Parole come “ultraconservatore” e “riformista” nell’Iran della Rivoluzione islamica non hanno lo stesso significato che danno loro i commentatori occidentali, motivo per cui non deve stupire se anche durante le ultime elezioni il sentimento popolare genuino si è “nascosto” dietro l’astensione
di Stefano Nitoglia
Le elezioni presidenziali svoltesi in Iran il 28 giugno (primo turno) e il 5 luglio (ballottaggio), indette a seguito della morte dell’ultimo presidente Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero (cfr il mio articolo Cui prodest, 28 maggio 2024), hanno visto la vittoria del candidato “riformista” Masoud Pezeshkian, cardiochirurgo e già ministro della Sanità, che ha sconfitto gli altri candidati “ultraconservatori” Mohammad BaqerGhalibaf, portavoce del parlamento iraniano, ex comandante delle Guardie rivoluzionarie, già sindaco della capitale Teheran; Saeed Jalili, direttore dell’ufficio del leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, soprannominato “il martire vivente”; Alireza Zakani, ex-sindaco di Teheran, noto anche come il “carro armato rivoluzionario”; l’ex ministro degli Interni Mostafa Pourmohammadi; Amir-Hossein Ghazizadeh Hashemi alla guida della Fondazione dei martiri e dei veterani, sanzionata per aver finanziato organizzazioni come Hezbollah.
Al ballottaggio Pezeshkian ha ottenuto 16,3 milioni di voti, contro i 13,5 milioni di Saeed Jalili, mentre, secondo i dati ufficiali, difficilmente verificabili, anche a causa dell’assenza di organizzazioni internazionali di controllo, l’affluenza alle urne è stata del 49,6 per cento. Secondo fonti dell’opposizione al regime teocratico, l’affluenza alle urne in realtà è stata molto minore e ciò è confermato anche dal fatto che il regime è stato costretto a prorogare diverse volte l’orario di chiusura dei seggi. Insomma, l’opposizione ha scelto, non potendo fare altro di fronte all’estrema violenza repressiva del regime, l’arma del boicottaggio delle elezioni.
Gli aggettivi “ultraconservatori” e “riformisti” inducono in errore perché non hanno il significato normale che essi hanno in Occidente e nel mondo libero. Conservatore, infatti, secondo le categorie analizzate da Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti nel loro libro Conservatori. Storia e attualità di un pensiero politico (Ares, 2023), pur nella difficoltà di darne una definizione esatta e sistematica, «è chi vuole il progresso dei singoli e della società nella continuità; chi vuole mantenere e trasmettere a chi viene dopo non solo quello che di buono vi esiste, ma anche e soprattutto quello che vi è in esso di perenne, di originario, di conforme alla legge di Dio, a una retta antropologia e al senso comune e all’esperienza, arricchito da quanto le generazioni precedenti hanno “capitalizzato” in termini di progresso e la generazione presente può aggiungervi in termini di valore. In uno slogan: chi è conservatore “vuole un mondo a misura d’uomo e secondo il piano di Dio”; e, per diametrum, chi si oppone all’utopismo rivoluzionario che gnosticamente pretende di rifare il mondo da zero e di riplasmare la natura dell’uomo, staccandolo dal suo Creatore e privandolo dei riferimenti temporali e soprannaturali che ne rendono visibile l’esistenza» (op. cit. pp 106-107). Peraltro, a proposito di quanto sostengono Invernizzi e Sanguinetti nel brano precedente sullo gnosticismo quale categoria rivoluzionaria e anti-conservatrice, va detto che diversi autori hanno parlato dello gnosticismo di Khomeini, dei quali cito solo il documentato articolo “L’Imam Khomeini, la fusione dello gnosticismo e la politica”, apparso sulla rivista on-line “Europa/Roma” del 31.03.2022 (consultabile su qui).
Sulla base di questa definizione, nulla è più lontano dal pensiero conservatore dei cosiddetti “ultraconservatori” iraniani, che si rifanno alla più rigida ideologia islamista khomeynista, la quale sola, appunto, vogliono conservare, mentre il riformismo del nuovo presidente si limita, come lo stesso ha affermato, a voler soltanto ammorbidire le norme sull’obbligo di indossare il velo islamico delle iraniane, nel senso di mantenere questo obbligo legale ma di far chiudere qualche volta alla cosiddetta “polizia morale“ un occhio se qualche iraniana non lo indossasse, e a condurre non meglio definiti colloqui con l’Occidente.
Ma sono veramente libere le elezioni presidenziali iraniane? Direi proprio di no perché, per il sistema costituzionale iraniano, ideato da Khomeiny, i candidati vengono scelti e approvati dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione, composto da dodici membri, spesso su “consiglio” della Guida Suprema Alì Khamenei, il vero detentore di tutto il potere in Iran, che inoltre provvede a ratificare la validità delle elezioni.
Il Consiglio dei Guardiani della Costituzione vaglia la validità delle candidature, che devono avere i seguenti requisiti: il candidato deve essere maschio, musulmano, non deve avere avuto incarichi nel governo monarchico e deve essere fedele alla Repubblica Islamica.
Come detto, tutto il potere in Iran risiede nelle mani della Guida Suprema (ولیفقیهwali-e fiqiyye “tutore giuridico”, oppure رهبر, Rahbar, “guida”, o ﺭﻫﺒﺮﻱﻣﻌﻈﻢ, rahbar-e moʿaẓem, “Guida Suprema”), l’Ayatollah Ali Khamenei, che è la massima carica religiosa e amministrativa prevista dalla Costituzione. La Guida Suprema delinea le politiche generali della Repubblica islamica dell’Iran; esercita la supervisione sulla corretta esecuzione delle politiche generali del sistema; emana i decreti per i referendum nazionali; ha il comando supremo delle forze armate; dichiara la guerra e la mobilitazione delle forze armate; nomina, destituisce e accetta le dimissioni del Presidente della Repubblica; è la suprema autorità giudiziaria del paese, nonché il capo della radio e televisione della Repubblica islamica dell’Iran; è il capo dello stato maggiore dell’esercito e il comandante in capo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (i Pasdaran).
I poteri del Presidente della Repubblica sono, invece, del tutto residuali e quasi solo formali, essendo comunque sottoposto al controllo e all’autorità della Guida Suprema: è il capo del governo, nomina gli ambasciatori ed esercita alcune funzioni cerimoniali.
Insomma, le elezioni presidenziali non hanno alcun effetto sulla politica repressiva dell’Iran islamista e rivoluzionario, come riferito da molti iraniani, tra i quali riportiamo solo la seguente dichiarazione, del resto simile a moltissime altre, di un tale Alì, citate su L’Eco di Bergamo del 10 luglio scorso: «Non ho partecipato ad alcuna elezione dal 2009. Il presidente è inutile. Poiché gli ex presidenti non avevano alcuna autorità propria, negli ultimi periodi sono state architettate anche le elezioni. Hanno scelto la persona che volevano dal fondo. Le politiche della Repubblica Islamica sono dettate al presidente dalla persona di Ali Khamenei o dal figlio Mojtaba Khamenei e non hanno scelta nella politica interna ed estera. Non ha più senso partecipare alle elezioni. Ho attraversato l’intero sistema della Repubblica Islamica. Non riconosco alcuna elezione e la boicotto».
Sabato 13 luglio 2024