggetto ai principi della cosiddetta giustizia commutativa, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere tra soggetti paritetici. Ma la dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato, non solo perché inserita nelle maglie di un contesto sociale e politico più vasto, ma anche per la trama delle relazioni in cui si realizza. Infatti il mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave»[13].
5. L’economia libera
Per vincere la concorrenza, i produttori sono alla ricerca continua di nuovi processi produttivi, di nuovi prodotti e servizi, di migliori tecniche di promozione e distribuzione, di nuovi mercati di sbocco. L’innovazione, con la sperimentazione continua del nuovo, sotto lo stimolo della concorrenza e la guida dei prezzi, è uno dei pregi principali di una economia libera. Il meccanismo del mercato concorrenziale, purché libero e leale, consente la coordinazione dell’attività di miriadi di individui con valori, gusti e finalità differenti e mutevoli, in un processo produttivo, distributivo e di consumo esteso nello spazio e nel tempo, in cui si sommano gli sforzi di popoli e generazioni. Non occorre una pianificazione centralizzata che decida paternalisticamente i bisogni meritevoli di soddisfacimento, e quindi le scelte produttive conseguenti. «Il mercato non è normativo, serve i consumatori come sono»[14]: le risorse, scarse, vengono destinate a soddisfare la domanda reale e non una domanda artefatta imposta dall’autorità politica per soddisfare quelli che sarebbero i bisogni autenticidi un consumatore ideale[15]. «Lo scambio può quindi realizzare la coordinazione senza coercizione»[16]: milioni di individui si trovano a collaborare inconsciamente e liberamente — mossi non tanto da spirito di servizio o di solidarietà, ma dall’interesse personale e guidati dalla legge della concorrenza e dai prezzi di mercato — assicurando così il soddisfacimento dei bisogni sconosciuti di milioni di individui sconosciuti, in modo efficace. L’assenza di interferenze politiche rende il mercato uno strumento flessibile, in grado di riallocare in modo veloce le risorse, così da soddisfare rapidamente i cambiamenti della domanda e dei gusti dei consumatori. L’impersonalità del mercato comporta un innegabile vantaggio sul piano della libertà personale: non solo nella sfera del consumo, ma anche in quella della produzione e dell’autonomia nei confronti del potere politico. Un mercato impersonale, infatti, riesce a «[…] dissociare le attività economiche dalle opinioni politiche e a preservare gli uomini dal rischio di subire discriminazioni a danno delle loro attività economiche per ragioni che non hanno niente a che fare con la loro produttività»[17]. Il mercato non si basa sullo status ma su di una logica di tipo contrattuale e non fa preferenze di persona relativamente a fattori economicamente non rilevanti. In una economia in cui lo Stato fosse l’unico proprietario e l’unico datore di lavoro, la dissidenza politica comporterebbe il rischio della perdita del lavoro e della fame, per sé e per la propria famiglia, come è stato ampiamente provato dall’esperienza attraversata dai vari Paesi dominati da regimi comunisti. Quanto minore è la concentrazione di potere nelle mani dello Stato, tanto minore è poi il rischio di abusi da parte dell’autorità politica, nonché di partiti, sindacati, gruppi di pressione vari che siano tentati di farsi schermo dell’ampio potere discrezionale pubblico per conseguire i propri interessi particolaristici.
Conclusioni
Quelle elencate sono alcune fra le principali caratteristiche di un mercato ideale, operante in condizioni di perfetta concorrenzialità, senza le distorsioni provocate da monopoli pubblici o privati, restrizioni al libero scambio, politiche monetarie e fiscali distorsive, eventi fortuiti e così via, che nella realtà dei fatti limitano anche di molto l’efficacia del mercato come meccanismo di regolazione dell’economia e della società. Il mercato ideale, infatti, è una utopia, nel senso etimologico del termine: così come descritto, non è mai esistito, né potrà mai esistere, da nessuna parte. Nella prospettiva della dottrina sociale cattolica, i limiti e le deformazioni del mercatonon giustificano però un giudizio negativo sul mercato in quanto tale. Più semplicemente, tali carenze evidenziano, da un lato, l’umana imperfezione che si riflette inevitabilmente in tutte le attività, non soltanto economiche, poste in essere dalle persone; dall’altro, come il mercato sia solo uno strumento, necessario ma non sufficiente.
A tale proposito, scrive Benedetto XVI: «L’attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica. Pertanto, va tenuto presente che è causa di gravi scompensi separare l’agire economico, a cui spetterebbe solo produrre ricchezza, da quello politico, a cui spetterebbe di perseguire la giustizia mediante la ridistribuzione»[18]. Il mercato, infatti, non è fine a sé stesso e non si pone al di sopra del giudiziomorale, né può funzionare al di fuori di un solido «quadro giuridico-istituzionale»[19]. Soltanto una società articolata, libera e vitale può imprimere creatività e dinamismo all’attività economica e far sì che essa contribuisca allo sviluppo umano integrale.
