Centro Studi Livatino
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13 morti non per Covid19, interi istituti di pena devastati e inutilizzabili, pluriomicidi evasi, 40 agenti feriti… sono le voci più drammatiche dell’emergenza (carceri) nell’emergenza (coronavirus). Ci si attendeva qualche elemento informativo in più dalla relazione svolta oggi nell’aula del Senato dal ministro della Giustizia: il quale invece si è limitato a comunicare quanto era già noto, e a elencare i pur necessari concorsi banditi per la Polizia penitenziaria.
Quel che è accaduto esige un dovere anzitutto di accertamento della verità, e a esso deve adempiere chi ha responsabilità politica. Dovere di verità rende necessario:
- spiegare come e perché 13 detenuti sono morti in poche ore all’interno di più istituti di pena. L’autorità giudiziaria svolgerà i dovuti approfondimenti, ma qui non si tratta di anticipare singoli giudizi di responsabilità: si tratta di capire il fenomeno nell’insieme, che cosa è successo e come è potuto accadere. L’ipotesi è l’ingestione di stupefacenti sottratti dalle infermerie? Ha riguardato tutti e 13 i deceduti? In qualcuno dei casi la rivolta interna ha costituito occasione per saldare conti fra rivali (il quesito non è fuori luogo, alla stregua dell’esperienza delle rivolte di qualche decennio fa)? Queste domande devono avere un concreto inizio di risposta, che compete al governo;
- chiarire se e quali regie hanno provocato e coordinato le rivolte. E’ un caso se sono esplose contestualmente, in carceri distanti l’uno dall’altro, e per la maggior parte di domenica, quando il personale è più ridotto a causa dei turni?
- riferire che cosa si sta facendo per individuare i responsabili delle rivolte e per isolarli dal resto della popolazione penitenziaria, e quali misure si stiano adottando per catturare gli evasi, dal momento che taluni dei più pericolosi erano stati incautamente collocati in penitenziari della loro zona di origine (si pensi a Foggia), e quindi avranno già presumibilmente trovato rifugio in ambienti “amici”;
- illustrare, al di là delle assunzioni a venire, quali misure immediate sono previste per allentare le obiettive cause di tensione: dall’ipotesi, per es., di fornire uno smart phone a ogni detenuto, per il quale non sussistano motivi ostativi e con i dovuti controlli, per i contatti con i familiari, se pure a distanza, allo scaglionamento della fruizione degli spazi comuni per evitare contagi.
Il peggio che può accadere è sminuire la portata dell’accaduto, ridurlo a un incidente di percorso, saltare a piè pari le cause che lo hanno provocato. Considerato che oggi va anzitutto ripristinato l’ordine nelle carceri, affinché non si diffonda l’idea che la violenza paga, è tuttavia indispensabile che il governo ponga termine in tempi brevi al gravissimo fenomeno dell’affollamento carcerario. In una prospettiva di tempo ragionevole dovranno essere costruiti nuovi stabilimenti di esecuzione della pena. Il numero fisiologico di detenuti in Italia è almeno di 65.000 unità. Il mancato adeguamento delle strutture a far data dalla sentenza di condanna della Corte di Strasburgo costituisce una grave responsabilità per i Governi che si sono susseguiti da allora. Ciò non toglie che nelle settimane a venire – anche in previsione di un protrarsi dell’emergenza Covid19 – sarebbe fortemente consigliabile la promulgazione di un condono nella misura ridotta di un anno in relazione a tutti i reati con esclusione di quelli previsti dall’art. 4 bis, co. 1 dell’ordinamento penitenziario.
L’emergenza si affronta con provvedimenti immediati: quelli che fino a oggi il governo non ha neanche annunciato.
Roma, 11 marzo 2020