Educare, soprattutto alla fede, è fare intuire agli altri l’amore di Dio. Proprio per questo John Henry Newman diverrà Dottore della Chiesa durante il Giubileo del mondo educativo (1° novembre)
di Michele Brambilla
Il 28 settembre si tiene a Roma il Giubileo dei catechisti. Papa Leone XIV celebra Messa ad Angelus in piazza S. Pietro.
Nell’omelia sottolinea che «le parole di Gesù ci comunicano come Dio guarda il mondo, in ogni tempo e in ogni luogo». La parabola di Lc 16,19-31, con l’immagine del mendicante Lazzaro accolto in Paradiso da Abramo stesso, ribadisce che «il Signore guarda il cuore degli uomini e, attraverso i suoi occhi, noi riconosciamo un indigente e un indifferente. Lazzaro viene dimenticato da chi gli sta di fronte, appena oltre la porta di casa, eppure Dio gli è vicino e ricorda il suo nome». Il Signore non si dimentica di nessuno: può essere, invece, dimenticato dagli altri uomini chi non ha saputo amare, come nel caso del ricco della parabola, di cui, a differenza di Lazzaro, non si rivela il nome.
«Senza stancarsi, la Chiesa annuncia questa parola del Signore, affinché converta i nostri cuori» induriti. Felice coincidenza, «questo stesso brano evangelico è stato proclamato proprio durante il Giubileo dei Catechisti nell’Anno Santo della Misericordia», nel 2016. «Rivolgendosi ai pellegrini venuti a Roma per quella circostanza, Papa Francesco evidenziò che Dio redime il mondo da ogni male, dando la sua vita per la nostra salvezza. La sua azione è inizio della nostra missione, perché ci invita a donare noi stessi per il bene di tutti. Diceva il Papa ai catechisti: “Questo centro attorno al quale tutto ruota, questo cuore pulsante che dà vita a tutto è l’annuncio pasquale, il primo annuncio: il Signore Gesù è risorto, il Signore Gesù ti ama, per te ha dato la sua vita; risorto e vivo, ti sta accanto e ti attende ogni giorno” (Omelia, 25 settembre 2016)», come ripete ora Leone XIV.
L’amore per il prossimo si radica, quindi, nel Mistero pasquale di Cristo. Nella parabola il ricco chiede che qualcuno dal Paradiso corra ad avvertire i suoi parenti, che vivono nel peccato come lui. Abramo, però, risponde: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (Lc 16,31). Ma per nostra fortuna qualcuno è davvero tornato dai morti: «Gesù Cristo. Le parole della Scrittura» sono quindi le parole di un vivente, continuano ad essere attuali, ed esse «non ci vogliono deludere o scoraggiare, ma destano la nostra coscienza. Ascoltare Mosè e i Profeti significa fare memoria dei comandamenti e delle promesse di Dio, la cui provvidenza non abbandona mai nessuno. Il Vangelo ci annuncia che la vita di tutti può cambiare, perché Cristo è risorto dai morti. Questo evento è la verità che ci salva: perciò va conosciuta e annunciata», ma soprattutto «amata: è quest’amore che ci porta a comprendere il Vangelo, perché ci trasforma aprendo il cuore alla parola di Dio e al volto del prossimo».
Educare, quindi, non è trasmettere aridamente qualche nozione: il catecumeno e l’allievo impareranno solo se si sentiranno amati, se percepiranno che noi gli stiamo donando, con tutto il cuore, ciò che dà davvero un senso alla nostra vita. Infatti «il nome del ministero che svolgete viene dal verbo greco katēchein, che significa istruire a viva voce, far risuonare. Ciò vuol dire che il catechista è persona di parola, una parola che pronuncia con la propria vita». Proprio per questo «ho la gioia di annunciare che il prossimo 1° novembre, nel contesto del Giubileo del Mondo Educativo, conferirò il titolo di Dottore della Chiesa a San John Henry Newman, il quale contribuì in maniera decisiva al rinnovamento della teologia e alla comprensione della dottrina cristiana nel suo sviluppo», annuncia Leone XIV dopo l’Angelus. Le giornate giubilari dei catechisti e degli educatori (in primis gli insegnanti) sono quindi strettamente intrecciate e trovano la sintesi nel modello offerto proprio da Newman, che ha incarnato alla perfezione entrambi i profili.
Lunedì, 29 settembre 2025