Giovedì, 25 luglio 2024
Per approfondire
Dal sito di Alleanza Cattolica: Finanza
Renzo Beghini (a cura di), Le encicliche sociali. Dalla «Rerum Novarum» alla «Fratelli tutti», Edizioni Paoline, Milano 2022.
Eamonn Butler, La scuola austriaca di economia, Istituto Bruno Leoni Libri, Torino-Milano 2014 (*).
Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2017.
Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.
Joseph Höffner, La Dottrina sociale cristiana, San Paolo Edizioni, Milano 1995.
José Miguel Ibáñez Langlois, La dottrina sociale della Chiesa, Ares, Milano 1987.
Pietro Monsurrò, Introduzione alla Scuola Austriaca di economia. Menger, Böhm-Bawerk, Mises, Hayek, Rothbard e altri, goWare (Leonardo Facco Editore), Treviglio (Bergamo) 2017 (*).
Michael Novak, Lo spirito del capitalismo democratico e il cristianesimo, Studium, Roma 1987.
Guglielmo Piombini, e Giuseppe Gagliano, Riscoprire la Scuola Austriaca di economia, goWare (Leonardo Facco Editore), Treviglio (Bergamo) 2018 (*).
Raimondo Spiazzi [O.P.], Lineamenti di etica economica, ESD. Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1989.
Mario Toso, Welfare society. L’apporto dei pontefici da Leone XIII a Giovanni Paolo II, LAS. Libreria Ateneo Salesiano, Roma 1995.
(*) testi consultabili nella biblioteca on-line Perlego, nel sito web <www.perlego.com>.
[1] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale «Gaudium et spes», n. 63.
[2] Giovanni Paolo II (1978-2005), Enciclica «Laborem exercens», del 14 settembre 1981, n. 7; cfr. anche, per esempio, Leone XIII (1878-1903), Enciclica «Rerum novarum», del 15 maggio 1891, nn. 1-2; Paolo VI (1963-1978), Enciclica «Populorum progressio», del 26 marzo 1967, n. 26.
[3] Cfr., per es., Leone XIII, Enciclica «Rerum novarum», cit., nn. 3-12; Pio XI (1922-1939), Enciclica «Divini Redemptoris», del 19 marzo 1937, n. 10; Giovanni Paolo II, Enciclica «Centesimus annus», del 1° maggio 1991, nn. 12-15.
[4] Cfr., per es., Giovanni XXIII (1958-1963), Enciclica «Mater et magistra», del 15 maggio 1961, nn. 55 e 61; e Giovanni Paolo II, Enciclica «Centesimus annus», cit., nn. 34-35.
[5] Per Welfare State, ovvero “Stato del benessere”, si intende un sistema in cui la promozione della sicurezza e del benessere sociale ed economico dei cittadini è assunta dallo Stato, nelle sue articolazioni istituzionali e territoriali, come propria prerogativa e responsabilità; sul tema cfr. il mio Il «Welfare State», nel sito web <https://alleanzacattolica.org/il-welfare-state/>.
[6] Cfr., per esempio, Leone XIII, Enciclica «Rerum novarum», cit., nn. 28-29; Pio XI, Enciclica «Quadragesimo anno», del 15 maggio 1931, nn. 49 e 80-81; e Giovanni Paolo II, Enciclica «Centesimus annus», cit., n. 48.
[7] Cfr. il mio La «finanziarizzazione» dell’economia: una deriva ostile all’economia reale, in Cristianità, anno XLIX, n. 412, novembre-dicembre 2021, pp. 43-73, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/la-finanziarizzazionedelleconomia-una-deriva-ostile-alleconomia-reale/>.
[8] Ibidem; cfr. anche Idem, Il pifferaio di Davos. Il Great Reset del capitalismo: protagonisti, programmi e obiettivi, introduzione di Marco Respinti, D’Ettoris Editori, Crotone 2024, in part. Introduzione e capp. 4 e 5.
[9] Cfr. Luigi Einaudi (1874-1961), Lezioni di politica sociale, Einaudi, Torino 1964, pp. 14-15.
[10] Ibid., pp. 38-39.
[11] Ibid., pp. 20-21.
[12] Ibid., p. 24.
[13] Cfr. Benedetto XVI(2005-2013; † 2022), Enciclica «Caritas in veritate», del 29 giugno 2009, n. 35.
[14] Cfr. Sergio Ricossa (1927-2016), La fine dell’economia, Sugarco, Milano 1986, p. 127.
[15] Ibid.,pp. 109-112.
[16] Ibid., p. 33.
[17] Ibid., p. 44.
[18] Cfr. Caritas in veritate, n. 36.
[19] Cfr. Centesimus annus, cit., n. 48.